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Le due Tullie, spose dei due Tarquini

Le due Tullie, figlie di Servio Tullio e di una Tarquinia, hanno sposato i due fratelli Lucio e Arrunte, che la tradizione romana considera a loro volta figli di Tarquinio Prisco, e dunque zii materni delle due Tullie, oppure nipoti del defunto sovrano, e dunque cugini delle Tullie stesse. I due matrimoni uniscono però partner dal temperamento opposto: la Tullia più ambiziosa e spregiudicata ha sposato il Tarquinio più mite e arrendevole, la Tullia più devota al padre e aliena dal delitto, al contrario, il Tarquinio deciso a rivendicare il trono appartenuto un tempo alla sua famiglia. Ben presto i due cognati più animosi, Lucio Tarquinio e Tullia Minore, diventano amanti e si sbarazzano con un duplice delitto dei rispettivi partner, quindi si sposano a loro volta e organizzano la liquidazione di Servio Tullio. Mentre Lucio si presenta in Senato ed espelle violentemente dalla curia l’anziano re, precipitandolo dalle scale e abbandonandolo sul selciato, dove invia poi dei sicari a finirlo, Tullia si imbatte nel cadavere del padre, che impedisce al suo cocchio di procedere, e non esita a calpestarlo con le ruote del carro. Del crimine resta traccia nella stessa toponomastica della città, giacché la via che Tullia stava percorrendo al momento di imbattersi nel corpo del padre venne ribattezzata Vicus Sceleratus1.

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Servio Tullio nasce dal focolare

All’epoca di Tarquinio Prisco, nella reggia di Roma vive Ocresia, una schiava originaria di Corniculum e qui catturata dopo la conquista della città. In occasione di alcuni riti sacri, a Ocresia viene ordinato di versare del vino sul focolare acceso; la schiava si accorge allora che fra le ceneri è comparso un fallo. La regina Tanaquilla comprende immediatamente che quel fenomeno ha origine soprannaturale e ordina all’ancella di sedere presso il focolare; Ocresia concepisce così il futuro Servio Tullio, il cui padre è dunque lo stesso dio del fuoco Vulcano. Di questa circostanza si ha conferma di lì a non molto, quando il capo di Servio ancora bambino viene circondato da una corona di fiamma1. In altre varianti del racconto, il fallo comparso tra le braci rimanda non a Vulcano, ma al Lare, divinità tutelare della famiglia che nell’area del focolare riceveva il proprio culto. Per questo fu Servio a istituire i Compitalia, le feste celebrate nei primi giorni dell’anno in onore dei Lari dei crocicchi (compita) e officiate dagli abitanti del medesimo vicinato2. Durante i Compitalia vigeva tra l’altro una carnevalesca inversione dei ruoli fra schiavi e padroni; proprio ai Lari, sia quelli domestici che quelli dei crocicchi, usavano del resto sacrificare gli schiavi, per altri versi esclusi dalle pratiche religiose della casa e della città.

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Amuleti di Gaia Cecilia

Tanaquilla, moglie di Tarquinio Prisco, è una nobildonna etrusca esperta di arte divinatoria e interpretazione dei presagi1. A Roma assume il nome di Gaia Cecilia. È lei a inventare i praebia, amuleti che respingono i mali e che Varrone2descrive come oggetti che i bambini portano al collo perché li tengano al sicuro. Gaia Cecilia li teneva incastonati nella sua cintura, che fu poi allacciata a una statua con la sua effigie custodita nel tempio di Semo Sanco. Così, quelli che sono in pericolo raschiano gli amuleti della cintura e portano via con loro la limatura ottenuta3.

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