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striges

Ci sono degli uccelli voraci (avidae volucres), della stessa stirpe delle Arpie che strappavano il cibo a Fineo: hanno grossa testa, occhi fissi, becco da rapace, piume bianche e artigli uncinati, e le loro prede sono bambini incustoditi. Volano di notte alla loro ricerca, e ne guastano i teneri corpi: con i becchi – si racconta – squarciano (carpere) le viscere dei lattanti (lactentia viscera) e ne succhiano il sangue riempiendosi avidamente il gozzo (plenum poto sanguine guttur habent). Si chiamano striges e l’origine di questo nome risiede nel fatto che di notte stridono (stridere) in modo terrificante. Non si sa se nascano già nella forma di uccelli, o se siano delle vecchie fattucchiere a prenderne l’aspetto con incantesimi e formule marse: quale che sia la loro natura, le creature arrivano alla culla del piccolo Proca, nato da appena cinque giorni. Con le loro avide lingue succhiano (exsorbent) il petto della fresca preda e alle sue grida accorre la nutrice, che trova sul volto del neonato i loro segni: i tagli lasciati dagli artigli e un colorito livido, come quello delle foglie quando d’inverno si seccano. La balia chiede allora aiuto a Crane; questa la rincuora, consola i genitori e promette di salvare la vita del piccolo. Poi, con un ramo di corbezzolo tocca per tre volte gli stipiti delle porte, tre volte segna le soglie, asperge l’ingresso con un filtro magico, e tenendo le viscere crude (exta cruda) di una scrofa di due mesi dice: «uccelli della notte, risparmiate le interiora dei bambini (extis puerilibus): in cambio del piccolo è immolata una piccola vittima. Un cuore in cambio di un cuore (cor pro corde), vi prego, al posto di quelle viscere, prendete queste viscere (pro fibris sumite fibras): vi offriamo questa vita in cambio di una migliore». Mette le viscere sacrificali all’aria aperta e vieta ai presenti di voltarsi a guardarle (respicere), quindi sistema il ramo di biancospino avuto da Giano in corrispondenza di una piccola finestra che dà luce alla stanza. Da quel momento gli uccelli non violano più la culla e al piccolo Proca torna in volto il colorito di prima1.

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strigae_petronio

«Mentre vegliamo il cadavere e la povera madre piange, all’improvviso (subito) le streghe (strigae) iniziano a stridere: un suono acuto, simile al vagito di una lepre inseguita dai cani. Uno schiavo della Cappadocia, grosso, coraggioso e assai forte, sguainata la spada e fasciata la mano sinistra si slancia fuori dalla porta e trafigge una di quelle donne (mulieres). Sentiamo un gemito, ma senza vederle. Quello stupidone rientra gettandosi sul letto, e ha il corpo livido come fosse stato preso a frustate, perché evidentemente lo ha toccato la "mala mano" (mala manus). Chiusa la porta, ci rimettiamo a vegliare il cadavere; ma quando la madre lo abbraccia, toccandolo si accorge che è un manichino fatto di paglia (manuciolum de stramentis factum), senza cuore né interiora né nulla: di certo le streghe lo hanno portato via (involaverant) sostituendolo con un fantoccio di paglia (stramentitium vavatonem). Credetemi, sono donne che la sanno lunga (plussciae), sono creature notturne e mettono tutto sottosopra (quod sursum est, deorsum faciunt). In seguito a questo fatto, il Cappadoce non torna più del suo colore (coloris sui) e dopo qualche giorno muore delirante»1.

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