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Miti

Nascita di Orione

Irieo vive a Tanagra e non può procreare. Un giorno accoglie nella propria casa Zeus, Hermes e Poseidone. I tre immortali, per ricompensare l’uomo dell’ospitalità ricevuta, s’impegnano a esaudire il suo massimo desiderio. Irieo chiede un figlio. Allora gli dèi prendono la pelle del bue o del toro che era stato loro sacrificato, la 'inseminano' (apespermenan), poi ingiungono a Irieo di interrarla e di recuperarla dopo dieci mesi. Al compiersi di questo tempo nasce Urione, così denominato dall’atto di urinare (to ouresai) nella pelle bovina compiuto dalla triade divina, nome che poi si muterà in quello di Orione con il quale il personaggio sarà comunemente noto1.

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Stupro e castigo di Io

Io, sacerdotessa di Era, fu violentata da Zeus (phtheirein) che, scoperto dalla sua sposa, si affrettò a giurare di non averla tradita e toccandola la trasformò in una giovenca di colore bianco. Era chiese dunque a Zeus che le consegnasse la giovenca e le diede come guardia il fortissimo Argo Panopte. Grazie all’aiuto di Hermes che uccise con una pietra Argo, Io cominciò una fuga per terre e per mare e, una volta giunta in Egitto, riacquistò la vecchia forma e diede alla luce, sulle rive del Nilo, Epafo1.

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Metamorfosi Ermafrodito

Il bellissimo Ermafrodito, figlio di Afrodite e di Hermes, ha appena oltrepassato la soglia dell’adolescenza e trascorre le sue giornate errando per i boschi alla ricerca di fonti e corsi d’acqua. Un giorno giunge in Caria, alle acque incantevoli della sorgente presso cui abita Salmacide, una ninfa dalla femminilità esasperata, che rifiuta la caccia vivendo nell’ozio, intenta solo a cogliere fiori e a curare il suo aspetto. Non appena lo vede, la ninfa è conquistata dalla bellezza del giovane; perciò gli si avvicina e parlandogli con dolcezza lo invita all’amore. Ma Ermafrodito non vuole saperne e la respinge con forza, minacciando di andarsene; Salmacide allora finge di ritirarsi, ma si nasconde poco lontano e da lì osserva il giovane spogliarsi e tuffarsi nelle acque trasparenti. Lo spettacolo del bellissimo corpo che nuota nudo sotto lo specchio della corrente accende ancora di più il suo desiderio: vedendolo immerso nelle acque della sua fonte, la ninfa non resiste al desiderio, lo raggiunge e stringendosi a lui cerca in tutti modi di sedurlo. La forza del suo abbraccio però non basta a superare la resistenza di Ermafrodito, che accanitamente lotta per liberarsi dalla stretta; Salmacide capisce allora di non poterlo avere, ma prega gli dèi di poter restare per sempre così, avvinghiata a quel corpo da cui non riesce a stare lontana. Subito il suo desiderio è esaudito: le membra della ninfa diventano tutt’uno con quelle di Ermafrodito e il giovane con orrore osserva il suo corpo farsi più morbido e la sua voce sempre più sottile; disperato per essere divenuto un uomo a metà, invoca vendetta e chiede ai genitori divini che la stessa sciagurata sorte possa toccare a tutti i maschi che si immergeranno nelle acque della fonte Salmacide1.

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L'ariete dal vello d'oro

Nefele (la “Nuvola”, probabilmente un’Oceanina) ha due figli da Atamante, re di Beozia: si chiamano Frisso ed Elle. Ma Atamante sposa in seguito una mortale, Ino(o Demodice) dalla quale pure ha due figli. Costei vuole eliminare la prima discendenza del marito e minaccia Frisso: secondo alcuni cercando di sedurlo (Pindaro), secondo altri invece provocando una carestia e inducendo Atamante a credere che essa si sarebbe risolta solo se avesse sacrificato Frisso a Zeus. Per sottrarre i figli alla pericolosa situazione, Nephele manda a prenderli un ariete prodigioso che aveva avuto in dono da Hermes. L’animale era ricoperto da un fulgido manto di lana d’oro – era perciò chiamato Chrysomallos –, poteva volare e soprattutto parlare come un umano. Aveva perciò avvisato i due ragazzi dei pericoli che incombevano su di loro (Ecateo). Come si capisce, non si trattava di un montone qualunque e la sua origine era infatti semi-divina: era figlio di Poseidone (Nettuno) e della bellissima Teofane1. Lo avevano concepito quando il dio aveva cercato di sottrarre la ragazza ai suoi molti pretendenti, trasferendola nell’isola di Crumissa e mutando la forma di lei e di tutti gli abitanti dell’isola in quella di un gregge di pecore. Anche in quella forma Theofane spiccava comunque per bellezza. Ma i pretendenti l’avevano inseguita fin lì: sbarcati e non vedendo nessun essere umano, avevano iniziato a uccidere le pecore per farne banchetto. Vista la situazione, Nettuno trasformò quelli in lupi, mentre presa egli stesso le sembianze di un ariete, si accoppiò con Theofane. Da questa unione era nato, appunto, l’ariete dal vello d’oro. Come questo fosse finito nelle mani di Hermes e perché il dio l’avesse donato a Nefele non è dato sapere, ma è chiaro che si trattava di una bestia di rango divino. Frisso ed Elle salgono quindi in groppa all’ariete e con questo iniziano a sorvolare terre e mari. Giunti sopra le acque che separano il continente europeo da quello asiatico, Elle scivola dalla cavalcatura, precipita in mare e vi muore: da quel momento quel luogo sarà chiamato Ellespontos (il “Mare di Elle”). Frisso invece giunge sano e salvo in Colchide, dove decide di sacrificare l’ariete ad Ares (o a Zeus/ Il motivo di questa uccisione non è precisato dalle fonti. In alcuni racconti è Nefele stessa che fa promettere al figlio, una volta tratto in salvo, il sacrificio dell’animale (Igino); un'altra versione vuole che sia Hermes (precedente "proprietario" dell’animale) a suggerire a Frisso di sacrificare la bestia; oppure sarebbe stato l’animale stesso, una volta compiuta la missione di salvataggio, a rivolgere a Frisso parole umane e a suggerirgli di sacrificarlo a Zeus Fyxios (“dei fuggitivi”)2. Si sarebbe trattato insomma di qualche cosa di più che un semplice assenso della vittima, come il rito classico normalmente prevedeva dall’animale condotto all’altare: Crisomallo, già un prodigio di per sé, avrebbe organizzato uno stupefacente auto-sacrificio. Il suo manto splendente, rimosso dal cadavere, viene appeso a un albero nel bosco sacro di Ares e custodito da un enorme drakon (e lì rimarrà fino a quando Giasone non riuscirà a prenderlo, con l’aiuto di Medea). Altri dicono che il montone non fu sacrificato: si sarebbe volontariamente spogliato del proprio manto per donarlo a Frisso e, così privo del vello, sarebbe volato in cielo per diventare la costellazione dell’Ariete – per questo tale costellazione sarebbe poco luminosa (Eratostene). Diversamente, sarebbe stata Nefele a fissare l’immagine dell’Ariete prodigioso nel cielo dopo la sua morte per mano di Frisso3.

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Teogonia esiodea

All’inizio ci sono Chaos, l’abisso originario dell’informe e dell’indefinito, poi Gaia, la Terra, potenza primordiale che costituisce l’assise dell’universo a venire, quindi Eros, che senza avere discendenza propria è tuttavia la potenza indispensabile per mettere in moto la dinamica delle filiazioni divine, avviando così il processo teogonico. Chaos mette al mondo Notte ed Erebo, e dall’unione di questi nascono Etere e Giorno: l’oscurità e la luce, nello spazio e nel tempo, vengono a costituire le coordinate essenziali in cui l’universo può prendere forma. Gaia mette al mondo per partenogenesi i Monti, che articolano la sua superficie, Ponto, il salso Mare che si agita negli abissi terrestri, e Urano, il Cielo che la sovrasta definendone il limite superiore. Unendosi a Ponto, la Terra primordiale genera una serie di potenze legate al mondo acquatico, talvolta benevole talvolta mostruose. Dalla sua unione con Urano sono generate la maggior parte delle entità divine che strutturano l’universo, tra cui: Oceano, il fiume divino che circonda la terra, delimitandola, ed è, con Teti, all’origine delle acque dolci; Iperione, "Colui che si muove in alto" e Theia, "Divina", che unendosi danno vita a Sole, Luna e Aurora, specializzando così nella discendenza le prerogative evocate dai rispettivi teonimi. Gaia e Urano non solo costituiscono la coppia primordiale Cielo-Terra, ma sono anche i capostipiti della dinastia divina regnante. Oltre a generare Ciclopi e Centimani, terribili divinità che rappresentano la potenza delle armi e della forza bruta, essi mettono al mondo i Titani, il più giovane dei quali, Crono, evira Urano su istigazione della stessa Gaia, adirata con il figlio e sposo che respingeva nelle viscere della terra la loro prole. La dinamica cosmogonica e poi teogonica si articola infatti, nel poema di Esiodo, con il mito di successione che vede Crono impadronirsi del potere e diventare sovrano degli dèi, per poi essere detronizzato da suo figlio Zeus. Per conservare il proprio potere, Crono ingoiava i figli generati dall’unione con la sposa e sorella Rea, ma questa, grazie all’aiuto di Urano e Gaia, riesce a salvare il loro ultimo nato, Zeus, destinato a diventare il re degli dèi. I fratelli e le sorelle di Zeus (Ade, Poseidone, Era, Demetra ed Estia) formano la prima generazione degli Olimpi, e una volta liberati dalle viscere di Crono entrano in azione al fianco dell’erede designato. Grazie a una attenta politica di alleanze, e all’aiuto di Ciclopi e Centimani, Zeus riesce a sconfiggere Crono e i Titani, e a rinchiuderli per sempre nella prigione infera, il Tartaro. Gaia genera però proprio con Tartaro un nuovo dio, Tifone, quintessenza di tutte le forze caotiche e distruttive, che Zeus sconfigge in singolar tenzone, dimostrando così di possedere la forza necessaria per salvaguardare il cosmo anche dalla più terribile minaccia. Gli dèi tutti gli conferiscono allora, su consiglio della stessa Gaia, la dignità sovrana, e il re degli dèi procede quindi come promesso a ripartire gli onori tra le varie divinità in funzione delle prerogative di ciascuna. Zeus non solo stabilizza il mondo divino, ma anche ne espande e ne precisa le articolazioni attraverso un’accorta strategia matrimoniale, che è all’origine della seconda generazione degli Olimpi: sotto il regno di Zeus, vengono alla luce gruppi divini quali le Moire, le Cariti, le Muse, ma anche Apollo e Artemide (nati dall’unione con Leto), Persefone (la figlia generata con Demetra e poi concessa in sposa al fratello Ade), Atena (partorita da Zeus dopo che questi si era incorporato la dea Metis: vedi sopra), e altri dèi ancora. Zeus prende Era quale “ultimissima” sposa, e con lei dà alla luce, oltre a Ilizia, Ares, il guerriero divino, ed Ebe, la giovinezza fatta dea. La regina non genera tuttavia un erede al suo re: quello che per una coppia sovrana "normale" rappresenterebbe un punto di debolezza, diventa sull’Olimpo un punto di forza, posto a garanzia dell’eternità del regno di Zeus. La famiglia degli Olimpi continua comunque ad allargarsi con l’introduzione degli ultimi figli di Zeus: Hermes, il dio nato dall’unione con Maia, Dioniso nato immortale dall’unione con una donna mortale, Semele, e infine Eracle, nato mortale, ma destinato eccezionalmente a diventare dio.

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Ripartizione degli onori

Il poema si apre con l’immagine delle Muse che rallegrano con il loro canto gli Olimpi, e con quella di Zeus che è celebrato per aver ripartito equamente gli onori (timas) tra gli dèi. Come il canto teogonico di Hermes nell’1, quello di Esiodo racconta come e quando gli dèi vennero all’esistenza e in che modo essi si spartirono gli onori. Nella narrazione esiodea tali temi sono strutturalmente collegati al mito di successione: dal tessuto del racconto si evince infatti che anche al tempo di Crono c’era stata una ripartizione (dasmos) degli onori tra gli dèi. Al momento di guadagnarsi alleati nella lotta contro Crono e i Titani, Zeus promette di procedere, una volta divenuto sovrano, a una nuova ripartizione, confermando gli onori delle divinità che li avevano già ricevuti, ma anche conferendoli a quelle cui non erano stati ancora riconosciuti: il dio si impegna a una ripartizione rispettosa della themis2. Dopo aver sprofondato nel Tartaro Crono e i Titani, Zeus sconfigge anche un ultimo avversario, Tifeo, temibile dio che incarna le forze del caos, ed è a questo punto che egli ottiene per investitura la time regale. Forte di tale riconoscimento, il legittimo sovrano mantiene la promessa fatta e come primo atto del suo regno ripartisce in modo equo gli onori (diedassato timas) tra gli dèi, riconoscendo a sua volta le legittime prerogative di ciascuno di essi. Dopo aver stabilizzato il suo regno incorporandosi la dea Metis, che incarna l’intelligenza astuta e preveggente, egli prende poi in sposa Themis, la potenza divina che rappresenta la norma e l’esigenza di equilibrio, con cui genera non solo le Ore ma anche le Moire, ovvero le “Parti”.

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Hermes: furto di bestiame e il sacrificio

Appena nato dall’unione segreta di Zeus e dell’Atlantide Maia, Hermes abbandona la dimora materna, collocata in una grotta del monte Cillene (in Arcadia), per mettersi alla ricerca delle vacche del fratello Apollo. Giunto di notte presso i prati della Pieria, dove pascolano le mandrie degli immortali, il dio di Cillene, approfittando dell’oscurità, sottrae cinquanta capi di bestiame dall’armento di Apollo e li conduce presso una stalla lungo il corso dell’Alfeo. Qui, Hermes uccide due vacche e ne divide la carne in dodici porzioni, assegnate a sorte a ciascuno dei dodici dèi, il gruppo di divinità rappresentativo in molte città greche dell’intero insieme del pantheon. Benché attratto dall’aroma della carne in fase di cottura, Hermes resiste al desiderio di cibo. Il dio, infatti, lascia le carni nella stalla come “segno del suo recente furto” e fa quindi ritorno, con le prime luci dell’alba, all’antro materno1.

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Deucalione e Pirra sfuggono al diluvio

Deucalione, figlio di Prometeo e sovrano di Ftia, in Tessaglia, sposa Pirra, figlia di Epimeteo e Pandora, la prima donna plasmata dagli dèi. Quando Zeus decide di annientare la stirpe dell’età del bronzo con un diluvio, Deucalione, su suggerimento del padre Prometeo, costruisce una grande arca, la equipaggia con tutto il necessario e vi sale insieme alla moglie Pirra. Zeus invia piogge copiose dal cielo, che rapidamente inondano gran parte della Grecia facendo strage di uomini. Tra i pochi a scampare al diluvio ci sono appunto Deucalione e Pirra che, a bordo dell’arca, navigano per nove giorni e nove notti sino a quando non si arenano sulla cima del monte Parnaso. Qui, cessate le piogge torrenziali, scendono finalmente a terra e Deucalione sacrifica (thyei) a Zeus Phyxios (“protettore dei fuggitivi”). In risposta a questo atto di pietà, il sovrano degli dèi invia all’eroe Hermes per chiedergli che cosa vuole. Deucalione sceglie una nuova stirpe di uomini, che nascono dalle pietre che l’eroe e Pirra gettano a terra alle proprie spalle1.

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Hermes e il furto delle vacche

Nel giorno stesso della sua nascita, il piccolo Hermes, figlio di Zeus e della ninfa Maia, compì una serie di imprese degne di nota. Per prima cosa, inventò un nuovo strumento musicale, la cetra, ottenuta legando sette budelli di pecora al guscio di una tartaruga; poi, approfittando dell’oscurità tanto cara ai ladri, rubò cinquanta vacche che appartenevano al fratellastro Apollo, che era nato dall’unione di Zeus con la bella Latona. Per non farsi scoprire, le spinse via facendole camminare all’indietro, in modo che le impronte delle zampe indicassero la direzione opposta. Dopo averne cotte e mangiate due, Hermes fece ritorno a casa nascondendosi nella culla. Ma Apollo, grazie alla testimonianza di un vecchio che aveva assistito al furto, andò da Hermes per costringerlo a rivelargli il nascondiglio della sua mandria; non essendoci riuscito, lo portò sull’Olimpo, dove, alla presenza di Zeus, Hermes dovette ammettere il furto e guidare Apollo nel luogo dove aveva nascosto le vacche.

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Pandora e l’origine del dolore umano

Plasmata da Efesto per volere di Zeus, Pandora è la prima donna offerta agli uomini. Si tratta di un castigo mandato dal padre degli dèi per il gesto di Prometeo, il quale aveva donato agli uomini il fuoco, e destinato a durare per sempre. Pandora è simile alle dee, dotata di abilità nei mestieri da Atena, di grazia da Afrodite, ma anche di scaltrezza e menzogna da Hermes. Epimeteo, ignorando il consiglio del fratello Prometeo di non accettare alcun dono dal padre degli dèi, la accoglie. Le sventure umane hanno inizio quando la donna scopre il vaso nel quale gli dèi hanno riposto tutti i mali, tra cui le malattie, che giungono spontaneamente e in silenzio, di giorno e di notte, portando dolore ai mortali1.

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Oto ed Efialte: il mare trasformato in terra

Una diversa versione vuole i due giganti impegnati nel tentativo di riempire il mare con le montagne, in modo da trasformarlo in terraferma. Inoltre, Efialte intende avere in moglie Era, e Oto Artemide. Riescono a porre in catene Ares, ma Hermes lo libera. Artemide li uccide presso Nasso: la dea si trasforma in una cerva e i due eroi tentando di colpirla si danno a vicenda la morte con i giavellotti1.

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L’isola di Circe e la grotta incantata

A Hermes, che si avvicina all’isola di Circe per ordine degli dèi, la grotta appare circondata da una natura lussureggiante: nel focolare arde il fuoco e per tutta l’isola si spande il profumo della legna bruciata; la dea, all’interno, canta mentre tesse al telaio. All’esterno la grotta è circondata da un bosco, ricco di ogni specie di uccelli. Intorno cresce anche una vite ricca di grappoli, sgorgano quattro polle d’acqua e splendono prati fioriti1.

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