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Encolpio, seduzione tra schiavi e padroni

Encolpio finge di essere un servo e si fa chiamare Polieno. Un giorno è avvicinato da un’ancella, Criside: «Tu conosci bene il tuo fascino e ne fai sfoggio, come se fossi in cerca di un’acquirente», inizia quella. «A questo mirano le onde ben pettinate dei tuoi capelli, la faccia imbellettata di unguento, il tuo sguardo languido, il modo in cui cammini. E il fatto che ti professi un umile schiavo, non fa altro che attizzare il desiderio di chi arde per te. Se dunque vuoi vendere la tua mercanzia, eccoti un compratore; se invece, com’è più galante, vorrai semplicemente offrirla, ti sarò debitrice per il tuo dono». Allora Encolpio, colmo di orgoglio per quel discorso estremamente lusinghiero, disse: «Ma dimmi un po’, non sarai mica tu questa qui che mi ama?». Criside allora scoppiò a ridere: «Ma sei matto? È della mia padrona che parlavo! Io, anche se sono un’ancella, non mi scomodo mica per meno di un cavaliere!»1.

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Encolpio tra omosessualità ed eterosessualità

Quando Encolpio, che fingeva di essere uno schiavo, sente dall’ancella Criside che la sua padrona spasimava per lui e desiderava incontrarlo, disse: «E sia. Portami da lei». La serva lo conduce nel fitto di un boschetto. Lì appare la padrona: era davvero perfetta, più armoniosa di una statua greca, tanto che Encolpio non avrebbe potuto catturarne a parole la bellezza. Il giovane, per la prima volta, sente di aver dimenticato Doride, il suo primo amore. «Se non ti dispiace una donna che ha sperimentato per la prima volta quest’anno l’amore di un uomo, ti potrò procurare una “sorella”. Tu hai già – mi sono informata – un “fratellino”, ma cosa ti proibisce di adottare anche me? Mi offro con lo stesso grado di parentela. Tu degnati solo di far la conoscenza dei miei baci». «Ma sono io, al contrario», risponde Encolpio, «che ti prego di voler ammettere quest’umile servo nel corteo dei tuoi ammiratori. E riguardo al mio “fratellino”, perché tu non possa pensare ch’io venga a mani vuote al tempio di Amore, ecco, se lo vuoi, è tuo. Te lo regalo». «Ma come», esclama lei, «mi fai dono della persona senza la quale non puoi vivere? Colui dai cui baci dipendi? Che ami nello stesso modo in cui io vorrei che tu amassi me?». E la sua voce, nel dirlo, era così seducente che a Encolpio pare di sentir cantare le Sirene. «Qual è il tuo nome?», le chiede rapito. «Circe», risponde lei. Ed Encolpio pensa che per lei non ci sia nome più adatto1.

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