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Morte di Niobe

Niobe, madre di dodici figli, sei maschi e sei femmine, osa mettersi a paragone con Latona, che ha generato soltanto Apollo e Artemide. È un oltraggio molto grave contro la poco prolifica dea e il castigo non tarda ad arrivare: le due divinità assalgono l’eroina armate entrambe del terribile arco; Apollo uccide i figli maschi di Niobe, Artemide le femmine1.

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I cavalli di Achille: il dono della parola

Prima della partenza l’eroe rivolge loro parole sferzanti di incitamento: siete di stirpe divina; perciò questa volta, dice, vedete bene di riportare salvo chi vi conduce; non fate come con Patroclo, che avete lasciato morto sul campo. A queste parole Xanto abbassa la testa giù, a far cadere la criniera per terra e comincia a parlare. La dea Era gli aveva infatti concesso la capacità di articolare suoni umani, per fargli dire futuro e verità: «Questa volta ancora senz’altro ti salveremo, Achille gagliardo: vicino però t’è ormai il giorno di morte e non ne saremo noi causa, ma un gran dio e la Moira potente. E nemmeno fu per nostra lentezza o indolenza se i Teucri strapparono le armi dalle spalle di Patroclo, ma il più forte fra i numi, che Latona belle chiome partorì, lo uccise sul fronte e ne diede ad Ettore vanto. Quanto a noi due, potremmo pure galoppare assieme alle folate di Zefiro, che fra i venti si dice che sia il più veloce: per te resta comunque deciso che sarai domato dalla forza di un mortale e di un dio». Su queste ultime sillabe Erinni, dea che non tollera violazioni alla norma, rende di nuovo il cavallo incapace di articolare parole. Achille non accoglie di buon grado l’annuncio e reagisce a sua volta – non è tanto stupito che Xanto abbia parlato, quanto che gli si rivolga in quel tono, che gli ricordi la morte, mentre l’eroe si aspetterebbe che si dimostrasse solidale con lui nell’entusiasmo della vendetta imminente: «Perché, Xanto, mi predici la morte? Non devi farlo. Lo so anch’io che qui mi tocca morire […] ma non voglio mollare prima di aver incalzato abbastanza i Troiani in guerra».

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primo_lectisternium

«I duumviri dei sacri riti, fatto allora per la prima volta nella città di Roma un lectisternium, per otto giorni cercarono di placare Apollo, Latona, e Diana, Ercole, Mercurio e Nettuno, stesi su tre letti addobbati con la massima sontuosità che quei tempi consentivano. Tale sacrificio fu celebrato anche privatamente. Aperte in città tutte le porte delle case e posta ogni cosa all’aperto, a disposizione di chiunque volesse servirsene, si ospitarono i forestieri, a quanto si racconta, senza alcuna distinzione, noti e ignoti, e si conversò in modo affabile e bonario anche con i nemici; ci si astenne dalle dispute e dai litigi; si tolsero anche, in quei giorni, le catene ai carcerati, e ci si fece poi scrupolo di incatenare nuovamente coloro ai quali gli dei erano così venuti in aiuto».

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figli_niobe

Anfione sposa Niobe, figlia di Tantalo, che genera sei figlie femmine e sei maschi e per questo si vanta superiore a Latona, perché la dea ne aveva messi al mondo solo due. Per punire l’insulto, Artemide uccide le figlie e Apollo i figli con le loro frecce infallibili. Niobe si trasforma allora in roccia, piangendo per sempre il proprio lutto1. Secondo una diversa versione, fu lo stesso Anfione a schernire Latona per l’esiguo numero dei figli e per questo venne punito nell’Ade2. Zeto sposò Aedone, figlia di Pandareo, che generò Itilo. Aedone, forse in un accesso di follia, uccise con la spada il figlio e da allora si trasformò in usignolo, continuando a piangere il bambino3, mentre Zeto morì di crepacuore4. Furono sepolti insieme e a Tebe condivisero la tomba.

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Hermes e il furto delle vacche

Nel giorno stesso della sua nascita, il piccolo Hermes, figlio di Zeus e della ninfa Maia, compì una serie di imprese degne di nota. Per prima cosa, inventò un nuovo strumento musicale, la cetra, ottenuta legando sette budelli di pecora al guscio di una tartaruga; poi, approfittando dell’oscurità tanto cara ai ladri, rubò cinquanta vacche che appartenevano al fratellastro Apollo, che era nato dall’unione di Zeus con la bella Latona. Per non farsi scoprire, le spinse via facendole camminare all’indietro, in modo che le impronte delle zampe indicassero la direzione opposta. Dopo averne cotte e mangiate due, Hermes fece ritorno a casa nascondendosi nella culla. Ma Apollo, grazie alla testimonianza di un vecchio che aveva assistito al furto, andò da Hermes per costringerlo a rivelargli il nascondiglio della sua mandria; non essendoci riuscito, lo portò sull’Olimpo, dove, alla presenza di Zeus, Hermes dovette ammettere il furto e guidare Apollo nel luogo dove aveva nascosto le vacche.

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Apollo diventa pastore

Asclepio, figlio di Apollo, era un medico talmente bravo che non solo guariva i malati, ma aveva addirittura trovato il modo per resuscitare i morti. Per evitare che anche gli uomini diventassero immortali come gli dei, Zeus l’aveva ucciso colpendolo col fulmine; ma Apollo, in preda all’ira, per vendicarsi, aveva ucciso i Ciclopi, colpevoli di avere forgiato il fulmine che aveva provocato la morte di Asclepio. Sdegnato per questo atto di aperta insubordinazione compiuto da suo figlio, Zeus avrebbe voluto scaraventare Apollo nel Tartaro; ma, supplicato da Latona, decise di condannarlo a una pena molto più blanda, costringendolo ad andare a servizio di un mortale, il re Admeto, per pascolare le sue bestie, vivendo insieme ai servi del sovrano tessalo. Il dio svolse il suo compito molto bene, facendo in modo che tutte le vacche partorissero due vitelli per volta.

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Niobe, Eos e le lacrime

Niobe, figlia di Tantalo, mette al mondo con il marito Anfione sette figli e sette figlie. Orgogliosa della sua fecondità, commette l’errore di vantare la propria superiorità su Latona, madre dei soli Apollo e Artemide. La dea chiede allora vendetta ai propri figli, i quali sterminano l’intera prole dell’eroina. Niobe, addolorata, fugge a Sipilo e qui viene tramutata in roccia. Da quel giorno non ha mai smesso di piangere, e dalle sue lacrime nasce una sorgente che sgorga dalla roccia1. Anche il mito di Eos, l’Aurora, è all’origine di un simile fenomeno naturale. Dal matrimonio con Titono, fratello di Priamo, essa dà alla luce Memnone, che durante la guerra di Troia uccide Antiloco, figlio di Nestore, giunto a combattere in aiuto del padre. Achille allora affronta Memnone in un’accesa lotta e le madri dei due eroi, Aurora e Teti, in ansia per la sorte dei figli, si recano da Zeus per un consulto. Il re degli dèi, dopo avere pesato la sorte dei due uomini, stabilisce che Memnone dovrà soccombere, ma Eos ottiene per lui il dono dell’immortalità. Le lacrime versate dalla madre per la morte del figlio, però, danno origine alla rugiada che compare quotidianamente sui campi alle prime luci dell’alba2.

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