«Abbiamo una città fondata dopo aver preso gli auguri; non c’è luogo in essa che non sia pieno di culti e di dèi; i giorni in cui si tengono i sacrifici annuali sono stabiliti, così come i luoghi in cui questi devono essere celebrati. Credete forse che nel banchetto di Giove il pulvinar [il guanciale sul quale veniva deposta la statua del dio] possa essere allestito in un luogo diverso dal Campidoglio? E che cosa ne sarebbe del sacro fuoco di Vesta e della sua statua che è custodita in quel tempio come pegno dell’impero? Che ne sarà dei vostri ancili, Marte Gradivo e tu, padre Quirino? Si pensa dunque di abbandonare in un luogo profano tutti questi oggetti sacri, antichi quanto la città, e alcuni ancora più antichi della sua stessa fondazione? E che diremo poi dei sacerdoti? Non vi viene in mente quale grande sacrilegio stiamo per compiere? Una sola è la sede delle vestali, dalla quale nessun motivo le ha mai smosse se non l’occupazione nemica della città; al flamine di Giove è proibito rimanere anche una sola notte fuori dall’Urbe. Siete sul punto di fare di questi sacerdoti dei Veienti anziché dei Romani? Le tue vestali, o Vesta, ti abbandoneranno e il flamine, abitando fuori dalla città ogni notte, compirà un così grande sacrilegio contro se stesso e lo Stato?»1.