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Stupro e suicidio di Lucrezia

Una sera, mentre si discuteva nella tenda di Sesto Tarquinio su quale fosse la migliore delle mogli, Collatino propose di mettersi immediatamente a cavallo per raggiungere le proprie donne, così da ottenere in poche ore il verdetto su quella cui spettasse la palma della vittoria. A differenza delle nuore del re, sorprese in sontuosi banchetti, la moglie di Collatino, Lucrezia, fu trovata seduta in casa a lavorare la lana in compagnia delle ancelle. Sesto Tarquinio, eccitato dalla bellezza e dall’onestà della donna, pochi giorni dopo si recò nuovamente da lei all’insaputa del marito. Dopo averla tentata in ogni modo, capì che la donna era irremovibile anche di fronte al pericolo di morte, perciò fece leva sulla paura del disonore: minacciò di ucciderla e di porle accanto nel letto un servo strangolato, simulando in tal modo un adulterio colto in flagrante e debitamente vendicato. Fu questa paura a determinare la vittoria della violenza sull’indomabile pudicizia. Sesto Tarquinio se ne andò tutto fiero di aver espugnato l’onore della donna, che immediatamente mandò a chiamare il padre, il marito e lo zio materno Bruto ai quali, afflitta, raccontò l’accaduto. All’udire il misfatto gli uomini giurarono vendetta e cercarono di rassicurare Lucrezia tormentata dall’idea della colpa. Ma la donna, dopo aver pronunciato le sue ultime parole famose («d’ora in poi nessuna, prendendo esempio da Lucrezia, vivrà da impudica»), prese un coltello e si inferse nel petto una ferita mortale1.

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Lo stupro di Lucrezia e lo spazio della casa

Durante l’assedio di Ardea, città dei Rutuli, gli ufficiali più in vista dell’esercito, tra cui Sesto Tarquinio, figlio del re, e il suo congiunto Tarquinio Collatino, prendono a discutere su chi di essi abbia la moglie più casta. La discussione si anima e Collatino invita i commilitoni a verificare in prima persona la superiorità della sua Lucrezia su tutte le altre. In effetti, mentre le nuore del re vengono sorprese nel pieno di un festino e in compagnia di coetanee, Lucrezia è seduta in piena notte al centro dell’atrio, impegnata a filare la lana insieme alle serve. Collatino si aggiudica così la gara delle mogli. È in quel momento che Sesto Tarquinio, eccitato dalla bellezza e dalla provata castità di Lucrezia, viene preso dalla smania di averla a tutti i costi. Così, qualche giorno dopo Sesto torna nella casa di Collatino; di notte, quando capisce che tutti sono sprofondati nel sonno, sguaina la spada e si reca nella stanza di Lucrezia, immobilizzandola con la mano puntata sul petto. Vedendo però che la donna è irremovibile e non cede nemmeno di fronte alla minaccia della morte, aggiunge all’intimidazione il disonore e si dice pronto a sgozzare un servo e a porlo, nudo, accanto a lei dopo averla uccisa, perché si dica che è morta nel corso di un infamante adulterio. Con questa minaccia, la libidine di Tarquinio ha la meglio sull’ostinata castità di Lucrezia. L’indomani, la matrona manda a chiamare il padre e il marito, pregandoli di venire accompagnati da un amico fidato. Arrivano così Spurio Lucrezio con Publio Valerio, Collatino con Lucio Giunio Bruto. Alla vista dei congiunti, Lucrezia racconta la propria vicenda, quindi induce i presenti a giurare che Tarquinio non resterà impunito. Tutti formulano il loro giuramento, poi cercano di consolare la donna; ma Lucrezia, afferrato il coltello che tiene nascosto sotto la veste, se lo pianta nel cuore e crolla a terra esanime1.

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Coinvolgimento dei figli di Bruto nella congiura contro la repubblica

Dal suo esilio il Superbo fa giungere a Roma lettere destinate a giovani nobili un tempo a lui vicini e insoddisfatti della nuova situazione politica; in esse si chiede loro di aprire nottetempo le porte della città, per consentire agli esuli di fare ritorno e riconquistare il potere perduto. Tra le famiglie coinvolte nella trama spiccano i nomi dei Vitelli e degli Aquili: ai primi appartiene infatti anche la moglie di Bruto, mentre l’altro console è zio materno sia dei Vitelli sia degli Aquili, che hanno sposato altrettante sorelle di Collatino. La trama coinvolge presto i giovani Tito e Tiberio, figli di Bruto, ma legati per parte di madre a una delle famiglie implicate nella congiura; i due ragazzi hanno del resto un rapporto di amicizia con i figli del Superbo, sopravvissuto alla caduta della monarchia. Quando il piano viene alla luce, Bruto si trova pertanto a giudicare, nella sua qualità di console, i propri stessi figli; cosa che fa con inflessibile durezza, come si addice non solo all’uomo che ha giurato odio eterno verso la monarchia, ma anche al suo ruolo di padre, chiamato a incarnare i modelli di comportamento della propria cultura e a sancirne con severità l’eventuale violazione1.

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Collatino cerca di salvare i nipoti

Collatino tenta ripetutamente di sottrarre al supplizio i figli delle sue sorelle: al momento di giudicare i congiurati il console esita, piange, supplica il collega di fargli grazia della vita dei suoi parenti e minaccia di fare appello alla propria autorità consolare per strapparli alla condanna. Il suo comportamento autorizza i peggiori sospetti di complicità o di acquiescenza verso la congiura e suscita un’opposizione unanime; a rivelarsi decisivo sarà però l’intervento di Spurio Lucrezio, suocero di Collatino, che invita quest’ultimo a fare un passo indietro e a lasciare spontaneamente la città. Una volta di più sono dunque i rapporti di parentela a giocare una parte decisiva nella logica del racconto: la sua posizione di suocero conferisce infatti a Spurio Lucrezio un’autorità analoga a quella paterna nei confronti di Collatino1.

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