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Miti

Romolo e Remo "figli del focolare"

Un giorno nel focolare della reggia di Alba Longa apparve un membro virile. Consultato l’oracolo, il re Tarchezio apprese che una vergine doveva congiungersi con quel fallo per dare alla luce un bambino destinato a distinguersi per valore, fortuna e forza. Allora il re ordinò alla figlia di unirsi al fallo, però questa mandò al suo posto una schiava; quando venne a sapere la verità, Tarchezio condannò a morte le due fanciulle, ma la dea Vesta gli apparve in sogno vietandogli di ucciderle. Il re le fece allora imprigionare e ordinò loro di tessere una tela, al termine della quale le avrebbe fatte sposare. Si trattava in realtà di un inganno: di notte la tela, per ordine di Tarchezio, veniva disfatta. Intanto la serva che si era unita al fallo generò due gemelli (Romolo e Remo), che il re consegnò a un certo Terazio perché li uccidesse. L’uomo li espose presso un fiume dove furono allattati da una lupa e nutriti da uccelli di ogni tipo. In seguito, furono trovati da un pastore che li portò con sé e li allevò. Divenuti adulti, i gemelli assalirono Tarchezio e lo sconfissero1.

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La dea Vesta

Quando la Terra si unì a Saturno, dal seme di lui furono generate tre figlie divine: Giunone, Cerere e Vesta. Le prime due si sposarono entrambe e partorirono dei figli, l’ultima rimase priva di marito. Ecco perché la dea, essendo vergine, è lieta di avere come sacerdotessa un’altra vergine e lascia che ai suoi riti accedano solo mani pure. Del resto, con Vesta si intende la fiamma viva, e dalla fiamma non è nato mai alcun corpo. Pertanto, a buon diritto è vergine, perché non restituisce né accoglie alcun seme e ama le sue compagne di verginità1.

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Rea Silvia e lo zio Amulio

Dopo essersi impadronito del regno, Amulio impone alla figlia del fratello il sacerdozio di Vesta, che comportava l’obbligo della verginità, e uccide durante una battuta di caccia il figlio di Numitore. Il ruolo di patruus ricoperto da Amulio diventa rilevante allorché la Vestale subisce violenza dal dio Marte e rimane incinta dei futuri fondatori di Roma: mentre infatti Numitore cerca in ogni modo di prendere tempo, suggerendo di attendere il parto per verificare che nascano effettivamente due gemelli, come il dio aveva profetizzato, Amulio è mosso invece da un’ira incontenibile e impone che Ilia venga battuta a morte con le verghe, poiché ha macchiato il suo corpo di sacerdotessa1. Non mancano tuttavia versioni della storia nelle quali proprio ad Amulio era addebitata la violenza contro la donna, che il re avrebbe aggredito assumendo l’aspetto del dio Marte; i due gemelli sarebbero dunque frutto di una relazione incestuosa. Questa variante rientra nella caratterizzazione di Amulio come tiranno, dato che l’ethos del despota trova proprio nell’infrazione delle norme relative alla sessualità il suo campo privilegiato di espressione; d’altro canto, essa rappresenta il totale rovesciamento del ruolo di custode dell’integrità sessuale dei figli del fratello tradizionalmente attribuito allo zio paterno .

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Luoghi e oggetti sacri della città

«Abbiamo una città fondata dopo aver preso gli auguri; non c’è luogo in essa che non sia pieno di culti e di dèi; i giorni in cui si tengono i sacrifici annuali sono stabiliti, così come i luoghi in cui questi devono essere celebrati. Credete forse che nel banchetto di Giove il pulvinar [il guanciale sul quale veniva deposta la statua del dio] possa essere allestito in un luogo diverso dal Campidoglio? E che cosa ne sarebbe del sacro fuoco di Vesta e della sua statua che è custodita in quel tempio come pegno dell’impero? Che ne sarà dei vostri ancili, Marte Gradivo e tu, padre Quirino? Si pensa dunque di abbandonare in un luogo profano tutti questi oggetti sacri, antichi quanto la città, e alcuni ancora più antichi della sua stessa fondazione? E che diremo poi dei sacerdoti? Non vi viene in mente quale grande sacrilegio stiamo per compiere? Una sola è la sede delle vestali, dalla quale nessun motivo le ha mai smosse se non l’occupazione nemica della città; al flamine di Giove è proibito rimanere anche una sola notte fuori dall’Urbe. Siete sul punto di fare di questi sacerdoti dei Veienti anziché dei Romani? Le tue vestali, o Vesta, ti abbandoneranno e il flamine, abitando fuori dalla città ogni notte, compirà un così grande sacrilegio contro se stesso e lo Stato?»1.

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Le prove di castità di Claudia Quinta e Tuccia

Al tempo dell’ingresso a Roma della dea straniera Cibele, la nave sulla quale viaggiava la statua si era arenata alle foci del Tevere. La matrona Claudia Quinta, per allontanare da sé l’accusa di adulterio, implorò la dea affinché testimoniasse la sua innocenza e riuscì miracolosamente a tirare la nave dietro di sé1. Parimenti, la vestale Tuccia si difese dall’accusa di incesto trasportando con un recipiente forato l’acqua del Tevere fino al tempio di Vesta2.

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La voce profetica e l’altare di Aius Locutius

Siamo alla vigilia dell’assedio gallico del 390 a.C. Mentre passeggia in piena notte lungo la via Nuova, nei pressi del bosco di Vesta, il plebeo Marco Cedicio ode all’improvviso una voce: essa lo ammonisce di avvisare i magistrati che i Galli stanno arrivando. Cedicio riferisce l’accaduto, ma i Romani disprezzano quel membro della plebe, e non temono inoltre i Galli, un popolo poco noto e lontano. Così facendo causano la disfatta della loro città, che viene assediata l’anno seguente. Per espiare questa grave mancanza, decidono quindi di consacrare un altare a quella voce misteriosa nel luogo stesso da cui era stata udita e lo dedicano ad Aius Locutius1.

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