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Castigo e dono dell'arte mantica per Tiresia

Deposte vesti e ornamenti, la dea Atena sta facendo il bagno alla fonte Ippocrene (presso la vetta del monte Elicona) insieme alla sua compagna più cara, la ninfa Cariclo, madre di Tiresia, il futuro indovino tebano. È l’ora del meriggio e il caldo asfissiante suscita la sete di Tiresia che si aggira per i monti insieme ai suoi cani. Avvicinatosi alla sacra fonte per dissetarsi, il giovane vede Atena nuda e immediatamente perde la vista. Disperata per la tragica sorte del figlio, Cariclo accusa la dea dell’accaduto, rimproverandole di aver tradito la loro amicizia. Benché dispiaciuta per le accuse ingiuste di Cariclo, Atena ha pietà della compagna. Dapprima, le obietta che non è per colpa sua che il figlio ha perso la vista, ma in osservanza alle «leggi di Crono», che vietano ai mortali di osservare un dio, a meno che non sia il dio stesso a volerlo. Quindi, come compenso della cecità ormai irrevocabile, la dea concede a Tiresia grandi doni, facendone un indovino (mantis) di nobile fama, in grado di riconoscere gli uccelli fausti e infausti e di fornire vaticini ai mortali. Gli dona inoltre un lungo bastone, che ne guiderà i passi benché cieco, una vita longeva, e il singolare privilegio, attestato già da Omero1, di conservare intatte le sue facoltà intellettuali, il suo noos, anche una volta morto2. Il noos gioca un ruolo importante anche in un’altra versione del mito, in cui Atena ripaga Tiresia per la perdita della vista «trasferendo al suo noos i guizzi dello sguardo»3. Infine, in una tradizione attestata da Apollodoro4, la cecità di Tiresia è compensata da Atena con un udito eccezionale: la dea «gli purifica le orecchie in modo che possa intendere il linguaggio degli uccelli».

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