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Caducità della vita: il cadavere di Lica

Scampati al naufragio della barca sulla quale viaggiavano, Encolpio, Gitone ed Eumolpo scorgono un cadavere trascinato dalla corrente sulla spiaggia. Turbato da quella visione, Encolpio rivolse gli occhi umidi a quel mare traditore e disse: «Quest’uomo da qualche parte ha una moglie che lo aspetta, o un figlio o un padre che nulla sanno della sua infelice sorte: di certo il giorno della partenza ha salutato qualcuno, credendo di rivederlo. Ecco come vanno a finire i progetti degli esseri umani!». Encolpio era certo che si trattasse di uno sconosciuto e invece, poco dopo, riconobbe il volto di quello che fino a poco tempo prima era stato il tremendo Lica. A quel punto il giovane, tra le lacrime, esclama: «Dov’è finita la tua tracotanza, Lica? Ma guardati: poco fa ti vantavi delle tue ricchezze, mentre ora giaci in balia dei pesci, e della tua nave non resta neppure una tavola. E voi mortali, che vi riempite la testa di progetti e accumulate beni, guardatelo questo qui che fino a ieri contava tutta la sua roba e già si vedeva di ritorno dal viaggio. È proprio vero: chi combatte è tradito dalle armi; chi fa voti agli dei vede crollarsi la casa; chi per la fretta si butta su un cocchio finisce che cade e ci lascia la pelle… Tirate le somme, il naufragio arriva dovunque! Comunque il corpo è destinato a morire; qualunque cosa accada, la fine è uguale per tutti»1.

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Eracle e la veste avvelenata

Il giorno in cui Eracle salvò la sposa Deianira dalle insidie erotiche di Nesso, ferendolo a morte, innescò senza saperlo il principio della propria fine. Il Centauro diede alla donna i grumi del proprio sangue, facendoli passare per una pozione d’amore. Quando Eracle prese Iole come concubina, la sposa gelosa inviò al marito una veste intrisa del sangue velenoso. L’araldo Lica consegnò il dono nefasto ad Eracle ma la veste, una volta indossata, prese fuoco fino a corrodere il corpo dell’eroe. Eracle, prima di morire, afferrò Lica e lo scagliò verso il mare. Alcuni raccontano semplicemente che l’araldo morì schiantandosi contro un masso1; altri dicono che nel punto in cui cadde e sparì in mare nacque uno scoglio che fu chiamato Lica, altri ancora che a questo evento devono essere ricondotte le tre isole dette Licadi, antistanti le coste dell’Eubea2.

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Metamorfosi di Lica in pietra

Lica, spaventato (trepidum), si nasconde nella cavità di una rupe, sussulta (tremit) ed è bianco dallo spavento (pallidus pavet) quando l’eroe lo prende, scagliandolo lontano, con una forza pari a quella di una macchina da lancio. L’uomo sfreccia nell’aria, in direzione del mare, è esangue dalla paura (exsanguem metu), gli umori del corpo prosciugati. E allora, come le gocce di pioggia si rapprendono in fiocchi di neve e questi a loro volta in grandine, così Lica si irrigidisce, fino a diventare di pietra. Di lui non resta che uno scoglio sporgente sul mar d’Eubea e i naviganti temono di calpestarlo, perché scorgono in esso le tracce di una forma umana (humanae vestigia formae) e per l’idea che quella pietra, chiamata Lica, sia capace di provare delle sensazioni.1.

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