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Creso non riesce a interpretare la profezia di Delfi

Indeciso se attaccare o meno il regno di Persia, Creso, ricchissimo e potentissimo re di Lidia, invia messi a Delfi a interrogare Apollo pitico: «Creso, re dei Lidi e di altre genti, […] chiede se debba marciare contro i Persiani». Per bocca della Pizia, il dio risponde che, intraprendendo la guerra, Creso avrebbe distrutto un grande impero. Certo che l’impero destinato alla distruzione sia quello persiano, Creso ricopre d’oro i Delfi e, per togliersi gli ultimi dubbi sulla spedizione, si rivolge di nuovo all’oracolo, chiedendo «se il suo regno sarebbe stato di lunga durata». Apollo risponde: «Quando un mulo diventerà re dei Medi, allora, o Lido dai piedi delicati, lungo l’Ermo ghiaioso fuggi e non fermarti e non vergognarti di essere vile». La risposta è accolta da Creso con gioia ed entusiasmo: un mulo – pensa – non potrà mai divenire re dei Medi. E questo significa che il suo regno non avrà certo fine con la guerra contro i Persiani. Fiducioso, il re lidio dà inizio alle ostilità, ma l’esito della guerra è disastroso: duramente sconfitto e per di più fatto prigioniero dai nemici, Creso è condannato al rogo e solo l’intervento di Apollo, che invia dal cielo una pioggia improvvisa, riesce a salvarlo dalle fiamme ordinate da Ciro. Conquistatasi la simpatia del re persiano per essere uomo caro agli dèi, Creso ottiene il permesso di inviare messi a Delfi per recare come offerta le sue catene di prigioniero e chiedere se gli dèi greci siano generalmente così ingrati verso i loro benefattori più generosi. La risposta della Pizia non si lascia attendere. Innanzitutto, la sconfitta di Creso era già stata predetta tempo prima da un oracolo delfico, che aveva preannunciato che la dinastia mermnade si sarebbe estinta al quarto discendente di Gige, ossia Creso. Inoltre, i vaticini resi da Apollo al re lidio si sono entrambi realizzati. Muovendo guerra contro i Persiani, Creso ha effettivamente distrutto un grande impero: il suo. In quel momento, un mulo era realmente re dei Medi: si trattava di Ciro, figlio di una principessa persiana (la cavalla) e di un uomo di rango inferiore (l’asino). Apollo ha detto a Creso la verità; è stato Creso a non comprenderla, dimostrandosi interprete per nulla saggio e accorto1.

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Temistocle interpreta l'oracolo di Delfi

Sotto la minaccia incombente dell’invasore persiano, gli Ateniesi inviano messi a Delfi a interrogare Apollo sul da farsi. Ma la Pizia fornisce loro un oracolo terribile, che presagisce rovina e distruzione, senza lasciare scampo alcuno alla popolazione attica: «O sventurati, perché ve ne state qui seduti? Lascia le tue case e le alte cime della tua città dalla rotonda cinta e fuggi agli estremi limiti del mondo». All’udir queste parole, gli inviati Ateniesi restano profondamente turbati, ma uno dei cittadini di Delfi consiglia loro di afferrare dei rami d’ulivo e, presentandosi in veste di supplici, di chiedere alla Pizia un secondo responso. Il nuovo vaticinio è anch’esso più che preoccupante, ma, a differenza del primo, lascia agli Ateniesi una speranza di salvezza: «Quando sarà preso tutto quello che è racchiuso fra il colle di Cecrope [l’acropoli] e l’antro del divino Citerone [ai confini fra Attica e Beozia], l’onniveggente Zeus concede alla Tritogenia [Atena, la dea protettrice di Atene] che solo un muro di legno sia inespugnabile; questo salverà te e i tuoi figli». Soddisfatti del nuovo responso, gli inviati fanno ritorno ad Atene e lo riferiscono all’assemblea, dove questo è discusso tra tutti i cittadini. L’interpretazione delle parole di Apollo suscita un vivo dibattito: anziani (presbyteroi) e cresmologi (“interpreti di oracoli”) ritengono che il “muro di legno”, in cui l’oracolo ha additato l’unica fonte possibile di salvezza, corrisponda alle antiche palizzate di legno che un tempo circondavano l’acropoli, e che pertanto è necessario rifugiarsi sulla parte più alta della città e resistere lì all’attacco persiano; altri, tra cui Temistocle, sostengono che il “muro di legno” della profezia delfica sia la flotta, e che dunque è necessario abbandonare la città e affrontare i Persiani sul mare, nei pressi dell’isola di Salamina. Così come era già accaduto in precedenza, quando aveva convinto i concittadini a utilizzare i proventi delle miniere d’argento scoperte nella regione del Laurio per l’allestimento di nuove navi da guerra, Temistocle riesce a persuadere il popolo ad accogliere la sua interpretazione dell’oracolo. I fatti gli danno ragione: la flotta ateniese sconfigge quella persiana, mentre tutti coloro che si sono rifugiati sull’acropoli finiscono preda dei nemici1.

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