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Devotio e morte del console Decio

L’esito della battaglia tra Romani e Latini era incerto e il console Decio capì che era giunto il momento di interpellare il pontefice massimo; seguendone i suggerimenti, indossò la toga pretesta e, in piedi sopra un giavellotto, pronunciò con il capo velato una lunga preghiera nella quale si consacrava agli dèi Mani e a Tellus, in cambio della vittoria dell’esercito romano. Poi salì a cavallo armato e si gettò in mezzo ai nemici. In questo preciso momento accadeva qualcosa di straordinario: il console appariva più grande di un essere umano; sembrava una vittima espiatoria dell’ira degli dèi, inviata dal cielo per allontanare la rovina dai suoi e riversarla sui nemici. Questi, atterriti e confusi, si allontanarono. I Romani invece, liberati da ogni timore, ripresero la battaglia come se avessero ricevuto il primo segnale di guerra proprio in quell’istante1.

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dichiarazione_guerra

La procedura fu fissata da Anco Marzio, che l’avrebbe tratta dagli antichi Equicoli prima della guerra contro i Latini. Essa si articolava in diverse fasi. Anzitutto il messo, col capo bendato da una benda di lana, raggiunge il territorio del popolo al quale si chiedono riparazioni, dicendo: «Ascolta, Giove, ascolta, o territorio», e qui nomina il popolo cui esso appartiene, «io sono l’inviato ufficiale del popolo romano; vengo ambasciatore secondo il diritto umano e divino, e si presti fede alle mie parole». Egli formula quindi le richieste, chiamando a testimone Giove, e accettando di non tornare mai più in patria se tali richieste fossero risultate contrarie al diritto umano e divino; questo egli ripete al momento di varcare il confine, alla prima persona che incontra, poi entrando in città, e infine giungendo nel Foro. Se dopo trentatré giorni non vengono soddisfatte le sue richieste, egli dichiara la guerra chiamando a testimoni Giove, Giano Quirino e tutti gli dèi del cielo, della terra e degli inferi, demandando la decisione finale al senato di Roma. Se la maggioranza dei senatori si esprimeva in tal senso il feziale, tornato al confine, alla presenza di non meno di tre adulti, scagliava un’asta con la punta di ferro o di corniolo rosso, aguzzata nel fuoco, nel territorio dei nemici e dichiarava ufficialmente la guerra1.

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Le tre vite di Anna Perenna

Secondo alcuni, Anna Perenna era in origine la sorella di Didone. Fuggita da Cartagine in seguito alla conquista della città da parte dei Numidi, dopo un lungo pellegrinaggio la donna approda finalmente sulle coste del Lazio e qui incontra Enea, divenuto nel frattempo re dei Latini. L’eroe l’accoglie nella sua casa e chiede alla moglie Lavinia di trattarla come una sorella. Ella però è subito colta da una gelosia irrefrenabile, che la spinge a progettare la morte dell’ospite straniera. Quella stessa notte Anna, avvertita in sogno da Didone, fugge dalla casa reale nei campi vicini. Si crede che allora il Numico, lo stesso fiume dove più tardi sarebbe scomparso Enea, l’abbia afferrata con i suoi flutti e celata tra i suoi gorghi. Lei stessa poi avrebbe rivelato con la sua voce a quanti la cercavano: «Sono una Ninfa del placido Numico; nascosta nel fiume perenne (amne perenne), mi chiamo Anna Perenna»1. Nel secondo racconto, Anna è invece una vecchia di Boville divenuta famosa per aver prestato il suo aiuto ai plebei rifugiatisi sul monte Sacro al tempo della secessione: ogni mattina ella distribuiva tra il popolo rustiche focacce da lei stessa preparate, permettendo così ai ribelli di sostenersi dal punto di vista alimentare e sopportare gli stenti della rivolta2. Infine, nel terzo racconto Anna, già divenuta dea, recita la parte della mezzana in un episodio di carattere satiresco che la vede protagonista accanto a Marte: quest’ultimo infatti, dopo aver inserito la festa di Anna Perenna nel suo stesso mese, le chiede di convincere Minerva, di cui è innamorato, a cedere alle sue lusinghe. Anna riferisce di essere riuscita a persuadere la dea, ma è lei stessa, coperta di veli in modo da non farsi riconoscere, che si presenta all’appuntamento d’amore. Solo all’ultimo, quando tenta di baciarla, Marte si accorge di essere stato beffato dalla vecchia da cui sperava di ottenere aiuto3.

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