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La testa della Gorgone agli Inferi

Odisseo, nella sua evocazione dei morti, ha appena terminato di parlare con la parvenza fantasmatica del defunto Eracle. L’eroe indugia ancora in attesa di poter parlare con altri eroi del passato, ma all’improvviso viene atterrito dalle grida raccapriccianti di una schiera di morti che si raccoglie davanti a lui. Il suo timore è che stia arrivando proprio "il capo della Gorgone", inviato da Persefone. È per questo che subito ordina ai compagni di salpare in tutta fretta1.

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Odisseo, evocazione dei morti

Giunto all’ingresso dell’Hades seguendo le correnti del fiume Oceano fino all’estremo occidente, Odisseo prepara un sacrificio per i morti, versando in una fossa scavata in terra latte e miele, vino, acqua e farina. Per Tiresia, invece, secondo le indicazioni ricevute da Circe, sgozza un montone nero. Le anime si accalcano per bere il sangue dell’animale, ma Odisseo le tiene lontane minacciandole con la spada, e permette solo all’indovino di avvicinarsi. Dopo aver saputo da Tiresia di essere vittima della collera di Poseidone e aver ricevuto una profezia riguardante la sua morte, Odisseo gli chiede come può comunicare con l’anima della madre Anticlea, che scorge proprio di fronte a lui, ma che non ricambia il suo sguardo né il suo saluto. Tiresia gli rivela che solo consentendo ai defunti di gustare il sangue potrà entrare in contatto con loro. Dopo averlo bevuto, infatti, Anticlea riconosce immediatamente il figlio e gli dà notizie recenti di Itaca, ma quando Odisseo cerca di abbracciarla, l’anima (psyche) rivela la sua natura immateriale, simile alla consistenza del fumo1.

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Odisseo e le pene infernali

Nell’XI libro dell’Odissea1, Odisseo non solo evoca le ombre dei morti, ma ha anche una visione dell’Hades. Egli vede infatti anche il gigante Tizio, colpevole di aver violentato Leto, madre di Apollo e Artemide: egli giace disteso mentre due avvoltoi gli rodono il fegato. Il vecchio Tantalo, invece, soffre la fame e la sete pur essendo immerso in un lago sul quale si protendono alberi carichi di frutti, poiché ogni volta che tenta di bere o di mangiare l’acqua si ritira e i rami si allontanano. Di Tantalo Omero non racconta la colpa, tramandata invece da Pindaro2: secondo la versione più diffusa egli avrebbe imbandito la carne del figlio Pelope agli dèi. Il terzo eroe condannato a una pena senza fine è Sisifo, obbligato a spingere un enorme masso sul pendio di una collina dalla quale ricade ogni volta che ha raggiunto la sommità. Anche in questo caso Omero tace la colpa di Sisifo, che ci è invece svelata dallo storico Ferecide3, secondo il quale egli, unico tra i mortali, sarebbe sfuggito temporaneamente al mondo dei morti, e in seguito sarebbe riuscito a imprigionare addirittura Thanatos (il dio “morte”) .

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