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Le oche del Campidoglio

Sconfitti sull’Allia da un contingente gallico, nell’anno 390 a.C., i Romani si rifugiano in città e meditano di riunirsi tutti sulla rocca capitolina. Constatando che il luogo non li avrebbe potuti contenere tutti, decidono che a presidio del Campidoglio rimangano solamente gli uomini validi insieme alla loro mogli e figli. I sacra publica vengono nascosti in luogo sicuro. Molti plebei si rifugiano sul Gianicolo, mentre gli anziani di rango senatoriale attendono con dignità la morte negli atrii delle loro case patrizie. I Galli notano il passaggio di un messaggero romano e scoprono in questo modo che l’accesso alla rocca è possibile dalla parete di roccia chiamata saxum Carmentis – il lato verso il Tevere su cui invece i Romani contavano di essere protetti (altri dicono che passarono invece per dei cunicoli che li condussero direttamente nell’area del tempio di Giove). In una notte luminosa, aiutandosi l’un l’altro e in perfetto silenzio, scalano la roccia e si affacciano alla sommità del colle. Le sentinelle non li sentono. Nemmeno i cani guardiani rilevano la loro presenza – e qualcuno insinuerà poi che si siano venduti al nemico per un tozzo di pane in cambio del silenzio1. Ad un certo punto, un allarme scuote tutti dal sonno: alcune oche, che avevano percepito l’avvicinarsi di intrusi, iniziano a starnazzare rumorosamente e a produrre un grande trambusto con il loro concitato sbattere d’ali – «svolazzando nei dorati portici l’oca argentea annunciava che i Galli erano alla soglia»2. Nonostante la scarsità di cibo affliggesse tutti gli assediati – umani e animali – i Romani non avevano osato toccare le oche, che erano sacre a Giunone, e venivano ora ripagati del loro rispetto; le oche, dal canto loro, erano insonni e reattive più del solito proprio per la fame che le attanagliava e perciò avevano avvertito la silenziosa presenza dei Galli3. La reazione pronta dei Romani – primo fra tutto Marco Manlio – allo schiamazzo degli animali consente di respingere i Galli e di salvare i sacri luoghi del Campidoglio. Il giorno seguente a Manlio vengono tributati onori, mentre le sentinelle inefficienti vengono messe sotto accusa e una di loro viene condannata a morte e precipitata dalla rupe.

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I giorni nefasti e la battaglia dell’Allia

Dopo che Roma fu liberata dai Galli Senoni e ripopolata, Lucio Attilio fece presente al Senato che il tribuno militare Quinto Sulpicio Longo aveva celebrato il sacrificio propiziatorio in vista della battaglia contro i Galli, quella che si sarebbe poi svolta presso l’Allia, il giorno dopo le idi di luglio, vale a dire il 16; come tutti sapevano, l’esercito romano era stato distrutto e la città conquistata. A quel punto, molti senatori dissero di ricordarsi che, ogniqualvolta un magistrato del popolo romano aveva fatto un sacrificio propiziatorio in vista di una guerra il giorno dopo le calende, le none e le idi, nella battaglia immediatamente successiva le cose erano andate male per la repubblica. Allora il Senato riferì la cosa i pontefici e i pontefici decretarono che in quei giorni non sarebbe stato possibile celebrare alcun sacrificio1.

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