Nell’ottavo anno del regno di Numa, mentre Roma è sconvolta da una terribile pestilenza, cade dal cielo uno scudo di bronzo che i Romani, per via della sua forma, chiamano ancile. Lo stesso Numa racconta di aver appreso da Egeria e dalle Muse che quel dono celeste avrebbe garantito la salvezza della città. Per evitare che esso fosse rubato o cadesse in mano dei nemici, il re decide di farne costruire dai suoi artigiani undici copie perfette, in modo da nascondere l’originale. Nessuno tuttavia riesce nell’impresa – si trattava del resto di riprodurre un acheropite, ossia un oggetto non fabbricato da mano umana – tranne Mamurio Veturio, il quale chiese come ricompensa per la sua arte che il proprio nome comparisse nel canto dei Sali, i sacerdoti che Numa aveva istituito per custodire i dodici ancili1.