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Miti

L'ematite

In un tempo primordiale, antecedente l’avvento di Zeus, la violenza regnava tra le generazioni divine. Dall’unione di Urano, il cielo stellato, e di Gea, la terra, nascevano figli che il padre odiava e ricacciava sotto la terra stessa. Un giorno, Crono si ribellò al padre e lo evirò con un falcetto fatto di adamante, una materia che Gea aveva appositamente creato. I genitali furono gettati in mare e dalla loro spuma nacque Afrodite. Stando ad alcune varianti tarde, alcune delle gocce di sangue sprizzate dalla ferita furono disseccate dalle pupille di fuoco dei cavalli di Helios e divennero pietra ematite1.

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nascita_afrodite

La nascita di Afrodite è una delle conseguenze della castrazione di Urano. Il figlio di questi, Crono, istruito dalla madre Gaia, tende un agguato al padre e ne taglia con un falcetto i genitali per poi gettarli nel mare. Ed è appunto sulla superficie del mare, tra i suoi flutti agitati, che si riversa il seme di Urano, e da questo stesso aphros spermatico, con il passare del tempo, prende forma e corpo una figura di fanciulla: Afrodite. La dea nata dall’aphros di Urano viaggia sulle acque dell’Egeo, tra Citera e Cipro, e quando approda su quest’isola, al contatto con i suoi piedi umidi, la terra fiorisce. Affiancata da Eros e Himeros, Afrodite raggiunge quindi la stirpe degli dèi dove riceve il posto che le spetta in funzione dei poteri che esercita sia sui mortali sia sugli immortali: «primi incontri, sorrisi e inganni senza scampo, dolce piacere, unione intima e abbandono»1.

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Teogonia esiodea

All’inizio ci sono Chaos, l’abisso originario dell’informe e dell’indefinito, poi Gaia, la Terra, potenza primordiale che costituisce l’assise dell’universo a venire, quindi Eros, che senza avere discendenza propria è tuttavia la potenza indispensabile per mettere in moto la dinamica delle filiazioni divine, avviando così il processo teogonico. Chaos mette al mondo Notte ed Erebo, e dall’unione di questi nascono Etere e Giorno: l’oscurità e la luce, nello spazio e nel tempo, vengono a costituire le coordinate essenziali in cui l’universo può prendere forma. Gaia mette al mondo per partenogenesi i Monti, che articolano la sua superficie, Ponto, il salso Mare che si agita negli abissi terrestri, e Urano, il Cielo che la sovrasta definendone il limite superiore. Unendosi a Ponto, la Terra primordiale genera una serie di potenze legate al mondo acquatico, talvolta benevole talvolta mostruose. Dalla sua unione con Urano sono generate la maggior parte delle entità divine che strutturano l’universo, tra cui: Oceano, il fiume divino che circonda la terra, delimitandola, ed è, con Teti, all’origine delle acque dolci; Iperione, "Colui che si muove in alto" e Theia, "Divina", che unendosi danno vita a Sole, Luna e Aurora, specializzando così nella discendenza le prerogative evocate dai rispettivi teonimi. Gaia e Urano non solo costituiscono la coppia primordiale Cielo-Terra, ma sono anche i capostipiti della dinastia divina regnante. Oltre a generare Ciclopi e Centimani, terribili divinità che rappresentano la potenza delle armi e della forza bruta, essi mettono al mondo i Titani, il più giovane dei quali, Crono, evira Urano su istigazione della stessa Gaia, adirata con il figlio e sposo che respingeva nelle viscere della terra la loro prole. La dinamica cosmogonica e poi teogonica si articola infatti, nel poema di Esiodo, con il mito di successione che vede Crono impadronirsi del potere e diventare sovrano degli dèi, per poi essere detronizzato da suo figlio Zeus. Per conservare il proprio potere, Crono ingoiava i figli generati dall’unione con la sposa e sorella Rea, ma questa, grazie all’aiuto di Urano e Gaia, riesce a salvare il loro ultimo nato, Zeus, destinato a diventare il re degli dèi. I fratelli e le sorelle di Zeus (Ade, Poseidone, Era, Demetra ed Estia) formano la prima generazione degli Olimpi, e una volta liberati dalle viscere di Crono entrano in azione al fianco dell’erede designato. Grazie a una attenta politica di alleanze, e all’aiuto di Ciclopi e Centimani, Zeus riesce a sconfiggere Crono e i Titani, e a rinchiuderli per sempre nella prigione infera, il Tartaro. Gaia genera però proprio con Tartaro un nuovo dio, Tifone, quintessenza di tutte le forze caotiche e distruttive, che Zeus sconfigge in singolar tenzone, dimostrando così di possedere la forza necessaria per salvaguardare il cosmo anche dalla più terribile minaccia. Gli dèi tutti gli conferiscono allora, su consiglio della stessa Gaia, la dignità sovrana, e il re degli dèi procede quindi come promesso a ripartire gli onori tra le varie divinità in funzione delle prerogative di ciascuna. Zeus non solo stabilizza il mondo divino, ma anche ne espande e ne precisa le articolazioni attraverso un’accorta strategia matrimoniale, che è all’origine della seconda generazione degli Olimpi: sotto il regno di Zeus, vengono alla luce gruppi divini quali le Moire, le Cariti, le Muse, ma anche Apollo e Artemide (nati dall’unione con Leto), Persefone (la figlia generata con Demetra e poi concessa in sposa al fratello Ade), Atena (partorita da Zeus dopo che questi si era incorporato la dea Metis: vedi sopra), e altri dèi ancora. Zeus prende Era quale “ultimissima” sposa, e con lei dà alla luce, oltre a Ilizia, Ares, il guerriero divino, ed Ebe, la giovinezza fatta dea. La regina non genera tuttavia un erede al suo re: quello che per una coppia sovrana "normale" rappresenterebbe un punto di debolezza, diventa sull’Olimpo un punto di forza, posto a garanzia dell’eternità del regno di Zeus. La famiglia degli Olimpi continua comunque ad allargarsi con l’introduzione degli ultimi figli di Zeus: Hermes, il dio nato dall’unione con Maia, Dioniso nato immortale dall’unione con una donna mortale, Semele, e infine Eracle, nato mortale, ma destinato eccezionalmente a diventare dio.

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Ripartizione degli onori

Il poema si apre con l’immagine delle Muse che rallegrano con il loro canto gli Olimpi, e con quella di Zeus che è celebrato per aver ripartito equamente gli onori (timas) tra gli dèi. Come il canto teogonico di Hermes nell’1, quello di Esiodo racconta come e quando gli dèi vennero all’esistenza e in che modo essi si spartirono gli onori. Nella narrazione esiodea tali temi sono strutturalmente collegati al mito di successione: dal tessuto del racconto si evince infatti che anche al tempo di Crono c’era stata una ripartizione (dasmos) degli onori tra gli dèi. Al momento di guadagnarsi alleati nella lotta contro Crono e i Titani, Zeus promette di procedere, una volta divenuto sovrano, a una nuova ripartizione, confermando gli onori delle divinità che li avevano già ricevuti, ma anche conferendoli a quelle cui non erano stati ancora riconosciuti: il dio si impegna a una ripartizione rispettosa della themis2. Dopo aver sprofondato nel Tartaro Crono e i Titani, Zeus sconfigge anche un ultimo avversario, Tifeo, temibile dio che incarna le forze del caos, ed è a questo punto che egli ottiene per investitura la time regale. Forte di tale riconoscimento, il legittimo sovrano mantiene la promessa fatta e come primo atto del suo regno ripartisce in modo equo gli onori (diedassato timas) tra gli dèi, riconoscendo a sua volta le legittime prerogative di ciascuno di essi. Dopo aver stabilizzato il suo regno incorporandosi la dea Metis, che incarna l’intelligenza astuta e preveggente, egli prende poi in sposa Themis, la potenza divina che rappresenta la norma e l’esigenza di equilibrio, con cui genera non solo le Ore ma anche le Moire, ovvero le “Parti”.

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Poseidone protesta contro la ripartizione degli onori

Per bocca di Iris, Zeus intima a Poseidone di obbedire ai suoi ordini e ritirarsi dal campo di battaglia. Questi reagisce allora proclamando di essere anch’egli figlio di Crono e in quanto tale homotimos, “uguale in onore”, rispetto al fratello. Nel racconto di Poseidone, l’universo intero era stato un tempo oggetto di un dasmos (“ripartizione”) e ciascuno dei figli maschi di Crono aveva allora ricevuto in sorte una delle tre parti in cui il mondo era stato diviso: a Poseidone era toccato il regno marino, a Hades il sottosuolo e a Zeus il vasto cielo. La terra e l’Olimpo, restati indivisi, risultano invece comuni a tutti, sostiene Poseidone, che invita polemicamente Zeus a restarsene nella sua parte e a dare ordini ai suoi figli e non a chi gli è pari. A tale discorso, Iris risponde però ricordando il superiore potere di Zeus, la cui posizione gerarchica tra i figli di Crono è preminente. Poseidone, per quanto adirato, le dà ascolto e finisce per obbedire, suo malgrado, al sovrano degli dèi1.

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Prometeo e il sacrificio

Nella piana di Mecone, all’epoca in cui le esistenze di uomini e dèi non risultano ancora nettamente separate, il Titano Prometeo, celebre per astuzia e scaltrezza, uccide un bue e lo divide in due parti con l’intento di ingannare Zeus, il re degli dèi, e di favorire gli uomini: nasconde carne e viscere, le parti commestibili dell’animale, all’interno del ventre del bue, in modo da conferire alla prima porzione un’apparenza sgradevole a dispetto del sostanzioso contenuto; avvolge le ossa nel lucido grasso, donando invece alla seconda porzione un aspetto invitante volto a celare un contenuto per nulla nutriente. Preparata la sua ingegnosa trappola, Prometeo chiede a Zeus di scegliere la parte degli dèi. Intuito l’inganno, il figlio di Crono si sdegna provando una profonda collera; eppure, mantiene la calma e, fingendo di stare al gioco di Prometeo, sceglie la porzione di più bell’aspetto, assecondando l’inganno. Da quel momento la norma sacrificale prevede che gli dèi, immuni dalla morte e dalla necessità di cibo, ricevano il fumo prodotto dalla combustione di ossa e grasso, mentre gli uomini mangino carne e viscere degli animali, condannati a un’esistenza mortale fatta di fame, bisogni e malanni1.

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Castigo e dono dell'arte mantica per Tiresia

Deposte vesti e ornamenti, la dea Atena sta facendo il bagno alla fonte Ippocrene (presso la vetta del monte Elicona) insieme alla sua compagna più cara, la ninfa Cariclo, madre di Tiresia, il futuro indovino tebano. È l’ora del meriggio e il caldo asfissiante suscita la sete di Tiresia che si aggira per i monti insieme ai suoi cani. Avvicinatosi alla sacra fonte per dissetarsi, il giovane vede Atena nuda e immediatamente perde la vista. Disperata per la tragica sorte del figlio, Cariclo accusa la dea dell’accaduto, rimproverandole di aver tradito la loro amicizia. Benché dispiaciuta per le accuse ingiuste di Cariclo, Atena ha pietà della compagna. Dapprima, le obietta che non è per colpa sua che il figlio ha perso la vista, ma in osservanza alle «leggi di Crono», che vietano ai mortali di osservare un dio, a meno che non sia il dio stesso a volerlo. Quindi, come compenso della cecità ormai irrevocabile, la dea concede a Tiresia grandi doni, facendone un indovino (mantis) di nobile fama, in grado di riconoscere gli uccelli fausti e infausti e di fornire vaticini ai mortali. Gli dona inoltre un lungo bastone, che ne guiderà i passi benché cieco, una vita longeva, e il singolare privilegio, attestato già da Omero1, di conservare intatte le sue facoltà intellettuali, il suo noos, anche una volta morto2. Il noos gioca un ruolo importante anche in un’altra versione del mito, in cui Atena ripaga Tiresia per la perdita della vista «trasferendo al suo noos i guizzi dello sguardo»3. Infine, in una tradizione attestata da Apollodoro4, la cecità di Tiresia è compensata da Atena con un udito eccezionale: la dea «gli purifica le orecchie in modo che possa intendere il linguaggio degli uccelli».

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saturno_lazio

Il mito greco racconta che Crono era stato spodestato da suo figlio Zeus. Questi ne aveva preso il posto e lo aveva costretto a fuggire in isole lontane. La versione romana introduce una variante: dopo che Saturno è scacciato dal figlio, arriva nel Lazio, regione che porta questo nome proprio perché l’ha nascosto1.

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I figli di Urano

Gaia e Urano si uniscono in un amplesso permanente, ma Urano ha in odio i figli sin dall’inizio, li respinge nel ventre di Gaia, la Terra, e non permette loro di venire alla luce. Crono, l’ultimo nato, riesce a salvare i fratelli con l’aiuto della madre, che lo arma di una falce: con essa Crono evira il padre, sorprendendolo nel momento in cui si stende su Gaia1.

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I figli di Crono

Crono si unisce a Rea ma ne ingoia i figli, per impedire che si compia quanto i suoi genitori gli avevano predetto, che cioè uno di essi lo avrebbe spodestato. Rea decide però di salvare l’ultimo nato, Zeus, partorendolo di nascosto in una caverna del monte Ida a Creta e offrendo a Crono da divorare una pietra avvolta in fasce. Zeus, allevato lontano dal padre, una volta adulto libera i fratelli costringendo Crono a rigettarli, quindi stabilisce il suo regno, destinato a permanere nel tempo e al quale sono sottoposti tanto gli dèi quanto gli uomini. Grazie a Zeus gli dèi olimpi sconfiggono i Titani e conquistano il potere, mentre Zeus riceve dagli stessi fratelli la regalità. La sua prima sposa è Metis, ma quando questa è sul punto di partorire Atena, Gaia e Urano consigliano a Zeus di inghiottirla. In questo modo Zeus integra il principio generatore femminile e dando alla luce egli stesso la figlia Atena rimuove la minaccia che i suoi discendenti possano contendergli il privilegio regale1.

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distribuzione_poteri

Dopo la battaglia contro i Titani, gli dèi olimpi prevalgono e offrono concordemente la regalità a Zeus, che si è rivelato di gran lunga il più forte tra loro. Il figlio di Crono distribuisce tra i fratelli i poteri, in modo che ognuno conservi la sua parte di onore: Zeus ha la zona superiore del cosmo, il cielo e tutto l’etere, Ade il mondo dell’oltretomba, Poseidone il regno del mare1. Al di sopra di tutti si trova Zeus, sovrano incontrastato, dalla forza invincibile, superiore non solo a quella dei fratelli ma anche di tutti gli dèi messi insieme2.

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Dal sangue nascono i mostri

Generato da Gaia, la Terra primordiale, Urano si unisce alla madre, con la quale genera i Titani e i Ciclopi, figli che odia, costringendoli a rimanere nelle viscere della Terra. Gaia, allora, chiede aiuto al figlio Crono, il quale, dotato di falce dalla madre, evira il padre Urano. Il sangue che sgorgherà dai testicoli recisi cade sulla Terra stessa e da esso nascono le Erinni, ovvero le Furie vendicatrici, i Giganti armati di falce e le Meliadi, divinità degli alberi1. Medusa è l’unica mortale fra le Gorgoni, donna mostruosa dai capelli di serpente e dallo sguardo capace di pietrificare chiunque la fissi negli occhi. L’eroe Perseo, aiutato da Atena, riesce a decapitare Medusa, reggendo in mano uno scudo su cui è riflessa l’immagine mostruosa, mentre egli gira la testa dall’altra parte. Dal sangue della Gorgone nascono Pegaso, il cavallo alato, e il gigante Crisaore, generati dall’unione con Poseidone, il solo che non aveva temuto di unirsi a lei2. Infine, il gigante Picoloo, durante il combattimento con gli dèi olimpici, fugge nell’isola di Circe, di cui tenta di impadronirsi cacciando la legittima proprietaria. Il Sole, padre di Circe, punisce allora Picoloo con la morte; dal suo sangue nasce l’erba moly, di colore bianco, ma nera alla radice, come il colore del sangue del gigante3.

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Nascita di Afrodite

I genitali di Urano, recisi da Crono e scagliati nel mare, vengono per lungo tempo portati al largo, dove si forma una spuma bianca nella quale prende corpo una fanciulla. È una dea piena di grazia, sotto i suoi piedi germoglia l’erba, gli dèi e gli uomini la chiamano Afrodite perché è stata nutrita dalla spuma (aphros). A lei si accompagnano Eros e Himeros, Amore e Desiderio, e la sua competenza riguarda i sussurri delle fanciulle, i sorrisi e gli inganni, il dolce piacere, l’amore e la dolcezza1.

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Chirone, medico immortale e maestro di eroi

Figlio di Crono e dell’Oceanina Filira, Chirone si distingue per la sua conoscenza medica e farmacologica e per la sua abilità come chirurgo. Egli viene ricordato più volte come l’inventore della farmacologia delle piante, tanto che il suo nome diverrà proverbiale, in tal senso, fino all’epoca ellenistica. Chirone, pur essendo immortale, agisce sulla terra, tra gli uomini, non si dedica alla cura degli dèi. Questa posizione intermedia, a discapito della nascita divina, si rivelerà particolarmente dolorosa per il Centauro: ferito da una freccia di Eracle, diviene il portatore di una piaga inguaribile, proprio a causa della sua immortalità. Solo la rinuncia a questa prerogativa gli varrà la liberazione dal suo dolore fisico e morale .

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Le cinque età dell’umanità

Per prima venne la stirpe d’oro, all’epoca di Crono: gli uomini di questa epoca vivevano felici, senza dolori, in una condizione quasi divina; la morte li coglieva come un dolce sonno; la terra produceva spontaneamente ogni frutto. All’estinzione di questa stirpe, gli dèi sopperirono con la creazione di un’altra, d’argento: gli uomini di questa stirpe vivevano una lunghissima fanciullezza di cento anni, ma, una volta divenuti adulti, si abbandonavano a continue contese e non tributavano agli dèi i dovuti onori, motivo per cui anche questa stirpe andò incontro a una rapida estinzione. La terza stirpe fu quella degli uomini di bronzo, dediti unicamente alle opere di Ares e dunque votati a uno stato di guerra continua, che ne decretò la fine precoce. Quarta fu la stirpe degli eroi, ossia dei semidei: uomini che si segnalarono per la loro prodezza e giustizia, ma che furono man mano sterminati dalle grandi guerre del mito, come quella combattuta intorno alle mura di Tebe o a quelle di Troia; agli eroi, però, Zeus riservò un felice destino dopo la morte, trasportandoli nelle Isole dei Beati, ai confini dell’Oceano, a godere di una condizione simile a quella della stirpe aurea. Come quinta e ultima gli dèi crearono la stirpe di ferro, con cui Esiodo identifica gli uomini viventi alla sua epoca, condannati a un’esistenza di fatiche e di dolori sempre crescenti e senza rimedio1.

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