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Contesa per gli onori ad Atene

Una disputa ha luogo per l’Attica tra Atena e Poseidone: con un colpo di tridente, il dio fa sgorgare un mare sull’Acropoli, ma è Atena, che vi ha piantato l’olivo, che ottiene l’Attica e il diritto di dare il proprio nome alla città di Atene. Per dirimere la contesa tra gli dèi si fa ricorso a uno o più giudici che le differenti versioni identificano con i primi re del paese (Cecrope, Cranao, Erisittone) oppure con i Dodici dèi1. Anche il territorio di Argo è oggetto di disputa, e i giudici sono questa volta Foroneo, figura di fondatore e figlio del fiume Inaco, affiancato da Cefiso e Asterione, divinità fluviali del luogo: questa terra è assegnata ad Era, e Poseidone che gliela contendeva si adira facendo sparire l’acqua dei fiumi2. Nel caso di Corinto, la disputa tra Helios e Poseidone è risolta da una divinità primordiale quale Briareo, che assegna al dio solare la città e l’Acrocorinto (da Helios poi ceduto ad Afrodite), e al sovrano del mare la regione dell’Istmo3. Poseidone e Atena entrano in conflitto anche per la città di Trezene, ed è Zeus stesso questa volta a dirimere la disputa, stabilendo che i due contendenti la possiedano in comune: Atena vi è quindi onorata con il titolo di Polias (“Protettrice della polis”), Poseidone con quello di Basileus (“Re”), e le monete della città hanno come effigie sia il tridente del dio sia il volto della dea4.

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Erisittone e la Fame divina

Un giorno il re Erisittone, che era solito disprezzare gli dèi, profanò con la scure un bosco sacro a Cerere. Quest’ultima gli predisse una punizione, ma Erisittone portò avanti comunque il suo delitto. Tutte le Driadi allora, Ninfe degli alberi, pregarono Cerere di punirlo facendolo dilaniare dalla Fame. Questa ha capelli ispidi, occhi infossati, un pallore sul volto, labbra biancastre per l’inedia, fauci rognose per la muffa e pelle ruvida attraverso la quale si possono scorgere gli organi interni; dalle anche incurvate le sporgono ossa scarne, la magrezza fa apparire più grandi le articolazioni, le rotule delle ginocchia sono gonfie e i malleoli le sporgono con eccessiva protuberanza. Cerere acconsentì alla richiesta e, mentre Erisittone dormiva, Fame si insinuò in lui e sparse nelle sue vene una sensazione di digiuno. Al risveglio, un ardente desiderio di mangiare gli incendiò le viscere. Il re iniziò allora a cibarsi di ogni tipo di alimento, fino ad assottigliare le sue ricchezze, ma quella funesta fame non si attenuava e l’ardore della gola, impossibile da sedare, si manteneva vivo. Infine, poiché la violenza del male aveva consumato ogni risorsa, prese a strapparsi a morsi le sue stesse membra e a nutrirsi del suo stesso corpo1.

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