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Morte di Tito Tazio: empietà e contaminazione

È infatti a Lavinio che si consuma un altro gesto di empietà e violenza, teso a pareggiare il debito di sangue: Tazio è assassinato mentre officia un sacrificio, in un momento in cui la prassi religiosa esige il massimo della purezza e dello scrupolo. Accade invece che il re sabino muoia «trafitto presso gli altari dai coltelli sacrificali e dagli spiedi utilizzati per trapassare i buoi»1. Il sangue degli animali consacrati, offerto per la città e per gli dèi, è orribilmente mescolato a quello del celebrante, al culmine di una faida fra popoli consanguinei. Al delitto fanno seguito una serie di eventi infausti: un’inattesa pestilenza si abbatte sugli abitanti di Roma e Lavinio, la terra e gli animali domestici divengono sterili e una pioggia di sangue si rovescia sui luoghi. Né i Romani né i Laurentini hanno dubbi sul fatto che l’ira divina sia stata provocata dai due atti di empietà rimasti inespiati: l’omicidio degli ambasciatori e il linciaggio di Tazio. Dopo la morte di quest’ultimo, infatti, Romolo si era rifiutato di punire i colpevoli, asserendo che il primo fatto di sangue era stato cancellato dal secondo. Nessun effetto sortisce comunque la sollecitudine religiosa con cui Romolo dà sepoltura al collega sull’Aventino, istituendo presso la sua tomba un culto funebre che prevede l’offerta annuale di libagioni a spese della comunità, identiche a quelle che si versavano sul Campidoglio per l’ambigua eroina Tarpea. Il re deve dunque rassegnarsi a fare piena giustizia: vengono puniti sia gli aggressori degli ambasciatori laurentini sia gli assassini di Tazio e le due città sono purificate attraverso apposite cerimonie lustrali. Anche questi riti entrarono nell’uso tradizionale ed ebbero come sfondo, nei secoli successivi, una non meglio precisata Porta Ferentina2.

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Stupro di Cassandra

Cassandra, la vergine figlia di Ecuba e Priamo, è amata da Apollo che le fa dono della virtù profetica in cambio della rinuncia alla sua verginità, accettando di unirsi a lui. Ma dopo avere ricevuto il dono della profezia, rifiuta di concedersi al dio che, irato, la punisce togliendole la capacità di persuadere gli altri della veridicità delle sue previsioni sul futuro. Un altro episodio di violenza aggressiva contrassegna la vicenda di Cassandra, in quanto Aiace Oileo, con un atto sacrilego, viola la sua verginità quando, durante il sacco di Troia, si era rifugiata presso il tempio di Atena, aggrappata alla statua della dea. Ma Aiace la strappa via facendo vacillare il simulacro divino, provocando così la collera di Atena1.

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Castigo di Cassandra

La troiana Cassandra, giovane figlia di Priamo e di Ecuba, rifiutò di unirsi al dio Apollo che le aveva insegnato l’arte della mantica. Come ritorsione, il dio tolse credibilità ai suoi vaticini. Nel corso dell’assedio a Troia, fu inseguita e violentata dal locrese Aiace sotto la statua di Atena che, incapace di sostenere la vista della scena, volse indietro gli occhi. Nelle Troiane di Euripide, all’interno di un drammatico confronto tra Atena e Poseidone, la dea spiega il suo sdegno nei confronti degli Achei che fino ad allora aveva sostenuto, perché non punirono mai l’eroe per l’atto di hybris commesso nei suoi confronti e all’interno del suo santuario1.

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Edipo: incesto, contaminazione e castigo

Edipo aveva ricevuto dall’oracolo di Delfi il vaticinio che avrebbe ucciso il padre e sposato la madre. Convinto di essere il figlio legittimo di Polibo e Merope, sovrani di Corinto, si condanna a un esilio volontario per eludere l’orribile verità dell’oracolo. In realtà, egli è il figlio del re di Tebe Laio e della moglie Giocasta che i genitori, in virtù dello stesso vaticinio, avevano consegnato a un pastore in tenera età perché fosse ucciso. Edipo, cresciuto, per caso si scontra a un trivio con Laio e la sua scorta e l’uccide senza conoscerne l’identità. Diventa re di Tebe, dopo avere liberato la città dal flagello della Sfinge, e sposa Giocasta vedova di Laio. La città è poco dopo afflitta da una pestilenza che richiede una nuova consultazione dell’oracolo di Delfi. La risposta è che occorre liberare Tebe dal miasma, punendo con la morte l’assassino di Laio. Edipo apre un’inchiesta per individuare il colpevole, avvicinando se stesso e la moglie all’orribile verità. Venuti a conoscenza dei fatti, Giocasta si darà la morte per impiccagione nella stanza che ha condiviso sul figlio; mentre Edipo userà le fibbie che adornavano i vestiti della donna per trafiggersi ripetutamente le pupille, proclamando: «non vedrete i mali che ha sofferto, né quelli che ha fatto soffrire, ma per il tempo che mi resta, vedrete soltanto nelle tenebre coloro che mai avrebbe dovuto e non conoscerete coloro che avrebbe voluto riconoscere»1.

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Le Danaidi e gli Egizi: il rischio dell'incesto

Giunte ad Argo, per evitare l’unione molesta e l’incesto con i cugini figli d’Egitto, si rifugiano, come supplici, presso gli altari della città, dichiarando al sovrano Pelasgo (o Gelanore) di essere pronte a usare le loro cinture per impiccarsi. Il re di Argo si trova drammaticamente messo di fronte alla scelta di dovere decidere tra una guerra sicura contro i figli d’Egitto e il rischio di contaminazione (miasma) che il suicidio delle Danaidi sugli altari comporterebbe. Costrette poi all’unione con i cugini, le fanciulle finiscono tutte per fare strage dei loro mariti nel sonno. Solo la primogenita, Ipermestra, risparmiò il suo compagno che aveva rispettato la sua verginità.1.

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La vestale Opimia rompe la castità

Mentre i Romani si accingono a intraprendere una guerra contro Veienti e Volsci, una serie di prodigi segnala la collera degli dèi e preannuncia una sciagura imminente. L’origine dei fenomeni viene individuata nel fatto che la Vestale Opimia (Oppia, secondo altre fonti), avendo perduto la verginità, contaminava i rituali. Così, a causa della sua impurità, la sacerdotessa fu condannata a morte1.

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Purificazione dopo la strage dei Proci

Svelata l’identità e impugnato l’arco, Odisseo fece strage dei pretendenti in casa sua. Dopo che l’opera era stata compiuta, la prima richiesta del re reduce da Troia fu di avere zolfo e fuoco, perché purificasse la sala dove era avvenuta la mattanza. La nutrice Euriclea provvide; Odisseo con fuoco e zolfo purificò per bene la sala, il soffitto e il cortile1.

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