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Miti

Gli insegnamenti del padre: Enea e Ascanio

Prima di affrontare il decisivo duello con Turno, Enea si congeda dal figlio Ascanio e stringendolo a sé gli dice: «Figliolo, impara da me il coraggio e il vero travaglio, dagli altri la buona sorte. Da me riceverai difesa e grandi compensi. Tu, quando giungerai all’età adulta, fa’in modo di ricordartene e nel ripetere in cuor tuo gli esempi dei tuoi, ti inciti tuo padre e anche tuo zio Ettore»1.

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Trimalcione e lo schiavo

Trimalcione aveva invitato a cena molti ospiti, tra cui Abinna, che sovrintendeva ai lavori per la costruzione di quella che sarebbe stata la sua tomba monumentale. «Mi raccomando», aveva appena finito di dire, «alla mia destra voglio la statua di mia moglie Fortunata che regge una colomba». Proprio allora, tra i vari servitori, entrò uno schiavetto niente affatto brutto. Trimalcione gli si getta addosso e inizia a baciarlo. In tutta risposta, Fortunata prende a insultare il marito, chiamandolo sporcaccione e svergognato, poiché non è in grado di contenere la sua libidine. Trimalcione, offeso da quel rimbrotto, le rovescia in faccia il contenuto del suo calice, e di nuovo giù a litigare. Lei lo accusa di averle fatto quasi perdere un occhio, lui si difende dicendo di aver baciato un ragazzo assolutamente morigerato, non per la sua bellezza, ma per la sua sobrietà, un giovane degno di tanta attenzione. Del resto, lui stesso, a quattordici anni, era stato il favorito del suo padrone – non è mica vergognoso fare quello che il padrone ordina – e al contempo anche della padrona. E così era diventato il signore di quella casa, tanto che il padrone lo aveva nominato coerede del suo patrimonio. Ma Fortunata, intanto, è scoppiata a piangere e non dà segno di calmarsi. Così Trimalcione, esasperato, sbotta: «Ho cambiato idea, Abinna. Ricordati di non mettere nella mia tomba la statua di questa qui. Non sia mai che anche da morto mi tocchi litigare!»1.

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Ripartizione degli onori

Il poema si apre con l’immagine delle Muse che rallegrano con il loro canto gli Olimpi, e con quella di Zeus che è celebrato per aver ripartito equamente gli onori (timas) tra gli dèi. Come il canto teogonico di Hermes nell’1, quello di Esiodo racconta come e quando gli dèi vennero all’esistenza e in che modo essi si spartirono gli onori. Nella narrazione esiodea tali temi sono strutturalmente collegati al mito di successione: dal tessuto del racconto si evince infatti che anche al tempo di Crono c’era stata una ripartizione (dasmos) degli onori tra gli dèi. Al momento di guadagnarsi alleati nella lotta contro Crono e i Titani, Zeus promette di procedere, una volta divenuto sovrano, a una nuova ripartizione, confermando gli onori delle divinità che li avevano già ricevuti, ma anche conferendoli a quelle cui non erano stati ancora riconosciuti: il dio si impegna a una ripartizione rispettosa della themis2. Dopo aver sprofondato nel Tartaro Crono e i Titani, Zeus sconfigge anche un ultimo avversario, Tifeo, temibile dio che incarna le forze del caos, ed è a questo punto che egli ottiene per investitura la time regale. Forte di tale riconoscimento, il legittimo sovrano mantiene la promessa fatta e come primo atto del suo regno ripartisce in modo equo gli onori (diedassato timas) tra gli dèi, riconoscendo a sua volta le legittime prerogative di ciascuno di essi. Dopo aver stabilizzato il suo regno incorporandosi la dea Metis, che incarna l’intelligenza astuta e preveggente, egli prende poi in sposa Themis, la potenza divina che rappresenta la norma e l’esigenza di equilibrio, con cui genera non solo le Ore ma anche le Moire, ovvero le “Parti”.

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Poseidone protesta contro la ripartizione degli onori

Per bocca di Iris, Zeus intima a Poseidone di obbedire ai suoi ordini e ritirarsi dal campo di battaglia. Questi reagisce allora proclamando di essere anch’egli figlio di Crono e in quanto tale homotimos, “uguale in onore”, rispetto al fratello. Nel racconto di Poseidone, l’universo intero era stato un tempo oggetto di un dasmos (“ripartizione”) e ciascuno dei figli maschi di Crono aveva allora ricevuto in sorte una delle tre parti in cui il mondo era stato diviso: a Poseidone era toccato il regno marino, a Hades il sottosuolo e a Zeus il vasto cielo. La terra e l’Olimpo, restati indivisi, risultano invece comuni a tutti, sostiene Poseidone, che invita polemicamente Zeus a restarsene nella sua parte e a dare ordini ai suoi figli e non a chi gli è pari. A tale discorso, Iris risponde però ricordando il superiore potere di Zeus, la cui posizione gerarchica tra i figli di Crono è preminente. Poseidone, per quanto adirato, le dà ascolto e finisce per obbedire, suo malgrado, al sovrano degli dèi1.

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I figli di Crono

Crono si unisce a Rea ma ne ingoia i figli, per impedire che si compia quanto i suoi genitori gli avevano predetto, che cioè uno di essi lo avrebbe spodestato. Rea decide però di salvare l’ultimo nato, Zeus, partorendolo di nascosto in una caverna del monte Ida a Creta e offrendo a Crono da divorare una pietra avvolta in fasce. Zeus, allevato lontano dal padre, una volta adulto libera i fratelli costringendo Crono a rigettarli, quindi stabilisce il suo regno, destinato a permanere nel tempo e al quale sono sottoposti tanto gli dèi quanto gli uomini. Grazie a Zeus gli dèi olimpi sconfiggono i Titani e conquistano il potere, mentre Zeus riceve dagli stessi fratelli la regalità. La sua prima sposa è Metis, ma quando questa è sul punto di partorire Atena, Gaia e Urano consigliano a Zeus di inghiottirla. In questo modo Zeus integra il principio generatore femminile e dando alla luce egli stesso la figlia Atena rimuove la minaccia che i suoi discendenti possano contendergli il privilegio regale1.

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Il padre di Achille

Discendente degli dèi primigeni del mare e delle acque, Teti è una divinità marina di grande potenza. La sua bellezza accende di desiderio Zeus e Poseidone, ma l’antica dea Themis predice che il figlio generato da Teti sarà più forte del padre e consiglia dunque di lasciare agli uomini questo dono pericoloso, in modo che Teti dia alla luce un figlio destinato anch’egli a morire, per quanto immortale nella gloria. Lo stesso Zeus organizza allora le nozze di Teti con Peleo, rampollo della stirpe divina di Eaco; da questa unione nascerà Achille, il più forte tra tutti gli eroi greci1.

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Atreo e Tieste

Secondo un oracolo, a Micene doveva essere re un figlio di Pelope, quello che fosse in possesso del segno della regalità1. Ma la moglie di Atreo, Erope, tradisce il marito con il fratello Tieste, consegnandogli in dono il vello d’oro che era in suo possesso2; Atreo viene così ingiustamente costretto all’esilio, ma successivamente torna a Micene e caccia il fratello3. Quando poi Atreo scopre il tradimento della moglie Erope, decide di vendicarsi nel modo più orribile. Richiamato il fratello, lo invita a un banchetto di riconciliazione che si rivela in realtà una terribile trappola: uccisi i figli del fratello, Atreo li imbandisce come carni4. Tieste riconosce la verità, vomita il pasto sacrilego e rovescia la tavola pronunciando una maledizione sulla casa di Atreo: che questa possa essere rovesciata nello stesso modo5.

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distribuzione_poteri

Dopo la battaglia contro i Titani, gli dèi olimpi prevalgono e offrono concordemente la regalità a Zeus, che si è rivelato di gran lunga il più forte tra loro. Il figlio di Crono distribuisce tra i fratelli i poteri, in modo che ognuno conservi la sua parte di onore: Zeus ha la zona superiore del cosmo, il cielo e tutto l’etere, Ade il mondo dell’oltretomba, Poseidone il regno del mare1. Al di sopra di tutti si trova Zeus, sovrano incontrastato, dalla forza invincibile, superiore non solo a quella dei fratelli ma anche di tutti gli dèi messi insieme2.

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agamennone_menelao

Figli di Atreo ed Erope, Agamennone e Menelao regnano rispettivamente a Micene e a Sparta. Entrambi sposano due figlie di Tindaro: Agamennone prende in moglie Clitennestra, strappandola a un altro sposo di cui uccide il figlio, mentre Menelao chiede in sposa la bellissima Elena, prevalendo su altri forti pretendenti, con cui stringe un patto di alleanza per il futuro. Mentre Menelao si trova a Creta, Elena si innamora del principe troiano Paride, in visita a Sparta, che la porta via con sé a Troia. Menelao chiede allora aiuto al fratello, il quale chiama a raccolta i pretendenti di Elena e riunisce così un vasto esercito per la spedizione che darà inizio alla guerra di Troia1.

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Euristeo, Atreo e il potere su Micene

Dopo la morte di Eracle i suoi figli organizzano una spedizione contro Euristeo, che non solo aveva sottoposto il padre alla schiavitù delle dodici fatiche, ma regnava anche su Micene usurpando una sovranità che sarebbe spettata a Eracle. Euristeo è figlio di Stenelo e di Nicippe, figlia di Pelope e Ippodamia. Prima di partire per la spedizione contro gli Eraclidi, egli affida il regno di Micene allo zio materno Atreo, fratello della madre Nicippe, che era stato bandito dal padre Pelope come punizione per l’uccisione del figlio Crisippo. Dopo l’uccisione di Euristeo da parte di Illo, Atreo e la sua stirpe restano a regnare su Micene1.

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Ostilità tra Numitore e Amulio

I due principi Numitore e Amulio sono entrambi figli del re Proca. Secondo la variante più diffusa del racconto, Numitore eredita il regno del padre e ne viene successivamente privato con la violenza da Amulio; questi consolida poi il suo potere provvedendo a eliminare o emarginare la discendenza sia maschile che femminile del fratello1.

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