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Miti

Odisseo e le lacrime della memoria

Odisseo si trova nell’isola di Ogigia, presso la Ninfa Calipso, che ne vorrebbe fare il suo sposo. Odisseo versa calde lacrime ripensando alla sua patria, alla moglie lontana, al figlio. Nonostante l’offerta di Calipso di donargli l’immortalità, ogni mattina l’eroe abbandona il letto della Ninfa e cerca la solitudine per dare sfogo al pianto1. Più tardi, naufragato nell’isola dei Feaci, durante un banchetto a corte Odisseo piange ascoltando l’aedo Demodoco che narra la contesa con Achille e la presa di Troia, e si copre il capo col mantello per nascondere le lacrime2. Menelao si dispera e non è mai pago di lacrime, quando viene rievocata l’uccisione del fratello Agamennone3; quest’ultimo piange persino nell’Ade, quando racconta a Odisseo la trama ordita per la sua uccisione4.

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Metamorfosi di Menta

Menta è una Ninfa amata da Ade, il dio degli Inferi. Quando Ade rapisce Persefone e la porta con sé nel mondo sotterraneo come legittima sposa, Menta lancia spaventose grida e dice di essere più bella della nuova sposa, minacciando che avrebbe scacciato la rivale e si sarebbe ripreso Ade come amante. Ma il dio la trasforma nella pianta profumata che prende il suo nome1.

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Cecità punitiva e redenzione

Il cacciatore Orione viene accecato da Enopione dopo che egli, ubriaco, ha tentato di violentarne la figlia Merope. Si reca quindi alla fucina di Efesto, rapisce un fanciullo, se lo mette sulle spalle e gli dice di guidarlo verso Oriente. Qui, colpito da un raggio di sole, riprende immediatamente la vista1. Anche il pastore Dafni è accecato dalla Ninfa Nomia, cui ha giurato fedeltà eterna, perché un giorno la sua rivale Chimera, dopo averlo fatto ubriacare, riesce a sedurlo e unirsi a lui. Egli, cieco, canta canzoni luttuose2. Licurgo, re di Tracia forte e violento, caccia via con un pungolo il giovane dio Dioniso con le sue nutrici, che scappano via scagliando a terra i loro tirsi, mentre Dioniso si tuffa in mare accolto da Teti. Zeus, adirato, lo rende cieco3.

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Apollo e l’amore incurabile

Apollo si invaghisce della Ninfa Dafne, che lo respinge fuggendo via. Il dio, allora, le corre dietro e prova in ogni modo a conquistarla, ricordandole i suoi nobili natali e le sue virtù divine. Ma quando capisce che quella non si sarebbe lasciata piegare facilmente all’amore, sospira: «Io ho inventato la medicina, nel mondo sono chiamato il soccorritore e ho in me la virtù terapeutica che risiede nelle erbe. Ma poiché l’amore non si può guarire con nessuna erba, le arti che giovano a tutti, non giovano al loro signore»1.

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La ninfa Carna e la difesa della soglia domestica

Carna, il cui nome originario era Crane, era una Ninfa che riusciva sempre a sottrarsi ai suoi molti pretendenti; ma non fu in grado di sfuggire a Giano, che vede tutto quanto accade alle sue spalle. Dopo averla posseduta, il dio le dona il potere sui cardini e un ramo di biancospino per cacciare dalle soglie delle case le strigi, uccelli ingordi della carne e del sangue dei lattanti, gli stessi che aggredirono nella culla Proca, futuro re di Alba Longa, quando aveva appena cinque giorni. Richiamata dai vagiti del bambino, la nutrice chiede aiuto a Crane, la quale accorre e subito con un ramo di corbezzolo tocca la porta, fa segni sulle soglie, cosparge l’ingresso con un filtro magico e infine, offrendo le viscere crude di una scrofa da latte, prega gli uccelli della notte di accontentarsi di quella vittima e risparmiare il bambino. In questo modo Proca fu salvato1.

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Le tre vite di Anna Perenna

Secondo alcuni, Anna Perenna era in origine la sorella di Didone. Fuggita da Cartagine in seguito alla conquista della città da parte dei Numidi, dopo un lungo pellegrinaggio la donna approda finalmente sulle coste del Lazio e qui incontra Enea, divenuto nel frattempo re dei Latini. L’eroe l’accoglie nella sua casa e chiede alla moglie Lavinia di trattarla come una sorella. Ella però è subito colta da una gelosia irrefrenabile, che la spinge a progettare la morte dell’ospite straniera. Quella stessa notte Anna, avvertita in sogno da Didone, fugge dalla casa reale nei campi vicini. Si crede che allora il Numico, lo stesso fiume dove più tardi sarebbe scomparso Enea, l’abbia afferrata con i suoi flutti e celata tra i suoi gorghi. Lei stessa poi avrebbe rivelato con la sua voce a quanti la cercavano: «Sono una Ninfa del placido Numico; nascosta nel fiume perenne (amne perenne), mi chiamo Anna Perenna»1. Nel secondo racconto, Anna è invece una vecchia di Boville divenuta famosa per aver prestato il suo aiuto ai plebei rifugiatisi sul monte Sacro al tempo della secessione: ogni mattina ella distribuiva tra il popolo rustiche focacce da lei stessa preparate, permettendo così ai ribelli di sostenersi dal punto di vista alimentare e sopportare gli stenti della rivolta2. Infine, nel terzo racconto Anna, già divenuta dea, recita la parte della mezzana in un episodio di carattere satiresco che la vede protagonista accanto a Marte: quest’ultimo infatti, dopo aver inserito la festa di Anna Perenna nel suo stesso mese, le chiede di convincere Minerva, di cui è innamorato, a cedere alle sue lusinghe. Anna riferisce di essere riuscita a persuadere la dea, ma è lei stessa, coperta di veli in modo da non farsi riconoscere, che si presenta all’appuntamento d’amore. Solo all’ultimo, quando tenta di baciarla, Marte si accorge di essere stato beffato dalla vecchia da cui sperava di ottenere aiuto3.

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