A Vulca, sommo coroplasta di Veio, a cui Tarquinio il Superbo aveva commissionato una statua di Ercole e, soprattutto, la quadriga fittile che avrebbe decorato il fastigio del grandioso tempio di Giove sul Campidoglio.
Vulca e i suoi aiutanti – raccontano i testi antichi – sarebbero riusciti a terminare l’opera solo dopo la cacciata dell’ultimo re, quando Roma era ormai governata da un’aristocrazia composta da acerrimi nemici dei Tarquini – mentre Veio continuava a mantenere buoni rapporti con il Superbo. È in questo contesto che si colloca un evento prodigioso collegato proprio alla produzione di Vulca. Plutarco1racconta infatti che, all’atto di cuocere la quadriga fittile destinata al tempio di Giove a Roma, gli artigiani etruschi osservarono che la statua, invece di restringersi a causa della normale evaporazione dell’acqua presente nell’impasto di argilla, si dilatò e crebbe così tanto da spaccare la fornace in cui si trovava. Gli indovini etruschi videro in tale segno portentoso un presagio di prosperità e potenza per chi avesse posseduto quella quadriga. Per questa ragione gli artigiani veienti guidati da Vulca decisero di non consegnare l’opera a Roma, con la scusa che essa apparteneva ai Tarquini, visto che era stata pagata da loro. Poco tempo dopo, però, in occasione di gare ippiche che si tenevano a Veio avvenne un secondo fatto prodigioso. I cavalli della quadriga vincitrice apparentemente impazzirono e corsero a gran velocità fino a Roma, trascinando con sé l’auriga, incapace di trattenerli, fino a che non lo sbalzarono via una volta giunti al Campidoglio, ai piedi del tempio di Giove che attendeva la sua quadriga in terracotta. Solo a seguito di tale portento gli artigiani veienti, stupefatti e spaventati dall’accaduto, consegnarono la quadriga fittile ai Romani.