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Arte divinatoria di Teoclimeno

Mentre Telemaco è sul punto di imbarcarsi per lasciare Pilo e far ritorno a Itaca, gli si fa incontro il mantis Teoclimeno, discendente di Melampo e figlio di «Polifede magnanimo, che Apollo fece indovino». Teoclimeno è un esule, fuggito da Argo per aver ucciso un uomo della sua stessa tribù. Incalzato dai parenti del morto, che intendono vendicare con le proprie mani il congiunto, Teoclimeno non ha altra via di scampo che supplicare Telemaco di accoglierlo sulla sua nave e di portarlo con sé in salvo. Il saggio figlio di Odisseo acconsente alla richiesta di aiuto. Appena giunti a Itaca, Teoclimeno dà subito prova, al cospetto di Telemaco, delle sue competenze divinatorie: un falco, che ghermisce tra gli artigli una colomba, vola incontro al giovane eroe, da destra; il mantis riconosce nel rapace «un messaggero di Apollo», destinato ad annunciare la restaurazione dell’autorità regale di Odisseo. Udita con piacere e speranza la parola mantica dell’indovino, Telemaco lo affida alle cure di un amico e si reca alla capanna di Eumeo, uno dei pochi uomini rimasti fedeli al padre. Telemaco e Teoclimeno si incontrano di nuovo poco dopo nel corso di un solenne banchetto alla reggia di Itaca. Qui, dopo che Telemaco ha appena finito di rispondere a una delle tante richieste di matrimonio con la madre Penelope, la dea Atena, la protettrice più premurosa della famiglia regale itacese, suscita tra i pretendenti un inestinguibile riso: ormai votati a morte certa per l’imminente ritorno di Odisseo, i principi di Itaca «ridono con mascelle altrui», quasi fossero già scheletri che digrignano i denti, mangiano carni cosperse di sangue e hanno gli occhi pieni di lacrime. Naturalmente, tale spettacolo, che è ancora di là a venire per quanto i proci siano già condannati, non è visibile al momento a nessuno dei presenti, eccetto Teoclimeno. Il mantis percepisce (noeo) la rovina che si sta per abbattere sui pretendenti, riuscendo sia ad ascoltare gemiti e singhiozzi dei principi massacrati sia a scorgere i muri imbrattati di sangue e le ombre dei defunti che scendono all’Erebo avvolte da una tetra oscurità. L’agghiacciante visione è riservata unicamente al mantis, tant’è che, udita la sua profezia, i proci prendono a ridere di lui e invitano i giovani ad accompagnarlo in piazza «se qui gli par notte!». Ma Teoclimeno, ormai consapevole di quello che sta per succedere, esce dal palazzo da sé, prima che la strage abbia inizio1.

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Atena spinge Telemaco a cercare il padre

Telemaco cresce in attesa del padre, fino a quando Atena si presenta a Itaca sotto le spoglie di Mente, un amico di Odisseo. Questi viene accolto come ospite da Telemaco e gli consiglia di partire alla ricerca del padre1. Telemaco rompe gli indugi e si mette in mare, recandosi prima a Pilo da Nestore, compagno d’armi di Odisseo a Troia, poi a Sparta da Menelao, dove ascolterà i racconti della guerra e dei diversi ritorni degli eroi e di come di suo padre si siano perse le tracce2.

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Le vacche di Ificlo

Neleo, re di Pilo, in Messenia, aveva una figlia, Pero, che era stata richiesta in sposa da molti pretendenti. Per essere sicuro che il futuro genero fosse un uomo astuto e ricco, Neleo disse che avrebbe dato sua figlia a chi gli avesse portato le vacche di Ificlo, figlio di Filaco, che erano custodite da un cane feroce. Tra i pretendenti alla mano di Pero c’era anche Biante, fratello di Melampo, che chiese il suo aiuto. Melampo, che poteva conoscere il futuro (e sapeva capire il linguaggio degli animali), seppe che avrebbe avuto le vacche solo se fosse stato sorpreso mentre le rubava e fosse stato imprigionato per un anno. Cercò quindi di rubarle, fu messo in prigione e, prima che fosse passato un anno, sentì alcuni tarli parlare tra di loro e dire che avevano ormai divorato tutto il legno delle travi che sostenevano l’edificio nel quale Melampo era stato imprigionato. Melampo chiese allora di essere trasferito immediatamente e, subito dopo, l’edificio crollò. Avendo Filaco compreso che Melampo era un indovino, gli promise che, se gli avesse detto il modo per far sì che suo figlio Ificlo generasse finalmente un erede maschio, gli avrebbe donato le vacche che aveva cercato invano di rubare. Ascoltando la voce di un avvoltoio, Melampo seppe che Ificlo avrebbe dovuto bere per dieci giorni la ruggine raschiata da un coltello col quale, tanti anni prima, Filace aveva castrato un montone. Quando Ificlo ebbe finalmente dalla moglie un figlio maschio, Melampo ricevette da Filace la mandria e, consegnatala a Neleo, poté dare al fratello Biante la donna amata1.

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