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Caducità della vita: il cadavere di Lica

Scampati al naufragio della barca sulla quale viaggiavano, Encolpio, Gitone ed Eumolpo scorgono un cadavere trascinato dalla corrente sulla spiaggia. Turbato da quella visione, Encolpio rivolse gli occhi umidi a quel mare traditore e disse: «Quest’uomo da qualche parte ha una moglie che lo aspetta, o un figlio o un padre che nulla sanno della sua infelice sorte: di certo il giorno della partenza ha salutato qualcuno, credendo di rivederlo. Ecco come vanno a finire i progetti degli esseri umani!». Encolpio era certo che si trattasse di uno sconosciuto e invece, poco dopo, riconobbe il volto di quello che fino a poco tempo prima era stato il tremendo Lica. A quel punto il giovane, tra le lacrime, esclama: «Dov’è finita la tua tracotanza, Lica? Ma guardati: poco fa ti vantavi delle tue ricchezze, mentre ora giaci in balia dei pesci, e della tua nave non resta neppure una tavola. E voi mortali, che vi riempite la testa di progetti e accumulate beni, guardatelo questo qui che fino a ieri contava tutta la sua roba e già si vedeva di ritorno dal viaggio. È proprio vero: chi combatte è tradito dalle armi; chi fa voti agli dei vede crollarsi la casa; chi per la fretta si butta su un cocchio finisce che cade e ci lascia la pelle… Tirate le somme, il naufragio arriva dovunque! Comunque il corpo è destinato a morire; qualunque cosa accada, la fine è uguale per tutti»1.

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Encolpio, Ascilto e Gitone

Dopo una lite furibonda con l’amico Ascilto a causa di Gitone, che il primo aveva molestato, Encolpio fa di tutto per liberarsi del rivale, adducendo una serie di plausibili scuse. Ma è il desiderio a mettergli in corpo una gran fretta di separarsi dall’amico, per poter riprendere col suo giovane amante le vecchie abitudini. Così, quando finalmente quel terzo incomodo di Ascilto se ne va, riscossi i primi baci, Encolpio stringe forte Gitone tra le braccia e trae il godimento promesso in modo così pieno da fare invidia. E si intrattiene ancora a giocherellare col suo fratellino, quando d’un tratto si sente un terribile trambusto: qualcuno, scardinato il chiavistello, irrompe con fragore e, colti in flagrante i due, riempie la stanza di risate e di applausi. «Ma bravo, fratello! È questo che fai?», esclama Ascilto, in piedi davanti a loro, che di andarsene aveva fatto solo finta. In un lampo si sfila la cinghia e, prima che Encolpio se ne renda conto, oltre agli insulti, lo riempie di nerbate assai poco amichevoli. «Così impari», esclama, «a non voler condividere nulla col tuo amico Ascilto1.

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Tentativo di stupro di Gitone

Encolpio è appena tornato alla pensione dove alloggia col suo amico Ascilto quando vede Gitone seduto in un angolo del letto ad asciugarsi le lacrime. «Che succede?», gli chiede preoccupato. Ma il ragazzo non fiatava. Solo dopo che Encolpio lo ha pregato, mescolando le suppliche alla collera, Gitone, suo malgrado, parla: «Questo tuo amico qui presente è tornato di fretta poco prima di te e ha tentato di portarmi via con la forza il pudore. E poiché io mi son messo a gridare, ha impugnato una spada e mi ha detto: “Se credi di essere Lucrezia, hai trovato il tuo Tarquinio!”». «Che hai da dire a tua discolpa?», ruggisce Encolpio. Quello fa spallucce: «Pensa a te, piuttosto, che, per Ercole, pur di essere invitato a cena fuori, ti sei messo a lodare quel poetastro di Agamennone!». Così, da una terribile lite, i due scoppiano in una grassa risata. Ma quando Encolpio si ricorda dell’affronto che Gitone ha subìto, gli è chiaro che con Ascilto non si possa più andare d’accordo1.

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Quartilla si approfitta di Encolpio, Ascilto e Gitone

La libidinosa Quartilla ha affittato per un giorno l’intera pensione dove Encolpio, Ascilto e Gitone alloggiano, ordinando che nessuno li disturbi, desiderosa, a suo dire, di iniziarli ai riti orgiastici di Priapo. I tre sono quindi in trappola, circondati da lei e dalle sue ancelle vogliose. Preoccupato per i possibili esiti, Encolpio non riesce a proferir parola. Potrebbe urlare, ma sa che nessuno sarebbe accorso in loro aiuto. Lo conforta però il fatto di essere in compagnia. Del resto, quelle sono solo tre donnicciole, e certamente assai deboli: se mai avessero voluto tentare un qualche assalto, sarebbe stato facile avere la meglio; se la sarebbero vista contro di loro, che, se non altro, erano di sesso maschile e avevano anche il vantaggio di indossare abiti più succinti, che garantivano ampiezza di movimenti; e se mai si fosse arrivato a combattere, sarebbero stati comunque tre contro tre1.

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