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Miti

Decapitazioni

Il troiano Dolone, sorpreso da Odisseo e Diomede durante una sortita notturna nel campo acheo, supplica di essere risparmiato, ma il Tidide con la spada gli tronca la testa, che rotola nella polvere1. Eveno, figlio di Ares, sfida in una corsa col carro gli aspiranti alla mano della figlia Marpessa; quando vince nella gara, uccide gli sconfitti che hanno osato gareggiare con lui ed espone le loro teste sul muro della sua casa, per terrorizzare i futuri pretendenti2. Un analogo costume è attribuito a Enomao, re di Pisa nell'Elide, che intende costruire un tempio con le teste dei pretendenti della figlia3.

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La testa della Gorgone agli Inferi

Odisseo, nella sua evocazione dei morti, ha appena terminato di parlare con la parvenza fantasmatica del defunto Eracle. L’eroe indugia ancora in attesa di poter parlare con altri eroi del passato, ma all’improvviso viene atterrito dalle grida raccapriccianti di una schiera di morti che si raccoglie davanti a lui. Il suo timore è che stia arrivando proprio "il capo della Gorgone", inviato da Persefone. È per questo che subito ordina ai compagni di salpare in tutta fretta1.

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Eracle contro Cerbero

Cerbero aveva tre teste di cane, la coda di serpente e sul dorso teste di serpenti di ogni tipo. Eracle chiese a Plutone di dargli Cerbero, e Plutone gli ordinò di portarlo via purché lo vincesse senza l’aiuto delle sue armi. Eracle trovò Cerbero alle porte dell’Acheronte; allora, chiuso nella sua corazza e coperto dalla pelle di leone, gli afferrò la testa con le mani e non smise di stringere con forza finché non ebbe sopraffatto la bestia, nonostante i morsi che gli infliggeva la coda di serpente. Dopo che ebbe mostrato Cerbero a Euristeo, Eracle lo riportò di nuovo nell’Ade1.

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L'enigma della Sfinge

«Era mandò la Sfinge, che era nata da Echidna e da Tifone e aveva il volto di donna, il corpo, le zampe e la coda di leone e le ali di uccello. Conosceva un enigma, appreso dalle Muse, e lo proponeva ai Tebani stando seduta sul monte Fichio. L’enigma era questo: "Qual è l’essere che ha una voce sola, che prima ha quattro, poi due e poi tre piedi?". Esisteva un oracolo secondo il quale i Tebani si sarebbero liberati dalla Sfinge quando avessero sciolto l’enigma: essi si riunivano spesso e cercavano di risolverlo, ma poiché non ci riuscivano la Sfinge afferrava uno di loro e lo divorava. Creonte, fratello di Laio che governava Tebe dopo la sua morte, proclamò che avrebbe ceduto il regno e la vedova del fratello, Giocasta, a colui che avesse sciolto l’enigma. Edipo lo venne a sapere e risolse il quesito, dicendo che l’essere a cui alludeva la Sfinge era l’uomo: quando è bambino infatti ha quattro piedi perché si muove sostenendosi su tutti e quattro gli arti, adulto ne ha due, vecchio ne ha tre perché si aiuta col bastone. La Sfinge si gettò dall’alto dell’acropoli. Edipo ebbe il regno e sposò sua madre senza saperlo; da lei ebbe due figli, Polinice ed Eteocle, e due figlie, Ismene e Antigone»1.

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Atena ed Efesto, nascite per partenogenesi

Divenuto sovrano degli dèi, Zeus prende l’Oceanina Metis come prima sposa. Avvertito da Urano e Gaia che Metis avrebbe un giorno dato alla luce un figlio maschio più forte del padre, destinato a succedergli sul trono, Zeus ingoia Metis onde evitare la temuta nascita di un erede. La dea era tuttavia già incinta di una figlia femmina e sarà allora Zeus, il padre, a partorire dalla sua testa la dea generata con Metis, ossia Atena, «che ha forza pari al padre e accorto consiglio», «terribile eccitatrice di tumulti, guida invitta di eserciti, signora, cui piacciono clamori, guerre e battaglie». In rappresaglia per la nascita di Atena dal solo Zeus, Era, l’“ultimissima” sposa del dio sovrano, mette al mondo a sua volta un figlio per partenogenesi: Efesto illustre, eccelso nelle arti1.

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Cerbero guardiano degli inferi

Cerbero, il possente e spietato cane di Hades, è figlio del mostruoso Tifone, nato dall’unione della Terra con il Tartaro, e di Echidna, creatura metà serpente e metà fanciulla1. Ha l’aspetto di un cane dalle molte teste (cinquanta secondo Esiodo, tre nella tradizione iconografica), cui si associa una coda di serpente o una criniera serpentina2. Quando un defunto arriva alla soglia dell’aldilà, Cerbero lo lascia entrare facendogli le feste, ma al momento in cui costui cerca di uscire, gli sbarra la strada e lo divora3.

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Sconsacrazione e consacrazione dei confini di Roma

Prima della costruzione, Tarquinio ritenne opportuno liberare l’area dai precedenti vincoli religiosi, facendo sconsacrare (exaugurare) gli edifici che vi erano stati votati dal re Tazio durante il conflitto con Romolo, e che in seguito erano stati consacrati solennemente (consecrata inaugurataque). In quella occasione gli dèi vollero manifestare esplicitamente il loro volere. Gli auspici forniti dagli uccelli, infatti, approvarono la sconsacrazione riguardo a tutti gli altri templi, tranne che per il sacello di Terminus, il dio dei confini. In questo modo essi significarono la futura stabilità dei fines di Roma. A questo auspicio di eternità dell’impero ne seguì un altro relativo alla sua grandezza, allorché, scavando le fondamenta del tempio, fu trovato un teschio umano dai lineamenti integri. Questo caput significava che il luogo era destinato a costituire la rocca dell’impero e la “testa” della sua potenza1

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ercole_caco

A quel tempo, gli abitanti che vi risiedevano erano afflitti da un grande male: un altro mostro a tre teste, Caco, faceva razzie e uccideva gli abitanti dei dintorni. Questo mostro aveva una forza soprannaturale che gli uomini non potevano vincere. Ma Ercole, essere divino, ci riuscì. E questo accadde non solo perché Ercole avesse voglia di fare del bene agli abitanti del Lazio, ma anche perché il mostro aveva osato recargli danno. Mentre il nostro infatti si concedeva un pisolino, Caco rubò alcune delle preziose vacche tirandole per la coda e facendole camminare all’indietro fino a una grotta. Svegliatosi Ercole, cercò invano le vacche scomparse. Le orme degli animali indicavano infatti la direzione opposta e Ercole non riuscì a trovarle. Quando, nonostante la perdita, decise di rimettersi in cammino, le vacche, che gli erano rimaste, muggirono, e le altre, che si trovavano dentro la grotta, risposero rivelando così il loro nascondiglio. Allora Ercole si lanciò verso la grotta e, dopo aver rimosso la pesante pietra che serviva da porta, affrontò Caco tra vapori e fuliggine. Lottarono a lungo, alla fine Ercole ebbe la meglio e, ucciso il mostro, ne portò il cadavere all’aperto. Gli abitanti del Lazio, visto «il volto e il petto villoso di setole della mezza belva» giacere inerti, ringraziarono il benefattore e costruirono un grande altare in suo onore (l’Ara Maxima, che oggi si trova inglobata nella cripta della chiesa romana di Santa Maria in Cosmedin), presso il quale ogni anno si celebravano un grande sacrificio e un banchetto1.

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striges

Ci sono degli uccelli voraci (avidae volucres), della stessa stirpe delle Arpie che strappavano il cibo a Fineo: hanno grossa testa, occhi fissi, becco da rapace, piume bianche e artigli uncinati, e le loro prede sono bambini incustoditi. Volano di notte alla loro ricerca, e ne guastano i teneri corpi: con i becchi – si racconta – squarciano (carpere) le viscere dei lattanti (lactentia viscera) e ne succhiano il sangue riempiendosi avidamente il gozzo (plenum poto sanguine guttur habent). Si chiamano striges e l’origine di questo nome risiede nel fatto che di notte stridono (stridere) in modo terrificante. Non si sa se nascano già nella forma di uccelli, o se siano delle vecchie fattucchiere a prenderne l’aspetto con incantesimi e formule marse: quale che sia la loro natura, le creature arrivano alla culla del piccolo Proca, nato da appena cinque giorni. Con le loro avide lingue succhiano (exsorbent) il petto della fresca preda e alle sue grida accorre la nutrice, che trova sul volto del neonato i loro segni: i tagli lasciati dagli artigli e un colorito livido, come quello delle foglie quando d’inverno si seccano. La balia chiede allora aiuto a Crane; questa la rincuora, consola i genitori e promette di salvare la vita del piccolo. Poi, con un ramo di corbezzolo tocca per tre volte gli stipiti delle porte, tre volte segna le soglie, asperge l’ingresso con un filtro magico, e tenendo le viscere crude (exta cruda) di una scrofa di due mesi dice: «uccelli della notte, risparmiate le interiora dei bambini (extis puerilibus): in cambio del piccolo è immolata una piccola vittima. Un cuore in cambio di un cuore (cor pro corde), vi prego, al posto di quelle viscere, prendete queste viscere (pro fibris sumite fibras): vi offriamo questa vita in cambio di una migliore». Mette le viscere sacrificali all’aria aperta e vieta ai presenti di voltarsi a guardarle (respicere), quindi sistema il ramo di biancospino avuto da Giano in corrispondenza di una piccola finestra che dà luce alla stanza. Da quel momento gli uccelli non violano più la culla e al piccolo Proca torna in volto il colorito di prima1.

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Atena nasce senza madre

Zeus si unisce a Metis, signora dell’intelligenza multiforme, ma quando la dea resta incinta Zeus la inghiotte, assumendo in questo modo il principio generativo femminile . Così, il padre degli dèi genera la figlia Atena direttamente dalla testa, già armata e amante di guerre e tumulti, perfettamente in grado di condurre eserciti1. Nata dalla testa di un padre che ingloba – e infine elide – il principio materno dalla generazione, nessuna figura mitica potrebbe rendere al pari di Atena la madre più superflua. La dea di sé può dichiarare esplicitamente: «Nessuna madre mi ha generata, io approvo tutto ciò che è del maschio, tranne le nozze, con tutta me stessa, sono interamente del padre»2.

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Meleagro contro gli zii materni

Meleagro è figlio di Altea e Oineo, re di Calidone in Etolia. Dopo un abbondante raccolto Oineo offre un sacrificio a tutti gli dèi, ma si dimentica di Artemide; la dea allora manda come punizione un terribile cinghiale che inizia a distruggere il territorio di Oineo. È Meleagro a ucciderlo dopo aver organizzato una battuta di caccia con gli eroi più valorosi di tutta la Grecia, cui prendono parte anche gli zii materni di Meleagro, i Cureti. Anche Atalanta, straordinaria cacciatrice di cui Meleagro è innamorato, interviene nella caccia e colpisce il cinghiale sulla schiena con una freccia. Meleagro dà al cinghiale il colpo di grazia e a lui sarebbero spettate di diritto la testa e la pelle dell’animale, come parte d’onore dovuta all’uccisore. Egli però scuoia l’animale e dona la pelle alla sua amata Atalanta; allora gli zii della madre – o uno solo di essi – contestano questa attribuzione e sottraggono ad Atalanta la pelle del cinghiale. Una lotta violenta sorge tra Etoli e Cureti; Meleagro, preso dall’ira, uccide gli zii materni e restituisce la pelle del cinghiale ad Atalanta. La madre Altea maledice il figlio e invoca Ade e Persefone affinché gli diano la morte1.

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