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La dea Vesta

Quando la Terra si unì a Saturno, dal seme di lui furono generate tre figlie divine: Giunone, Cerere e Vesta. Le prime due si sposarono entrambe e partorirono dei figli, l’ultima rimase priva di marito. Ecco perché la dea, essendo vergine, è lieta di avere come sacerdotessa un’altra vergine e lascia che ai suoi riti accedano solo mani pure. Del resto, con Vesta si intende la fiamma viva, e dalla fiamma non è nato mai alcun corpo. Pertanto, a buon diritto è vergine, perché non restituisce né accoglie alcun seme e ama le sue compagne di verginità1.

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Condanna di Spurio CAssio Vecellino

Esemplare a questo riguardo la vicenda di Spurio Cassio Vecellino, fissata dalla tradizione al 485 a.C.: già più volte console, copertosi di gloria in alcune importanti campagne militari, Spurio è accusato di aspirare alla tirannide dopo aver proposto una legge agraria che distribuisce grandi quantità di terre agli alleati latini. Per decisione del padre, il giovane viene allora frustato a morte, i suoi beni sono consacrati alla dea Cerere, la casa è rasa al suolo1. In altre varianti della storia, Spurio viene processato in Senato ma giustiziato in prima persona dal padre, che aveva presentato la denuncia a suo carico2.

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Erisittone e la Fame divina

Un giorno il re Erisittone, che era solito disprezzare gli dèi, profanò con la scure un bosco sacro a Cerere. Quest’ultima gli predisse una punizione, ma Erisittone portò avanti comunque il suo delitto. Tutte le Driadi allora, Ninfe degli alberi, pregarono Cerere di punirlo facendolo dilaniare dalla Fame. Questa ha capelli ispidi, occhi infossati, un pallore sul volto, labbra biancastre per l’inedia, fauci rognose per la muffa e pelle ruvida attraverso la quale si possono scorgere gli organi interni; dalle anche incurvate le sporgono ossa scarne, la magrezza fa apparire più grandi le articolazioni, le rotule delle ginocchia sono gonfie e i malleoli le sporgono con eccessiva protuberanza. Cerere acconsentì alla richiesta e, mentre Erisittone dormiva, Fame si insinuò in lui e sparse nelle sue vene una sensazione di digiuno. Al risveglio, un ardente desiderio di mangiare gli incendiò le viscere. Il re iniziò allora a cibarsi di ogni tipo di alimento, fino ad assottigliare le sue ricchezze, ma quella funesta fame non si attenuava e l’ardore della gola, impossibile da sedare, si manteneva vivo. Infine, poiché la violenza del male aveva consumato ogni risorsa, prese a strapparsi a morsi le sue stesse membra e a nutrirsi del suo stesso corpo1.

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