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Miti

Il coraggio di Carite

Fra i pretendenti della bellissima Carite vi è Trasillo, un giovane di nobile famiglia, ma gran frequentatore di osterie e di donnacce. Rifiutato a causa dei suoi costumi riprovevoli, il giovane pensa di vendicarsi e durante una battuta di caccia uccide lo sposo di Carite, dopo aver architettato il delitto affinché sembri un incidente. Un giorno però, avvertita in sogno dall’anima dello sfortunato sposo, Carite decide di punire l’infame assassino: lo invita a presentarsi furtivamente di notte nella sua stanza e gli fa bere un potente sonnifero. Poi, con maschia ferocia si lancia contro l’assassino sepolto dal sonno e trafigge gli occhi di Trasillo con uno spillone. Infine, afferra la spada dello sposo e sul suo sepolcro si squarcia il petto1.

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Tiresia e la sessualità maschile e femminile

Passeggiando sul monte Cillene, Tiresia scorge due serpenti intenti ad accoppiarsi. Li separa, o li uccide, e, in seguito a questo gesto, viene tramutato in femmina. Sette anni dopo, ritrovandosi di fronte alla medesima situazione, Tiresia interviene e riottiene il sesso primigenio. Divenuto celebre per questa vicenda, viene interpellato da Zeus ed Era, per dirimere una contesa nata fra i coniugi. Essi avevano discusso per sapere chi, tra uomo e donna, provasse il piacere maggiore nell'atto sessuale. Tiresia, unico al mondo ad avere fatto tutte e due le esperienze, afferma che, se immaginiamo il godimento amoroso fatto di dieci parti, alla donna ne spettano di certo nove, all'uomo una sola. Era, incollerita con Tiresia, per avere svelato il segreto del genere femminile, lo punisce con la cecità, mentre Zeus, come risarcimento, gli attribuisce il dono della profezia e la possibilità di vivere a lungo, fino a sette generazioni di uomini1.

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Edipo: incesto, contaminazione e castigo

Edipo aveva ricevuto dall’oracolo di Delfi il vaticinio che avrebbe ucciso il padre e sposato la madre. Convinto di essere il figlio legittimo di Polibo e Merope, sovrani di Corinto, si condanna a un esilio volontario per eludere l’orribile verità dell’oracolo. In realtà, egli è il figlio del re di Tebe Laio e della moglie Giocasta che i genitori, in virtù dello stesso vaticinio, avevano consegnato a un pastore in tenera età perché fosse ucciso. Edipo, cresciuto, per caso si scontra a un trivio con Laio e la sua scorta e l’uccide senza conoscerne l’identità. Diventa re di Tebe, dopo avere liberato la città dal flagello della Sfinge, e sposa Giocasta vedova di Laio. La città è poco dopo afflitta da una pestilenza che richiede una nuova consultazione dell’oracolo di Delfi. La risposta è che occorre liberare Tebe dal miasma, punendo con la morte l’assassino di Laio. Edipo apre un’inchiesta per individuare il colpevole, avvicinando se stesso e la moglie all’orribile verità. Venuti a conoscenza dei fatti, Giocasta si darà la morte per impiccagione nella stanza che ha condiviso sul figlio; mentre Edipo userà le fibbie che adornavano i vestiti della donna per trafiggersi ripetutamente le pupille, proclamando: «non vedrete i mali che ha sofferto, né quelli che ha fatto soffrire, ma per il tempo che mi resta, vedrete soltanto nelle tenebre coloro che mai avrebbe dovuto e non conoscerete coloro che avrebbe voluto riconoscere»1.

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Castigo e dono dell'arte mantica per Tiresia

Deposte vesti e ornamenti, la dea Atena sta facendo il bagno alla fonte Ippocrene (presso la vetta del monte Elicona) insieme alla sua compagna più cara, la ninfa Cariclo, madre di Tiresia, il futuro indovino tebano. È l’ora del meriggio e il caldo asfissiante suscita la sete di Tiresia che si aggira per i monti insieme ai suoi cani. Avvicinatosi alla sacra fonte per dissetarsi, il giovane vede Atena nuda e immediatamente perde la vista. Disperata per la tragica sorte del figlio, Cariclo accusa la dea dell’accaduto, rimproverandole di aver tradito la loro amicizia. Benché dispiaciuta per le accuse ingiuste di Cariclo, Atena ha pietà della compagna. Dapprima, le obietta che non è per colpa sua che il figlio ha perso la vista, ma in osservanza alle «leggi di Crono», che vietano ai mortali di osservare un dio, a meno che non sia il dio stesso a volerlo. Quindi, come compenso della cecità ormai irrevocabile, la dea concede a Tiresia grandi doni, facendone un indovino (mantis) di nobile fama, in grado di riconoscere gli uccelli fausti e infausti e di fornire vaticini ai mortali. Gli dona inoltre un lungo bastone, che ne guiderà i passi benché cieco, una vita longeva, e il singolare privilegio, attestato già da Omero1, di conservare intatte le sue facoltà intellettuali, il suo noos, anche una volta morto2. Il noos gioca un ruolo importante anche in un’altra versione del mito, in cui Atena ripaga Tiresia per la perdita della vista «trasferendo al suo noos i guizzi dello sguardo»3. Infine, in una tradizione attestata da Apollodoro4, la cecità di Tiresia è compensata da Atena con un udito eccezionale: la dea «gli purifica le orecchie in modo che possa intendere il linguaggio degli uccelli».

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