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Miti

Andromaca come sposa ideale

Come Penelope, anche Andromaca è sposa mitica esemplare. Dopo che Ettore muore sotto la lancia di Achille e Troia è ormai in fiamme, Andromaca, come le altre donne troiane, viene condotta schiava, e allora ricorda struggendosi la sua vita serena di sposa felice, quando viveva il suo ruolo nel modo migliore: restava a casa vicino al focolare, senza suscitare pettegolezzi; parlava con discrezione e mostrava sempre al marito un volto sereno, sapendo bene quando prevalere o lasciare invece lasciare vincere lui.1.

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Penelope e gli spazi della casa

Le stesse parole di Ettore vengono pronunciate nell’Odissea da Telemaco alla madre Penelope quando, scendendo dalle stanze del gineceo e entrata nella sala degli uomini, ella chiede al cantore Femio di cambiare il suo canto sul ritorno degli Achei e intonarne uno meno doloroso per lei, che ancora non ha visto il ritorno del marito Odisseo. Telemaco rimanda la madre a filare e tessere nelle sue stanze, e conclude «il canto sarà cura degli uomini, di tutti, io soprattutto, che nella casa ho il comando»1.

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Lo stupro di Lucrezia e lo spazio della casa

Durante l’assedio di Ardea, città dei Rutuli, gli ufficiali più in vista dell’esercito, tra cui Sesto Tarquinio, figlio del re, e il suo congiunto Tarquinio Collatino, prendono a discutere su chi di essi abbia la moglie più casta. La discussione si anima e Collatino invita i commilitoni a verificare in prima persona la superiorità della sua Lucrezia su tutte le altre. In effetti, mentre le nuore del re vengono sorprese nel pieno di un festino e in compagnia di coetanee, Lucrezia è seduta in piena notte al centro dell’atrio, impegnata a filare la lana insieme alle serve. Collatino si aggiudica così la gara delle mogli. È in quel momento che Sesto Tarquinio, eccitato dalla bellezza e dalla provata castità di Lucrezia, viene preso dalla smania di averla a tutti i costi. Così, qualche giorno dopo Sesto torna nella casa di Collatino; di notte, quando capisce che tutti sono sprofondati nel sonno, sguaina la spada e si reca nella stanza di Lucrezia, immobilizzandola con la mano puntata sul petto. Vedendo però che la donna è irremovibile e non cede nemmeno di fronte alla minaccia della morte, aggiunge all’intimidazione il disonore e si dice pronto a sgozzare un servo e a porlo, nudo, accanto a lei dopo averla uccisa, perché si dica che è morta nel corso di un infamante adulterio. Con questa minaccia, la libidine di Tarquinio ha la meglio sull’ostinata castità di Lucrezia. L’indomani, la matrona manda a chiamare il padre e il marito, pregandoli di venire accompagnati da un amico fidato. Arrivano così Spurio Lucrezio con Publio Valerio, Collatino con Lucio Giunio Bruto. Alla vista dei congiunti, Lucrezia racconta la propria vicenda, quindi induce i presenti a giurare che Tarquinio non resterà impunito. Tutti formulano il loro giuramento, poi cercano di consolare la donna; ma Lucrezia, afferrato il coltello che tiene nascosto sotto la veste, se lo pianta nel cuore e crolla a terra esanime1.

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Comportamento scellerato di Tullia

Tullia agisce in un primo tempo all’interno della casa, dove però tiene un comportamento del tutto inaccettabile (si incontra di nascosto con il marito della sorella, con il quale decide, e poi compie, gli omicidi della sorella e del marito), poi fuori dell’ambiente domestico. In particolare, subito dopo l’assassinio di suo padre Servio Tullio, Tullia si dà a una fitta sequenza di trasgressioni. Prima si reca nel Foro sul carpentum, un tipo di carro chiuso impiegato dalle matrone per non rinunciare alla necessaria riservatezza, ma del quale la donna farà un pessimo uso. Inoltre, una volta nel Foro Tullia si mescola alla folla degli uomini, rivolgendo la parola al marito in una tale sconveniente situazione, al punto che lo stesso Tarquinio si vede costretto ad allontanarla. Ed è durante il tragitto di ritorno che Tullia passa con il suo carro sul corpo del padre, che lì giaceva dopo che suo marito l’aveva fatto uccidere, nella strada che proprio da questo episodio prenderà il nome di Vicus Sceleratus. Tullia porta così fino ai Penati propri e del marito parte del sangue proveniente da quella terribile uccisione, del quale è imbrattata e schizzata lei medesima: e a questa sistematica infrazione dei doveri parentali non potrà che seguire l’ira dei Penati stessi. Tullia quindi non solo non sa limitarsi a stare nello spazio che le compete, ma al contrario fa dello spazio – di ogni spazio – l’uso più trasgressivo possibile1.

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Morte di Virginia

Quanto al mito di Virginia, la ragazza uccisa dal padre per sottrarla alle voglie colpevoli del decemviro Appio Claudio, il quale ha ordito un inganno per impadronirsi della vergine, in uno dei passaggi del racconto la vediamo muoversi nel Foro, ma è significativo che le fonti sentano il bisogno di motivare tale presenza: c’erano lì degli spazi adibiti a scuole. Inoltre, la ragazza è accompagnata dalla nutrice; e un po’più avanti il fidanzato Icilio, quando apostrofa il decemviro, afferma tra l’altro: «La fidanzata di Icilio non rimarrà fuori della casa di suo padre»1. Quando poi, prima del processo2, Virginio porta con sé nel Foro la figlia, questa è accompagnata da un certo numero di matrone e da molti difensori; di lì a poco però quella folla arretra, intimidita dall’atteggiamento violento di Appio Claudio, e la vergine resta in piedi, preda abbandonata all’oltraggio. È a questo punto che il padre, vista svanire ogni speranza di salvezza, chiede di portare un momento con sé la figlia verso il tempio della dea Cloacina e lì la uccide, per garantirne la libertà nell’unico modo in cui era possibile3. In quella situazione non solo le donne che le erano vicine, ma neppure i concittadini potevano assicurarle che la pudicizia di Virginia fosse rispettata, e quindi la ragazza non poteva più aspirare a ricoprire il ruolo che il suo statuto di vergine prescriveva e che aveva il suo preciso posto nella vita della comunità .

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Fedeltà coniugale di Lucrezia

Al tempo del re Tarquinio il Superbo alcuni ufficiali romani impegnati nell’assedio di Ardea decidono di montare a cavallo e di piombare a Roma e a Collazia – il piccolo centro da cui viene uno di essi, Lucio Tarquinio Collatino – per verificare come le loro donne trascorrano il tempo in assenza dei mariti. Ma mentre le altre mogli vengono sorprese nel mezzo di sontuosi banchetti in compagnia delle proprie coetanee, la sola moglie di c, Lucrezia, siede a tarda notte al centro dell’atrio, circondata dalle ancelle e impegnata nella filatura della lana. La bellezza e la castità di Lucrezia accendono però in Sesto Tarquinio, uno dei figli del re, il desiderio di possedere la donna. Trascorso qualche tempo, Sesto si presenta nuovamente a Collazia e viene accolto dall’ignara Lucrezia, cui fa violenza durante la notte vincendo la disperata resistenza della donna. L’indomani Lucrezia convoca i familiari e spiega loro l’accaduto, quindi si trafigge con un pugnale1.

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