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Epimenide cretese purifica Atene

La città di Atene era vittima di una grave pestilenza. Per purificare la città e guarire dal morbo, fu chiamato da Creta Epimenide. La pestilenza ebbe fine dopo che il purificatore cretese ebbe lasciate libere dall’Areopago, dove le aveva radunate, pecore bianche e nere: ai suoi assistenti disse di sacrificarle al dio del luogo dove si fossero fermate. Secondo un’altra tradizione, Epimenide, individuata la causa della pestilenza nell’eccidio perpetrato qualche decennio prima dalla famiglia degli Alcmeonidi a danno dei seguaci dell’aspirante tiranno Cilone, avrebbe compiuto il sacrificio umano di due giovani, Cratino e Ctesibio, e la sciagura sarebbe passata. Superata la crisi, Epimenide ritornò a Creta senza accettare il denaro che gli offriva la città per la sua prestazione1.

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La storia inizia nella città greca di Tebe, dove si trova la giovane donna Ino, sposa del re Adamante. Inoè anche sorella di Semele, dalla cui relazione amorosa con Zeus nasce Dioniso. A causa dell’ira di Giunone, però, Semele è stata fulminata. Dalle ceneri del suo corpo viene estratto il feto di Dioniso, che viene cucito nella coscia di Zeus per completarne la gestazione. Una volta nato (o rinato dalla coscia del padre), Dioniso viene affidato a Ino, che se ne occupa in qualità di zia materna. A questo punto la collera di Giunone per il tradimento di Zeus si rivolge contro di lei e la sua famiglia. Giunone fa in modo che Inovenga a sapere che Adamante, il marito, aveva una concubina. Resa folle dalla gelosia, Inobrucia i semi con cui si sarebbe dovuto ottenere il futuro raccolto. Quest’atto sconsiderato, che può provocare una grave carestia, suscita a sua volta l’ira furiosa di Adamante che uccide uno dei figli avuti con Ino. La giovane madre scappa con l’altro figlio, Melicerta, nel tentativo di salvargli la vita. Fuggono fino al mare in cui si gettano saltando da una rupe. Le divinità marine hanno pietà di loro e, nel mito greco, le divinizzano: lei prende il nome di Leucotea, la dea bianca, in ricordo della bianca schiuma del mare, e il figlio quello di Palemone. Nel mito romano, invece, la loro storia non termina qui. Dopo un viaggio per mare e, in seguito, nel Tevere, i due approdano nel centro di quella che sarà un giorno Roma, vicino al futuro Foro Boario, dove si trovano anche l’Ara Maxima di Ercole e il Tempio di Carmentis. Al loro arrivo, madre e figlio sono attaccati da un gruppo di Menadi, che vogliono impossessarsi del bambino. Inochiede aiuto ed è proprio Ercole che, udite le grida, viene in suo soccorso. Liberati dalle donne infuriate, madre e bambino vengono accompagnati da Carmentis, dea della profezia proveniente anche lei dalla Grecia. Questa provvede a rifocillarli offrendo loro quei biscotti che diventeranno in seguito un’offerta rituale e a tranquillizzarli, rivelando loro di essere al termine delle sofferenze: madre e bambino diventeranno delle divinità del Lazio e saranno conosciuti come Mater Matuta, cioè la divinità dell’aurora e dell’infanzia dei bambini, e Portunus, nome che indica il suo stretto rapporto con le acque navigabili1.

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