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Miti

Romolo e Remo "figli del focolare"

Un giorno nel focolare della reggia di Alba Longa apparve un membro virile. Consultato l’oracolo, il re Tarchezio apprese che una vergine doveva congiungersi con quel fallo per dare alla luce un bambino destinato a distinguersi per valore, fortuna e forza. Allora il re ordinò alla figlia di unirsi al fallo, però questa mandò al suo posto una schiava; quando venne a sapere la verità, Tarchezio condannò a morte le due fanciulle, ma la dea Vesta gli apparve in sogno vietandogli di ucciderle. Il re le fece allora imprigionare e ordinò loro di tessere una tela, al termine della quale le avrebbe fatte sposare. Si trattava in realtà di un inganno: di notte la tela, per ordine di Tarchezio, veniva disfatta. Intanto la serva che si era unita al fallo generò due gemelli (Romolo e Remo), che il re consegnò a un certo Terazio perché li uccidesse. L’uomo li espose presso un fiume dove furono allattati da una lupa e nutriti da uccelli di ogni tipo. In seguito, furono trovati da un pastore che li portò con sé e li allevò. Divenuti adulti, i gemelli assalirono Tarchezio e lo sconfissero1.

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Penelope e gli spazi della casa

Le stesse parole di Ettore vengono pronunciate nell’Odissea da Telemaco alla madre Penelope quando, scendendo dalle stanze del gineceo e entrata nella sala degli uomini, ella chiede al cantore Femio di cambiare il suo canto sul ritorno degli Achei e intonarne uno meno doloroso per lei, che ancora non ha visto il ritorno del marito Odisseo. Telemaco rimanda la madre a filare e tessere nelle sue stanze, e conclude «il canto sarà cura degli uomini, di tutti, io soprattutto, che nella casa ho il comando»1.

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Penelope e la tessitura

Per ritardare le nuove nozze cui i pretendenti la sollecitano, dice loro che solo dopo avere terminato di tessere il sudario per il suocero Laerte potrà scegliere lo sposo. Ma di notte disfa la tela tessuta di giorno, ingannando per anni i pretendenti e consentendo al suo cuore di continuare a sperare il ritorno del marito1.

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Le Moire e la tessitura

Di Achille la dea Era dice: «più tardi dovrà subire quanto Aisa ha filato per lui alla nascita, quando la madre lo partorì»1. La Ecuba iliadica, quando il cadavere di Ettore rischia di essere scempiato, afferma: «così si compie la sorte che la Moira potente filò per lui alla nascita, quando io stessa l’ho partorito»2. Alla corte dei Feaci il re Alcinoo, prefigurando il ritorno in patria di Odisseo, dice: «là allora subirà quanto Aisa e le terribili Filatrici hanno filato per lui alla nascita, quando la madre lo partorì»3.

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Il peplo di Filomela

Filomela subisce violenza dal cognato Tereo, che per impedirle di comunicare l’accaduto le taglia la lingua. Ma Filomela riesce a svelare alla sorella Procne la violenza subita in quanto le invia un peplo su cui ha tessuto lettere che svelano l’atto di Tereo1.

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Aracne e Atena, la sfida di tessitura

Aracne è una bellissima fanciulla della Lidia, espertissima nella tessitura tanto che persino le ninfe vengono ad ammirare le sue tappezzerie. Tuttavia crede di dovere la sua arte soltanto alla sua personale abilità e non riconosce dunque il dono della dea. La quale, sotto le sembianze di una vecchia, le appare e le consiglia la modestia, ricevendone in risposta soltanto insulti. La dea si rivela allora ad Aracne con cui inizia una gara: Atena tesse una tappezzeria con gli dei olimpici in scene di superbia umana punita, Aracne invece scene di amori degli dei, come Zeus ed Europa. Il tessuto della fanciulla è talmente bello e perfetto che Atena adirata lo distrugge, mentre Aracne per l’umiliazione si impicca. La dea però la trasforma in ragno che continua a filare e tessere la sua tela1.

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Achille a Sciro

Condotto a Sciro dalla madre Teti che non voleva che il figlio partecipasse alla spedizione contro Troia dove sapeva che avrebbe trovato la morte, Achille travestito con abiti femminili viene affidato al re Licomede. Sbarcato Odisseo sull’isola per cercarlo e associarlo alla spedizione, sospettando che il giovane si nascondesse in mezzo alle altre parthenoi, portò davanti alle fanciulle le armi insieme a dei cesti e altri strumenti per la tessitura. Le fanciulle si gettarono subito sui cesti, mentre Achille, attratto dallo scintillio delle armi, rivelò così la sua vera identità e la sua vocazione e partì quindi alla volta di Troia1.

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Atena e i ruoli di genere

È la dea, figlia di Zeus e di Metis, ad insegnare al giovane ateniese Falange l’arte della guerra, mentre riserva alla sorella Aracne quella della tessitura. Atena li punisce per i loro rapporti incestuosi trasformandoli in serpenti1.

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Procne e Filomela

Procne e Filomela sono le figlie del re dell’Attica Pandione. Quando scoppia una guerra per questioni territoriali, egli chiama in aiuto Tereo, re di Tracia e figlio di Ares e gli offre in sposa la figlia Procne. Da questa unione, viene alla luce il piccolo Iti, la cui nascita però non allevia la nostalgia della moglie per la propria terra e per la sorella. Tereo parte quindi per andare a prendere la cognata Filomela e condurla in Tracia, ma colpito dalla bellezza della giovane se ne innamora e abusa di lei. Tornato in Tracia nasconde la fanciulla, le taglia la lingua e racconta a Procne che la sorella è morta. Filomela, priva della parola, ricorre alle sottili arti della filatura per raccontare su una tela, nel dettaglio, il suo dramma e la violenza subita dal cognato. Nel racconto di Ovidio, l’accusa che Filomela rivolge al cognato è quella di essere diventato il marito di due sorelle (geminus conjunx), di aver mescolato tutto (omnia turbasti), rendendola addirittura paelex sororis, concubina della sorella. Procne, venuta a conoscenza del crimine, uccide il figlio Iti, imbandendone le carni a Tereo, e prende la via della fuga insieme alla sorella. Inseguite dal loro aggressore, le due principesse si rifugiano in Focide, pregando gli dèi di essere trasformate in uccelli: Procne diventerà un usignolo e Filomela una rondine. Tereo venne a sua volta trasformato in upupa1.

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Tessitura e ruoli di genere

In origine, prima dell’invenzione dei tessuti, si realizzavano vesti intrecciate. Il tessuto, infatti, seguì all’introduzione del ferro, perché è col ferro che si costruisce il telaio, con le sue spole, i fusi, le navette e i rulli rumorosi. Ma prima della stirpe delle donne la natura spinse gli uomini a lavorare la lana: infatti, la razza maschile è di molto più abile e industriosa in ogni forma di artigianato. Le cose andarono così finché i severi contadini non lo trasformarono in un difetto, per far sì che quelli acconsentissero ad affidare una simile attività alle mani femminili e temprassero le membra e le mani col duro lavoro, accettando di sostenere la fatica della coltivazione dei campi, piuttosto che quella del telaio1.

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Camilla: le donne e la passione per l'oro

Tra gli uomini che, nel Lazio, prendono parte alla guerra contro Enea c’è anche una donna, Camilla, che guida un’ala di cavalieri e truppe rivestite di bronzo. Costei, una vergine, non è avvezza, nonostante le mani femminili, alla navetta e al fuso di Minerva, ma a sopportare le dure battaglie e a superare perfino i venti nella corsa campestre. Fu assai valorosa in guerra, finché non venne fuori la sua natura di donna. Quando in campo aperto, fra tutti i nemici, vide Cloreo brillare nella sua armatura frigia, splendente di fibbie d’oro, aureo il suo arco, aureo anche l’elmo, solo lui voleva catturare, lui solo inseguiva, nella mischia di guerra, desiderosa di indossare l’oro predato al nemico, prezioso bottino di guerra. Così, accecata da quell’oro e incauta, ardeva per una passione femminile. Di quella distrazione approfittò Arrunte: scaglia la lancia mirando alla vergine, e il suo colpo va a segno. Febo gli concede di abbattere la confusa Camilla. Lei si accascia dolente, le armi l’abbandonano e la sua vita fugge via tra le ombre1.

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Lo stupro di Lucrezia e lo spazio della casa

Durante l’assedio di Ardea, città dei Rutuli, gli ufficiali più in vista dell’esercito, tra cui Sesto Tarquinio, figlio del re, e il suo congiunto Tarquinio Collatino, prendono a discutere su chi di essi abbia la moglie più casta. La discussione si anima e Collatino invita i commilitoni a verificare in prima persona la superiorità della sua Lucrezia su tutte le altre. In effetti, mentre le nuore del re vengono sorprese nel pieno di un festino e in compagnia di coetanee, Lucrezia è seduta in piena notte al centro dell’atrio, impegnata a filare la lana insieme alle serve. Collatino si aggiudica così la gara delle mogli. È in quel momento che Sesto Tarquinio, eccitato dalla bellezza e dalla provata castità di Lucrezia, viene preso dalla smania di averla a tutti i costi. Così, qualche giorno dopo Sesto torna nella casa di Collatino; di notte, quando capisce che tutti sono sprofondati nel sonno, sguaina la spada e si reca nella stanza di Lucrezia, immobilizzandola con la mano puntata sul petto. Vedendo però che la donna è irremovibile e non cede nemmeno di fronte alla minaccia della morte, aggiunge all’intimidazione il disonore e si dice pronto a sgozzare un servo e a porlo, nudo, accanto a lei dopo averla uccisa, perché si dica che è morta nel corso di un infamante adulterio. Con questa minaccia, la libidine di Tarquinio ha la meglio sull’ostinata castità di Lucrezia. L’indomani, la matrona manda a chiamare il padre e il marito, pregandoli di venire accompagnati da un amico fidato. Arrivano così Spurio Lucrezio con Publio Valerio, Collatino con Lucio Giunio Bruto. Alla vista dei congiunti, Lucrezia racconta la propria vicenda, quindi induce i presenti a giurare che Tarquinio non resterà impunito. Tutti formulano il loro giuramento, poi cercano di consolare la donna; ma Lucrezia, afferrato il coltello che tiene nascosto sotto la veste, se lo pianta nel cuore e crolla a terra esanime1.

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Filesitero, un seduttore esemplare

Oltre a essere bello, Filesitero era un giovane munifico, ardimentoso e ostinato, specie quando si trattava di sedurre. Alla sua attenzione non sfuggì la nobile avvenenza di Arete, una donna di straordinaria bellezza, ma sposata a Barbaro, un tale dai modi aggressivi che in città chiamavano “lo Scorpione” e che la teneva sotto strettissima sorveglianza, benché quella passasse il tempo per lo più in casa, intenta a filare la lana. Eccitato proprio dalla sua castità e infiammato dall’eccezionalità di quella ben nota sorveglianza, Filesitero era pronto a fare qualsiasi cosa pur di averla. Un giorno, Barbaro dovette partire e lasciò Arete sotto la custodia di un fedelissimo servo, Mirmece. Filesitero, convinto della fragilità della fedeltà umana quanto del potere dell’oro, non esitò ad avvicinare lo schiavo e a rivelargli la sua passione. Supplicandolo, lo prega di alleviare il suo tormento e si dichiara deciso a darsi la morte, qualora non ottenga ciò che desidera. Infine, mostra a Mirmece delle monete d’oro, venti per Arete, se accetterà la sua corte, e dieci per lui, in cambio del suo aiuto. Mirmece finisce per cedere, e con lui anche la donna. Ma Barbaro torna a casa prima del previsto e Filesitero, per la fretta di scappare, dimentica le scarpe. Al mattino, lo Scorpione trova sotto il letto dei sandali da uomo a lui ignoti. Ordina allora che Mirmece sia portato in ceppi nel Foro per non aver fatto il suo dovere. Quando vede il servo in catene, Filesitero intuisce tutto e si scaglia contro di lui: «Ti sta bene, furfante maledetto, che ieri, ai bagni, mi hai rubato i sandali!». Sollevato da queste parole e opportunamente ingannato, Barbaro libera Mirmece e gli raccomanda di restituire i sandali1.

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