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Scilla e Cariddi

Poco prima che lasci l’isola Eea, Circe spiega a Odisseo i pericoli che affronterà nel corso del viaggio. La dea fa menzione di due scogli, uno che svetta con la cima appuntita fino al cielo, l’altro più basso, su cui fa mostra di sé un albero di fico. All’interno del primo vive Scilla, una creatura che uggiola come un cucciolo di cane – e che sembra quindi innocua – ma che in realtà è un mostro tremendo che si ciba di uomini, pescecani, cetacei e di altri mostri marini. Scilla ha dodici piedi invisibili, sei colli lunghissimi, e, su ciascuno di essi, una testa azzannatrice munita di una triplice fila di denti. Nello scoglio più in basso, Cariddi non si lascia mai vedere in superficie, ma la sua enorme bocca assorbe e vomita di continuo, tre volte al giorno, tutto ciò che le capita a tiro. Quando Odisseo arriva nello stretto infestato da queste due orrende creature, dimentica tutte le raccomandazioni fattegli da Circe. La dea gli aveva spiegato che non avrebbe dovuto tentare di difendersi con le armi, ma l’eroe si predispone a una battaglia contro i mostri. Mentre assieme alla sua ciurma è intento a guardare con terrore il vorticare del mare dalle parti di Cariddi, ecco che Scilla si avventa all’improvviso sui suoi compagni. L’eroe assiste impotente alla loro fine, ma riesce a mettere in salvo il resto della flotta. Dopo il pasto sacrilego delle vacche del Sole, però, si trova a passare di nuovo dallo stretto. Qui Cariddi inghiotte tutte le barche e tutti i suoi compagni. Solo Odisseo si salva, aggrappandosi all’albero di fico, mentre Scilla non si accorge di lui1.

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lupo_mannaro

Approfittando del fatto che il mio padrone se n’è andato a Capua a concludere alcuni affari, convinco un nostro ospite, un soldato forte come un demonio, ad accompagnarmi fino al quinto miglio. Partiamo al primo canto del gallo, con una luna così luminosa che sembra giorno, e arriviamo in un cimitero: il mio socio si avvicina a una lapide e si mette a urinare, mentre io conto le tombe fischiettando. A un certo punto, vedo che si toglie tutti i vestiti e li butta sul ciglio della strada. Mentre mi si ferma quasi il cuore per la paura, quello si mette a pisciare intorno ai vestiti e si trasforma in lupo – non sto scherzando, non mentirei per tutto l'oro del mondo. Si mette a ululare e si inoltra nella macchia. Mi avvicino ai suoi vestiti per raccoglierli, ma quelli erano diventati di pietra. Nonostante stia morendo di paura, proseguo nel mio cammino con la spada sguainata, menando colpi alle ombre, e tra uno scongiuro e l'altro arrivo a casa della mia amica che sembro ormai un cadavere (in larvam intravi). La mia amica, stupita di vedermi in giro a quell'ora della notte, mi dice che se fossi arrivato poco prima, avrei potuto aiutarli: un lupo era entrato nel recinto e aveva massacrato tutte le pecore, riuscendo a scappare pur essendo ferito al collo dalla lancia di un servo. Non riesco a dormire per tutta la notte e all’alba me ne vado; quando passo davanti al punto in cui i vestiti del mio compare erano diventati di pietra, ci trovo soltanto una pozza di sangue. Arrivato a casa, trovo il soldato sdraiato sul letto e un medico impegnato a curargli il collo, e allora capisco che è un lupo mannaro (versipellem)1.

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