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Miti

Era e gli strumenti di seduzione

Era, giunta nel talamo, deterge il suo corpo con ambrosia, si unge con unguento profumato. Quindi si acconcia le belle trecce, indossa una veste lavorata da Atena, la ferma con fibbie d’oro, poi mette una cintura con cento frange, ai lobi orecchini a tre perle, sul capo un candido velo, ai piedi lega bei sandali e così ornata si reca da Afrodite, per chiederle quell’incanto d’amore con cui la dea vince tutti i mortali e gli immortali. Quindi Afrodite si scioglie la cintura ricamata, dove ci sono tutte le forze dell’incanto d’amore e del desiderio, e la dà da indossare ad Era che prontamente se ne cinge il petto e si presenta al cospetto del marito sulla cima dell’Ida. Vedendola così abbigliata, desiderio irresistibile coglie Zeus1.

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Primo incontro tra Enea e Didone

Dopo il naufragio della flotta troiana sulla costa del Nord Africa, Enea avanza col fido Acate per la città di Cartagine, protetto dalla densa nube con cui Venere lo ha celato a sguardi indiscreti. All’improvviso i due si imbattono nella regina di Cartagine, la bellissima Didone, mentre il troiano Ilioneo e altri dei suoi che Enea credeva perduti stanno impetrando l’ospitalità della sovrana. In quel momento la nube divina si squarcia ed Enea si mostra a Didone con il volto e le spalle simili a un dio: Venere aveva infuso al figlio una scintilla di gioventù e aveva fatto sì che dai suoi occhi sprigionassero letizia e valore, lasciando la regina senza parole1.

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Filesitero, un seduttore esemplare

Oltre a essere bello, Filesitero era un giovane munifico, ardimentoso e ostinato, specie quando si trattava di sedurre. Alla sua attenzione non sfuggì la nobile avvenenza di Arete, una donna di straordinaria bellezza, ma sposata a Barbaro, un tale dai modi aggressivi che in città chiamavano “lo Scorpione” e che la teneva sotto strettissima sorveglianza, benché quella passasse il tempo per lo più in casa, intenta a filare la lana. Eccitato proprio dalla sua castità e infiammato dall’eccezionalità di quella ben nota sorveglianza, Filesitero era pronto a fare qualsiasi cosa pur di averla. Un giorno, Barbaro dovette partire e lasciò Arete sotto la custodia di un fedelissimo servo, Mirmece. Filesitero, convinto della fragilità della fedeltà umana quanto del potere dell’oro, non esitò ad avvicinare lo schiavo e a rivelargli la sua passione. Supplicandolo, lo prega di alleviare il suo tormento e si dichiara deciso a darsi la morte, qualora non ottenga ciò che desidera. Infine, mostra a Mirmece delle monete d’oro, venti per Arete, se accetterà la sua corte, e dieci per lui, in cambio del suo aiuto. Mirmece finisce per cedere, e con lui anche la donna. Ma Barbaro torna a casa prima del previsto e Filesitero, per la fretta di scappare, dimentica le scarpe. Al mattino, lo Scorpione trova sotto il letto dei sandali da uomo a lui ignoti. Ordina allora che Mirmece sia portato in ceppi nel Foro per non aver fatto il suo dovere. Quando vede il servo in catene, Filesitero intuisce tutto e si scaglia contro di lui: «Ti sta bene, furfante maledetto, che ieri, ai bagni, mi hai rubato i sandali!». Sollevato da queste parole e opportunamente ingannato, Barbaro libera Mirmece e gli raccomanda di restituire i sandali1.

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Tentativi di seduzione di Cefalo

Un mattino, l’Aurora vide Cefalo intento a prepararsi alla caccia e lo rapì, benché lui non volesse. Ma per quanto fosse meravigliosa, col suo viso roseo, Cefalo era perdutamente innamorato di sua moglie Procri. Nel suo cuore c’era solo lei, e di lei parlava continuamente. Tanto che la dea, un giorno, si stufò e indispettita lo rimandò da lei. Tornando a casa, Cefalo si chiese se la sua sposa si fosse mantenuta fedele durante la sua assenza. Aurora lo udì e lo mutò d’aspetto, perché potesse verificare. Giunto a casa, Cefalo rimase senza parole: nessuna mai avrebbe potuto essere più bella, anche se triste. Le mancava il suo Cefalo. Lui allora provò a sedurla, ma la castità di lei respinse tutti i tentativi, finché Cefalo non le promise, in cambio di una notte, un intero patrimonio e una miriade di doni, al punto che Procri iniziò a esitare. «Ah!», sbottò Cefalo, «Ero io il finto adultero! Ti ho colto in flagrante, traditrice!». E Procri, vinta dalla vergogna, fuggì. Suo marito si pentì subito: «Perdonami! Confesso che anch’io, se mi fossero stati offerti doni così grandi, avrei ceduto alla colpa». Così, dopo qualche tempo, Procri lo perdonò e tornò a casa e i due trascorsero, d’amore e d’accordo, molti anni meravigliosi1.

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Eumolpo e i doni della seduzione

Eumolpo, ospite di un tale di Pergamo, diviene precettore del suo bellissimo figlio. Escogita dunque un modo per diventarne l’amante. Una sera i due si addormentano nel triclinio. Verso mezzanotte, Eumolpo si accorge che il ragazzo è sveglio. Così, fingendo di esprimere un voto, sussurra: «Signora Venere, se riuscirò a baciare questo ragazzo senza che lui se ne avveda, domani gli regalerò due colombe». Sentito il prezzo del piacere, il ragazzo finge di russare ed Eumolpo lo riempie di baci; l’indomani, gli porta di buon mattino una coppia di splendide colombe e scioglie così il suo voto. La sera seguente, Eumolpo sussurra: «Se potrò toccare questo fanciullo con mano dissoluta senza che lui se ne avveda, gli regalerò una coppia di galli da combattimento». Udito ciò, il ragazzo si avvicina da sé ed Eumolpo indulge su di lui. E l’indomani, come promesso, il ragazzo ottiene i suoi galli. La terza sera, Eumolpo bisbiglia: «Dèi immortali, se da questo fanciullo, mentre dorme, otterrò un rapporto completo, domani gli regalerò un destriero asturiano». L’efebo non dormì mai di un sonno più profondo, ed Eumolpo ne trasse pieno piacere. Ma l’indomani non c’era ombra del cavallo promesso, cosa che contrariò non poco il ragazzo. Così, quando Eumolpo cercò di far pace con lui, quello si ritrasse: «Se non dormi, lo dico a mio padre», minacciò. Ma Eumolpo insistette fino a farlo cedere, e dopo averne tratto godimento, si addormentò. Il ragazzo però, poiché era nell’età dello sviluppo e desideroso di lasciarsi possedere, continuò a strattonare Eumolpo nel sonno, senza lasciarlo dormire, finché quello, esasperato, esclamò: «Dormi, o lo dico a tuo padre!»1.

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Encolpio, seduzione tra schiavi e padroni

Encolpio finge di essere un servo e si fa chiamare Polieno. Un giorno è avvicinato da un’ancella, Criside: «Tu conosci bene il tuo fascino e ne fai sfoggio, come se fossi in cerca di un’acquirente», inizia quella. «A questo mirano le onde ben pettinate dei tuoi capelli, la faccia imbellettata di unguento, il tuo sguardo languido, il modo in cui cammini. E il fatto che ti professi un umile schiavo, non fa altro che attizzare il desiderio di chi arde per te. Se dunque vuoi vendere la tua mercanzia, eccoti un compratore; se invece, com’è più galante, vorrai semplicemente offrirla, ti sarò debitrice per il tuo dono». Allora Encolpio, colmo di orgoglio per quel discorso estremamente lusinghiero, disse: «Ma dimmi un po’, non sarai mica tu questa qui che mi ama?». Criside allora scoppiò a ridere: «Ma sei matto? È della mia padrona che parlavo! Io, anche se sono un’ancella, non mi scomodo mica per meno di un cavaliere!»1.

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Seduzione e ornamenti del corpo

Esopo era al servizio di una donna molto brutta ma ricca, che impiegava il giorno intero a dipingersi il volto e a indossare vestiti e gioielli, senza trovare nessuno che osasse toccarla. «Posso dire?», fece un giorno lo schiavo. «Secondo me, se abbandoni questi ornamenti, puoi avere ciò che vuoi». La donna fu lusingata: «Ti sembro più carina al naturale?». «Niente affatto. Ma se pagherai, anche senza trucco, avrai di certo chiunque desideri»1.

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Lucio e Fotide

Ospite in casa di Milone, Lucio è attirato da Fotide, una servetta arguta, loquace, capace di stare allo scherzo e d’aspetto grazioso, che già con lo sguardo gli aveva fatto capire molto. Un giorno, la trova intenta a preparare la cena e ne approfitta per contemplare ogni dettaglio del suo corpo, soprattutto il capo e i capelli: forse perché questa parte, scoperta e posta in bella evidenza, si offre per prima agli occhi. Lucio si china allora su di lei, la stringe a sé e la bacia; il suo alito profuma di cinnamomo. Fotide ricambia con passione e gli promette che, al calar della notte, lo raggiungerà nella sua stanza1.

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Le arti seduttive di Panfile

Quando Birrena, un’amica della madre di Lucio, viene a sapere durante una cena che quest’ultimo è ospite in casa di Milone, lo tira in disparte: «Fa' attenzione. Milone, l’uomo che ti ospita in casa sua ha una moglie, Panfile. Guardati da lei, dalle sue arti occulte e dai suoi iniqui strumenti di seduzione. Dicono sia una maga, maestra in ogni incantesimo. E quando vede un giovane di bell’aspetto, inizia a tessere una rete di lusinghe, si impossessa del suo cuore e lo lega a sé con eterne catene d’amore profondo. Quelli meno condiscendenti, li trasforma in sasso o in pecora, e talvolta li uccide. Quindi, sta attento, e sta' alla larga da lei». Ma Lucio, che da sempre è affascinato dalla magia, pensa: «Tenermi alla larga? Macché! Non vedo semmai l’ora di tuffarmi a capofitto nella rete di una simile maestra!»1.

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Appio Claudio attenta alla verginità di Virginia

Il decemviro Appio Claudio è preso dal desiderio di violare una vergine plebea di straordinaria bellezza, figlia di Lucio Virginio. Appio tenta dapprima di sedurre la ragazza con l’offerta di un compenso, ma, ostacolato dal pudore di lei, sceglie di ricorrere alla violenza. Incarica un suo cliente di dichiarare che la vergine era figlia di una sua schiava e dunque di sua proprietà. Quello obbedisce, ma dal momento che una gran folla accorre per impedire quell’ingiustizia, il cliente cita la ragazza in giudizio presso il tribunale di Appio, il quale acconsente a che l’uomo la conduca a casa sua. Ma Icilio, cui la giovane era promessa, protesta e ottiene che sia mandato a chiamare il padre di lei, impegnato in una campagna di guerra. Intanto Appio stabilisce che Virginia sia data in schiava a chi la rivendica. Virginio chiede allora un momento perché, in disparte con la figlia, possa interrogare la nutrice sulla sua nascita. Conduce quindi la giovane nei pressi delle Botteghe nuove e, afferrato un coltello, le trafigge il petto. I Romani piansero il delitto di Appio, la funesta bellezza della fanciulla e l’ineluttabile decisione paterna1.

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Riconoscimento tra Odisseo e Penelope

Quando la nutrice Euriclea annuncia che Odisseo è tornato, Penelope non le crede. Di fronte a Odisseo, lacero e sporco dopo la strage, stenta a riconoscerlo e rimane in silenzio, sospettosa. Odisseo si fa allora lavare, indossa vesti preziose e Atena gli versa sul capo bellezza e grazia. Trasformato dalla dea, torna simile a un dio al cospetto della moglie. Ma poiché lei permane in un ostinato silenzio, Odisseo le chiede di preparargli il letto per dormire da solo. Penelope lo mette alla prova, ordinando all’ancella di disporre il letto fuori dalla stanza, ma Odisseo non cade nel tranello: afferma che nessun uomo potrebbe spostare il loro letto. Egli stesso lo fabbricò, ai tempi del loro matrimonio, intagliandolo da un tronco d’olivo rigoglioso attorno a cui costruì la loro camera da letto. Solo allora Penelope lo riconosce, le si sciolgono le ginocchia e gli corre incontro per abbracciarlo e baciarlo: come la terra per il naufrago è lo sposo per la sposa. Atena trattiene sull’orizzonte il carro dell’Aurora e dona così agli sposi ricongiunti una notte lunghissima. Essi parlano a lungo, poi s’avviano al talamo nuziale, dove godono dell’amore e dei racconti, finché il sonno infine li vince uniti1.

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