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Miti

Lucio e Fotide

Ospite in casa di Milone, Lucio è attirato da Fotide, una servetta arguta, loquace, capace di stare allo scherzo e d’aspetto grazioso, che già con lo sguardo gli aveva fatto capire molto. Un giorno, la trova intenta a preparare la cena e ne approfitta per contemplare ogni dettaglio del suo corpo, soprattutto il capo e i capelli: forse perché questa parte, scoperta e posta in bella evidenza, si offre per prima agli occhi. Lucio si china allora su di lei, la stringe a sé e la bacia; il suo alito profuma di cinnamomo. Fotide ricambia con passione e gli promette che, al calar della notte, lo raggiungerà nella sua stanza1.

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Le arti seduttive di Panfile

Quando Birrena, un’amica della madre di Lucio, viene a sapere durante una cena che quest’ultimo è ospite in casa di Milone, lo tira in disparte: «Fa' attenzione. Milone, l’uomo che ti ospita in casa sua ha una moglie, Panfile. Guardati da lei, dalle sue arti occulte e dai suoi iniqui strumenti di seduzione. Dicono sia una maga, maestra in ogni incantesimo. E quando vede un giovane di bell’aspetto, inizia a tessere una rete di lusinghe, si impossessa del suo cuore e lo lega a sé con eterne catene d’amore profondo. Quelli meno condiscendenti, li trasforma in sasso o in pecora, e talvolta li uccide. Quindi, sta attento, e sta' alla larga da lei». Ma Lucio, che da sempre è affascinato dalla magia, pensa: «Tenermi alla larga? Macché! Non vedo semmai l’ora di tuffarmi a capofitto nella rete di una simile maestra!»1.

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L'asino Lucio comprato dai cinaedi

Il povero Lucio, trasformato in asino, sta per essere venduto. Quando vede il suo compratore, si accorge che si trattava di un uomo devoto alla dea Siria e insieme di un vecchio cinaedus. In effetti, giunto a casa, l’uomo spalanca la porta e urla: «Ragazze! Guardate un po’che bel servetto vi ho portato dal mercato». Ma le ragazze non erano altro che un corteo di cinaedi come lui, che alla vista dell’asino saltano di gioia, fanno urletti e strepitano, tutti eccitati. Lucio viene condotto fuori e legato nei pressi della mangiatoia. Lì vicino c’è un giovane schiavo, piuttosto corpulento. Quando vede l’asino, sospira rincuorato: «Sei venuto, finalmente, a darmi manforte in questo duro lavoro! Che tu possa vivere a lungo, piacere ai padroni e dare così sollievo alla mia povera schiena!». Il giovane, infatti, era il concubino di quei mezzi uomini; e non era il solo. Un giorno, dopo essersi vestiti di colori sgargianti e truccati in volto e sugli occhi, tornano portandosi dietro un robusto contadino, oggetto del loro illecito piacere, che cercano di eccitare in ogni modo. Lucio, non potendo sopportare le abominevoli pratiche cui era costretto ad assistere, tenta di urlare, ma tutto quello che ottiene è un raglio, comunque sufficiente a far accorrere i vicini1.

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Le due Tullie, spose dei due Tarquini

Le due Tullie, figlie di Servio Tullio e di una Tarquinia, hanno sposato i due fratelli Lucio e Arrunte, che la tradizione romana considera a loro volta figli di Tarquinio Prisco, e dunque zii materni delle due Tullie, oppure nipoti del defunto sovrano, e dunque cugini delle Tullie stesse. I due matrimoni uniscono però partner dal temperamento opposto: la Tullia più ambiziosa e spregiudicata ha sposato il Tarquinio più mite e arrendevole, la Tullia più devota al padre e aliena dal delitto, al contrario, il Tarquinio deciso a rivendicare il trono appartenuto un tempo alla sua famiglia. Ben presto i due cognati più animosi, Lucio Tarquinio e Tullia Minore, diventano amanti e si sbarazzano con un duplice delitto dei rispettivi partner, quindi si sposano a loro volta e organizzano la liquidazione di Servio Tullio. Mentre Lucio si presenta in Senato ed espelle violentemente dalla curia l’anziano re, precipitandolo dalle scale e abbandonandolo sul selciato, dove invia poi dei sicari a finirlo, Tullia si imbatte nel cadavere del padre, che impedisce al suo cocchio di procedere, e non esita a calpestarlo con le ruote del carro. Del crimine resta traccia nella stessa toponomastica della città, giacché la via che Tullia stava percorrendo al momento di imbattersi nel corpo del padre venne ribattezzata Vicus Sceleratus1.

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