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Devotio e morte del console Decio

L’esito della battaglia tra Romani e Latini era incerto e il console Decio capì che era giunto il momento di interpellare il pontefice massimo; seguendone i suggerimenti, indossò la toga pretesta e, in piedi sopra un giavellotto, pronunciò con il capo velato una lunga preghiera nella quale si consacrava agli dèi Mani e a Tellus, in cambio della vittoria dell’esercito romano. Poi salì a cavallo armato e si gettò in mezzo ai nemici. In questo preciso momento accadeva qualcosa di straordinario: il console appariva più grande di un essere umano; sembrava una vittima espiatoria dell’ira degli dèi, inviata dal cielo per allontanare la rovina dai suoi e riversarla sui nemici. Questi, atterriti e confusi, si allontanarono. I Romani invece, liberati da ogni timore, ripresero la battaglia come se avessero ricevuto il primo segnale di guerra proprio in quell’istante1.

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Eumolpo e i doni della seduzione

Eumolpo, ospite di un tale di Pergamo, diviene precettore del suo bellissimo figlio. Escogita dunque un modo per diventarne l’amante. Una sera i due si addormentano nel triclinio. Verso mezzanotte, Eumolpo si accorge che il ragazzo è sveglio. Così, fingendo di esprimere un voto, sussurra: «Signora Venere, se riuscirò a baciare questo ragazzo senza che lui se ne avveda, domani gli regalerò due colombe». Sentito il prezzo del piacere, il ragazzo finge di russare ed Eumolpo lo riempie di baci; l’indomani, gli porta di buon mattino una coppia di splendide colombe e scioglie così il suo voto. La sera seguente, Eumolpo sussurra: «Se potrò toccare questo fanciullo con mano dissoluta senza che lui se ne avveda, gli regalerò una coppia di galli da combattimento». Udito ciò, il ragazzo si avvicina da sé ed Eumolpo indulge su di lui. E l’indomani, come promesso, il ragazzo ottiene i suoi galli. La terza sera, Eumolpo bisbiglia: «Dèi immortali, se da questo fanciullo, mentre dorme, otterrò un rapporto completo, domani gli regalerò un destriero asturiano». L’efebo non dormì mai di un sonno più profondo, ed Eumolpo ne trasse pieno piacere. Ma l’indomani non c’era ombra del cavallo promesso, cosa che contrariò non poco il ragazzo. Così, quando Eumolpo cercò di far pace con lui, quello si ritrasse: «Se non dormi, lo dico a mio padre», minacciò. Ma Eumolpo insistette fino a farlo cedere, e dopo averne tratto godimento, si addormentò. Il ragazzo però, poiché era nell’età dello sviluppo e desideroso di lasciarsi possedere, continuò a strattonare Eumolpo nel sonno, senza lasciarlo dormire, finché quello, esasperato, esclamò: «Dormi, o lo dico a tuo padre!»1.

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