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Miti

Le amazzoni e il rifiuto del matrimonio

Tale era il rifiuto delle Amazzoni, una popolazione interamenste dedita alla guerra, le cui donne avevano abitudini tipicamente maschili. Se si univano a degli uomini, allevavano solo le femmine, atrofizzando il loro seno destro perché non fosse d’impedimento nell’uso delle armi e lasciando intatto quello sinistro per l’allattamento1.

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Achille a Sciro

Condotto a Sciro dalla madre Teti che non voleva che il figlio partecipasse alla spedizione contro Troia dove sapeva che avrebbe trovato la morte, Achille travestito con abiti femminili viene affidato al re Licomede. Sbarcato Odisseo sull’isola per cercarlo e associarlo alla spedizione, sospettando che il giovane si nascondesse in mezzo alle altre parthenoi, portò davanti alle fanciulle le armi insieme a dei cesti e altri strumenti per la tessitura. Le fanciulle si gettarono subito sui cesti, mentre Achille, attratto dallo scintillio delle armi, rivelò così la sua vera identità e la sua vocazione e partì quindi alla volta di Troia1.

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Vesti maschili e vesti femminili

L’avvocato Cretico era solito andare in tribunale con una sottile veste da donna, che lasciava assai poco all’immaginazione; qui, sotto gli occhi allibiti dei presenti, recitava le sue arringhe scagliandosi duramente contro ogni tipo di adultera. Eppure, la sua colpa è persino peggiore di quella delle donne che egli fa condannare, nessuna delle quali avrebbe mai indossato una toga da uomo; per lui sarebbe stato più decoroso presentarsi in tribunale nudo1.

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Enea e il mantello di Didone

Dalla loro prima unione nella spelonca, Enea e Didone non si sono più separati e la regina, presa dall’amore, si dimentica del regno e dei suoi doveri. I due amanti passano l’inverno nelle mollezze, rapiti da una vergognosa passione, finché la fama di quell’unione giunge alle orecchie di Iarba, il pretendente respinto, che sdegnato invoca l’intervento degli dèi. Lo sente Giove e ordina a Mercurio di richiamare Enea al suo destino: reggere l’Italia dopo un’aspra guerra, fondare dal nobile sangue di Teucro una nuova stirpe e sottomettere il mondo intero alle sue leggi. Mercurio scende rapido sulla terra e scorge Enea col mantello di porpora che Didone ha tessuto per lui, intento a fabbricare case per la sua regina, e lo investe con una dura invettiva, trasmettendogli l’ordine di salpare che viene direttamente da Giove. Scosso da quell’apparizione, Enea torna in sé e si decide a partire1.

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Tessitura e ruoli di genere

In origine, prima dell’invenzione dei tessuti, si realizzavano vesti intrecciate. Il tessuto, infatti, seguì all’introduzione del ferro, perché è col ferro che si costruisce il telaio, con le sue spole, i fusi, le navette e i rulli rumorosi. Ma prima della stirpe delle donne la natura spinse gli uomini a lavorare la lana: infatti, la razza maschile è di molto più abile e industriosa in ogni forma di artigianato. Le cose andarono così finché i severi contadini non lo trasformarono in un difetto, per far sì che quelli acconsentissero ad affidare una simile attività alle mani femminili e temprassero le membra e le mani col duro lavoro, accettando di sostenere la fatica della coltivazione dei campi, piuttosto che quella del telaio1.

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Camilla: le donne e la passione per l'oro

Tra gli uomini che, nel Lazio, prendono parte alla guerra contro Enea c’è anche una donna, Camilla, che guida un’ala di cavalieri e truppe rivestite di bronzo. Costei, una vergine, non è avvezza, nonostante le mani femminili, alla navetta e al fuso di Minerva, ma a sopportare le dure battaglie e a superare perfino i venti nella corsa campestre. Fu assai valorosa in guerra, finché non venne fuori la sua natura di donna. Quando in campo aperto, fra tutti i nemici, vide Cloreo brillare nella sua armatura frigia, splendente di fibbie d’oro, aureo il suo arco, aureo anche l’elmo, solo lui voleva catturare, lui solo inseguiva, nella mischia di guerra, desiderosa di indossare l’oro predato al nemico, prezioso bottino di guerra. Così, accecata da quell’oro e incauta, ardeva per una passione femminile. Di quella distrazione approfittò Arrunte: scaglia la lancia mirando alla vergine, e il suo colpo va a segno. Febo gli concede di abbattere la confusa Camilla. Lei si accascia dolente, le armi l’abbandonano e la sua vita fugge via tra le ombre1.

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Morte di Semele e nascita di Bacco

Semele non è certa che il suo focoso amante sia davvero Giove, il padre degli dèi. Teme un inganno. Così, gli chiede di mostrarsi in tutto il suo potere, fulmini e saette comprese. Giove, che ha ormai promesso di esaudirla, non può rifiutare. Così richiama a sé tutta la sua potenza divina e, in quel modo, la incenerisce. Semele, però, era incinta di Bacco; Giove allora, deciso a salvare il bambino, che non era ancora ben formato, se lo ricuce nella coscia e successivamente porta a compimento i tempi materni della gestazione. Così la funzione della madre viene espletata dal corpo del padre1.

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Le lacrime di Evandro

Evandro era celebre per entrambi i genitori, ma soprattutto per il sangue della divina madre, Carmenta, che dava responsi veritieri. Costei aveva profetizzato al figlio una serie di vicissitudini che puntualmente si verificavano: il giovane, infatti, venne esiliato insieme con lei e dovette lasciare la sua patria, l’Arcadia. Quando seppe del bando, addolorato, scoppiò in lacrime. A lui che piangeva la madre disse: «Ti prego, smetti di piangere. Devi sopportare virilmente la sorte che ti è data. Com’era previsto dai fati, non sei stato scacciato per tua colpa o per un errore commesso, ma per l’insondabile collera di un dio. Dunque, non dolerti come se fossi il primo a sopportare un simile fato. Per chi è fermo d’animo, ogni terra è patria. La tempesta feroce non infuria tutto l’anno, e anche per te, credimi, verrà la primavera». Incoraggiato da quelle parole, Evandro partì e di lì a poco giunse in Italia1.

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Sospetto di adulterio

Un tale che amava molto sua moglie e stava predisponendo per il figlio la toga virile fu preso in disparte da un liberto, che sperava di subentrare come suo erede più prossimo. Questi, dopo avergli mentito sul conto del figlio e su quello della moglie, aggiunse una calunnia che sarebbe stata motivo di profondo dolore per un uomo innamorato, e cioè che il buon nome della sua casa era contaminato da un adulterio. L’uomo escogitò allora un modo per verificare le parole del liberto: dopo qualche giorno, finse di andare fuori città ma al calar della notte tornò indietro e si introdusse nella camera coniugale. Al buio, toccò una testa d’uomo dai capelli corti e senza attendere oltre trafisse quello che credeva l’amante di sua moglie. Non si trattava, però, di un adultero, ma del suo stesso figlio, che dormiva accanto alla madre. La donna, infatti, gli aveva ordinato di passare la notte con lei per sorvegliare con più attenzione l’età adulta che il ragazzo aveva appena raggiunto. Scoperto il tragico errore, il padre non regge al cordoglio e quella stessa spada che aveva impugnato per l’inganno del servo la rivolge contro sé stesso1.

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Primo incontro tra Enea e Didone

Dopo il naufragio della flotta troiana sulla costa del Nord Africa, Enea avanza col fido Acate per la città di Cartagine, protetto dalla densa nube con cui Venere lo ha celato a sguardi indiscreti. All’improvviso i due si imbattono nella regina di Cartagine, la bellissima Didone, mentre il troiano Ilioneo e altri dei suoi che Enea credeva perduti stanno impetrando l’ospitalità della sovrana. In quel momento la nube divina si squarcia ed Enea si mostra a Didone con il volto e le spalle simili a un dio: Venere aveva infuso al figlio una scintilla di gioventù e aveva fatto sì che dai suoi occhi sprigionassero letizia e valore, lasciando la regina senza parole1.

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Encolpio, seduzione tra schiavi e padroni

Encolpio finge di essere un servo e si fa chiamare Polieno. Un giorno è avvicinato da un’ancella, Criside: «Tu conosci bene il tuo fascino e ne fai sfoggio, come se fossi in cerca di un’acquirente», inizia quella. «A questo mirano le onde ben pettinate dei tuoi capelli, la faccia imbellettata di unguento, il tuo sguardo languido, il modo in cui cammini. E il fatto che ti professi un umile schiavo, non fa altro che attizzare il desiderio di chi arde per te. Se dunque vuoi vendere la tua mercanzia, eccoti un compratore; se invece, com’è più galante, vorrai semplicemente offrirla, ti sarò debitrice per il tuo dono». Allora Encolpio, colmo di orgoglio per quel discorso estremamente lusinghiero, disse: «Ma dimmi un po’, non sarai mica tu questa qui che mi ama?». Criside allora scoppiò a ridere: «Ma sei matto? È della mia padrona che parlavo! Io, anche se sono un’ancella, non mi scomodo mica per meno di un cavaliere!»1.

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Prometeo e l'origine dell'omosessualità

Al tempo in cui forgiava con l’argilla gli esseri umani, il titano Prometeo decide di lavorare separatamente i genitali, per adattarli in un secondo momento ai rispettivi corpi. A sera però, prima di completare il lavoro, il dio viene invitato a cena da Bacco e qui beve tanto da rientrare nel suo laboratorio con passo vacillante. Così, per un errore dovuto all’ebbrezza, Prometeo applica le parti femminili alla stirpe degli uomini e gli organi sessuali maschili alle femmine: così nascono le donne attratte da altre donne e i maschi effeminati1.

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Metamorfosi di Cenide, da femmina a maschio

Giovane e ambita principessa tessala, Cenide accende con la sua bellezza il desiderio di Nettuno ed è costretta a subirne la violenza. Il dio del mare per ricompensarla le offre di regalarle ciò che più desidera, e la ragazza chiede di non esser più donna per non dover sopportare nuovamente lo stesso destino; Nettuno le concede così il grande dono della metamorfosi in uomo, a cui aggiunge di suo anche quello dell’invulnerabilità. Divenuta Ceneo, Cenide inizia dunque una nuova vita come giovane eroe; dotato di un corpo capace di resistere alle aggressioni e addirittura impenetrabile a qualsiasi tipo di ferita, il giovane ben presto sperimenta i vantaggi della sua nuova identità: nella battaglia contro i Centauri tiene valorosamente testa all’immane violenza dei suoi avversari. Nonostante la loro incredulità, che li spinge a ricordare con disprezzo il suo passato di ragazza e a schernirlo come “mezzo uomo”, l’eroe dà prova di straordinaria virilità. I Centauri riusciranno ad avere la meglio su di lui soltanto attaccandolo in gruppo: il giovane Ceneo finirà allora per scomparire sotto il gigantesco cumulo di tronchi di albero che essi gli scagliano contro1.

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Ifide cresce come maschio, e ottiene la metamorfosi

Ifide, una ragazza di Creta, è destinata a una terribile sorte ancora prima di nascere: il padre infatti, spinto dalla povertà, ha deciso di mettere a morte un’eventuale figlia femmina, che non sarebbe in grado di mantenere. In preda alla disperazione, la madre si rivolge alla dea Iside, che le promette il suo aiuto; alla nascita della piccola, la donna fa dunque credere a tutti di aver partorito un maschio. Con questa falsa identità la piccola Ifide cresce felice, almeno fino a quando non arriva il momento di pensare alle nozze. La scelta del padre, infatti, non potrebbe essere più felice e nello stesso tempo sciagurata: Iante, la ragazza prescelta, è compagna dall’infanzia di Ifide e tra loro da tempo è sbocciato l’amore. Si avvicina dunque il giorno fissato per l’unione; ma mentre Iante ne attende l’arrivo con impazienza, Ifide, che è consapevole dell’inganno, si abbandona alla disperazione; ciò che la tormenta non è tanto la paura della punizione paterna, quanto la certezza che il suo amore non potrà essere appagato; se anche avvenissero le nozze, la ragazza sa bene che le sarebbe impossibile congiungersi con Iante. A risolvere le cose interviene ancora una volta la madre di Ifide, che di nuovo si rivolge a Iside per aiuto; la dea invia allora alle due donne segni che mostrano il suo favore, ed ecco che all’uscita dal tempio si compie il prodigio: il corpo di Ifide comincia gradualmente a mutare aspetto, il passo si fa più deciso, il colorito più scuro, si accentuano i tratti del corpo e del volto, cambia la capigliatura e quella che era una fanciulla si trasforma in ragazzo. All’alba del giorno seguente, dopo aver reso grazie alla dea, Ifide diventata maschio può finalmente celebrare tra la gioia di tutti le sue nozze con Iante1.

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Metamorfosi Ermafrodito

Il bellissimo Ermafrodito, figlio di Afrodite e di Hermes, ha appena oltrepassato la soglia dell’adolescenza e trascorre le sue giornate errando per i boschi alla ricerca di fonti e corsi d’acqua. Un giorno giunge in Caria, alle acque incantevoli della sorgente presso cui abita Salmacide, una ninfa dalla femminilità esasperata, che rifiuta la caccia vivendo nell’ozio, intenta solo a cogliere fiori e a curare il suo aspetto. Non appena lo vede, la ninfa è conquistata dalla bellezza del giovane; perciò gli si avvicina e parlandogli con dolcezza lo invita all’amore. Ma Ermafrodito non vuole saperne e la respinge con forza, minacciando di andarsene; Salmacide allora finge di ritirarsi, ma si nasconde poco lontano e da lì osserva il giovane spogliarsi e tuffarsi nelle acque trasparenti. Lo spettacolo del bellissimo corpo che nuota nudo sotto lo specchio della corrente accende ancora di più il suo desiderio: vedendolo immerso nelle acque della sua fonte, la ninfa non resiste al desiderio, lo raggiunge e stringendosi a lui cerca in tutti modi di sedurlo. La forza del suo abbraccio però non basta a superare la resistenza di Ermafrodito, che accanitamente lotta per liberarsi dalla stretta; Salmacide capisce allora di non poterlo avere, ma prega gli dèi di poter restare per sempre così, avvinghiata a quel corpo da cui non riesce a stare lontana. Subito il suo desiderio è esaudito: le membra della ninfa diventano tutt’uno con quelle di Ermafrodito e il giovane con orrore osserva il suo corpo farsi più morbido e la sua voce sempre più sottile; disperato per essere divenuto un uomo a metà, invoca vendetta e chiede ai genitori divini che la stessa sciagurata sorte possa toccare a tutti i maschi che si immergeranno nelle acque della fonte Salmacide1.

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