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Miti

Marte possiede Rea Silvia

Un mattino, la Vestale Silvia si reca ad attingere l’acqua per i riti sacri. Giunta al ruscello, stanca e accaldata, siede all’ombra di alcuni salici, finendo per assopirsi. Marte la vede, la desidera e la possiede, pur se col suo potere divino nasconde quell’atto furtivo. Silvia si sveglia in preda al languore, e non ne comprende le ragioni. Non sa, infatti, di essere già incinta e di portare in grembo il fondatore della rocca romana1.

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Tarpea si fa corrompere dai nemici

Al tempo in cui il Campidoglio era sorvegliato da Spurio Tarpeio, i Sabini guidati da Tito Tazio entrarono a Roma. Fu la figlia del guardiano, Tarpea, a rendere possibile l’accesso ai nemici. La giovane vergine era uscita dalle mura per prendere l’acqua quando fu sorpresa da Tito Tazio. Tarpea guidò il nemico alla rocca, secondo alcune fonti con la promessa di ricevere in cambio i suoi gioielli d’oro1, secondo altre perché innamoratasi subitaneamente del re sabino2. In tutti i casi, la fanciulla morì, colpita dagli scudi dei nemici.

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Castigo e dono dell'arte mantica per Tiresia

Deposte vesti e ornamenti, la dea Atena sta facendo il bagno alla fonte Ippocrene (presso la vetta del monte Elicona) insieme alla sua compagna più cara, la ninfa Cariclo, madre di Tiresia, il futuro indovino tebano. È l’ora del meriggio e il caldo asfissiante suscita la sete di Tiresia che si aggira per i monti insieme ai suoi cani. Avvicinatosi alla sacra fonte per dissetarsi, il giovane vede Atena nuda e immediatamente perde la vista. Disperata per la tragica sorte del figlio, Cariclo accusa la dea dell’accaduto, rimproverandole di aver tradito la loro amicizia. Benché dispiaciuta per le accuse ingiuste di Cariclo, Atena ha pietà della compagna. Dapprima, le obietta che non è per colpa sua che il figlio ha perso la vista, ma in osservanza alle «leggi di Crono», che vietano ai mortali di osservare un dio, a meno che non sia il dio stesso a volerlo. Quindi, come compenso della cecità ormai irrevocabile, la dea concede a Tiresia grandi doni, facendone un indovino (mantis) di nobile fama, in grado di riconoscere gli uccelli fausti e infausti e di fornire vaticini ai mortali. Gli dona inoltre un lungo bastone, che ne guiderà i passi benché cieco, una vita longeva, e il singolare privilegio, attestato già da Omero1, di conservare intatte le sue facoltà intellettuali, il suo noos, anche una volta morto2. Il noos gioca un ruolo importante anche in un’altra versione del mito, in cui Atena ripaga Tiresia per la perdita della vista «trasferendo al suo noos i guizzi dello sguardo»3. Infine, in una tradizione attestata da Apollodoro4, la cecità di Tiresia è compensata da Atena con un udito eccezionale: la dea «gli purifica le orecchie in modo che possa intendere il linguaggio degli uccelli».

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