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Virgilio nell’12racconta che a questa forma di divinazione ricorse il re Latino quando vide il suo popolo in grave difficoltà: «Il re, ansioso per i presagi, ricorre all'oracolo di Faunus, il padre che dava i responsi, e ne consulta il bosco nella profonda Alburnea […] qui le genti d'Italia e tutta la terra enotria chiedono responsi nel dubbio». Il sacerdote, dopo aver celebrato un sacrificio, si coricò sulla pelle di pecora, in attesa del sonno. Una volta addormentato fu finalmente ammesso al colloquio con gli dèi .

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Anchise assume il comando del viaggio

Al momento della partenza da Troia Anchise ordina di issare le vele, invita a dirigere prima verso Creta, poi in direzione dell’Italia, invoca gli dèi e ne interpreta segnali e indicazioni. Virgilio ne parla ripetutamente come del «padre Anchise», attribuendogli un ruolo di comando e rispettando in questo modo le convenienze, come osservano i commentatori tardo-antichi dell’Eneide, poiché dal punto di vista dei Romani quella funzione direttiva non può che spettare alla figura paterna.

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Venere aiuta il figlio Enea

È in particolare l’Eneide virgiliana a concedere a Venere uno spazio di primo piano. Sin dall’inizio del poema è la dea, angosciata per la sorte di Enea, a lamentarsi con Giove per la tempesta che trattiene i Troiani lontani dall’Italia; quando essi fanno naufragio sulla costa africana, Venere si mostra al figlio sotto le vesti di una giovane cacciatrice e gli offre le informazioni essenziali per orientarsi in una situazione potenzialmente rischiosa. Di lì a poco ancora Venere avvolge Enea in una nube che gli consente di muoversi in piena sicurezza nella terra straniera, quindi, per proteggere il figlio dalla doppiezza dei Fenici e dall’ostilità di Giunone, cui Cartagine è consacrata, invia Cupido da Didone perché induca la regina a innamorarsi dell’ospite troiano. Nuovamente tormentata dall’angoscia, prega Nettuno di garantire a Enea, salpato dalla Sicilia, una navigazione propizia; e quando l’eroe avvia la ricerca del ramo d’oro che gli consentirà di accedere al regno dei morti, l’apparizione di due colombe, uccelli sacri a Venere, viene interpretata come un segno dell’incessante vigilanza materna. Assente nelle prime fasi dello sbarco in Italia, Venere torna in scena per chiedere al marito Vulcano di approntare nuove armi per Enea, quindi le consegna personalmente al figlio e gli concede quell’abbraccio cui si era sottratta sulla costa di Cartagine. La dea non si tiene lontana neppure dai campi di battaglia, intervenendo ripetutamente a protezione del figlio fino al duello finale con Turno. Virgilio non rinuncia infine a una vertiginosa apertura sul futuro: tra le scene effigiate sullo scudo di Enea, Venere compare nel quadro dedicato alla battaglia di Azio mentre sostiene Augusto nello scontro con le forze umane e divine dell’Oriente. Sollecita verso Enea, Venere non sarà meno attiva al fianco dei suoi discendenti, che si tratti del futuro principe o dei Romani nel loro complesso.

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