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Vecchiaia della Sibilla

Mentre guida Enea attraverso l’Averno, la Sibilla racconta la sua storia. Febo, innamoratosi di lei, le offriva in cambio del suo amore qualunque cosa desiderasse. Allora la Sibilla raccolse un mucchio di polvere e chiese tanti anni quanti erano i granelli in quella manciata. Una dimenticanza, però, le fu fatale: non ricordò di precisare che quegli anni dovevano essere di gioventù. Di certo Febo le avrebbe concesso una perenne giovinezza, se solo la Sibilla avesse accettato l’amore che invece rifiutò. «E ormai – continuò – l’età più felice mi ha voltato le spalle e la gravosa vecchiaia avanza col suo passo tremante. Ho vissuto sette secoli e ancora mi attendono trecento estati e trecento autunni. Verrà il momento in cui il mio corpo si rattrappirà e la vecchiaia consumerà le mie membra riducendole a un mucchietto d’ossa. Allora chiunque dubiterà che io sia piaciuta a un dio»1.

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Morte di Miseno

Prima di accedere al regno dei morti, Enea riceve dalla Sibilla un’importante prescrizione: avrebbe dovuto dare sepoltura al cadavere di un amico che contaminava la flotta; solo allora sarebbe potuto entrare nei domini inaccessibili ai vivi. Si tratta di Miseno, colpito da una morte non degna di lui: egli era figlio del dio Eolo ed esperto nel suono della tromba, con il quale era solito infiammare il valore dei guerrieri. Dopo la morte del suo compagno Ettore, si era unito a Enea. Un giorno, però, mentre con una sola conchiglia faceva risuonare la distesa marina sfidando, folle, le divinità, venne afferrato da Tritone che indispettito lo sommerse tra gli scogli1.

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Mostri infernali nell'Eneide: le personificazioni

Assieme alla Sibilla, Enea è sceso da poco, attraverso una fenditura della roccia, nell’oltretomba. Ogni cosa è ammantata da una densa oscurità. Sul vestibolo dell’Orco, creature orrende si presentano agli occhi dell’eroe: Pianto, Affanni, Morbi, Vecchiaia, Paura, Fame, Miseria, Morte, Dolore, Sonno, Piaceri malvagi, Guerra, le Eumenidi e infine la folle Discordia che ha serpenti al posto dei capelli cinti da una benda intrisa di sangue1.

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Mostri infernali nell'Eneide

Dopo avere superato i mostri personificati, Enea, portando lo sguardo al centro del vestibolo, intravede un olmo immenso e scuro, dove si dice che abitino, a torme, i Sogni fallaci che danno suggerimenti ingannevoli ai mortali. Subito dietro l’olmo, c’è una ridda di creature orribili che presidiano minacciosamente le porte della reggia: i Centauri, le Scille biformi, Briareo dalle cento braccia, l’idra di Lerna, la Chimera, le Gorgoni e le Arpie e infine un mostro tricorpore cui non si assegna nome, ma che tutti sanno essere Gerione. Preso dal terrore, l’eroe sguaina la spada per difendersi dai mostri, ma la Sibilla lo informa che è inutile: si tratta solo di fantasmi incorporei che il ferro non potrebbe neanche colpire1.

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Enea e la Sibilla placano Cerbero

Una volta traghettato al di là dell’Acheronte, Enea e la sua guida si imbattono in Cerbero, il cane a tre teste con i colli orlati di serpi, che con il suo latrato rintrona i regni infernali. Il cane ha dimensioni enormi e, accucciato, occupa l’intera ampiezza di un enorme antro sito nei pressi della riva. Non appena scorge l’eroe e la Sibilla, comincia ad abbaiare e i suoi colli serpigni si arruffano. A questo punto la profetessa getta nelle sue fauci un’offa di miele e farina. Il cane la afferra al volo e, subito dopo averla ingollata, si addormenta1.

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L’eredità di Enea e la missione di Roma

Enea, accompagnato dalla Sibilla, è sceso agli Inferi, dove ha incontrato il padre Anchise, che lo conduce su un’altura per mostrargli la sua discendenza. Da qui egli osserva un lungo corteo di anime in attesa di venire al mondo, che sfila ordinatamente di fronte ai suoi occhi. Ad aprire la colonna è Silvio, figlio di Enea e Lavinia, cui seguono gli altri re albani, Romolo, il fondatore di Roma, e i suoi successori Numa Pompilio, Tullo Ostilio, Anco Marcio, i Tarquini; poi i grandi eroi della storia repubblicana, Bruto che cacciò il tiranno e fu il primo console, i Deci, i Drusi, Torquato che fece giustiziare il figlio, Camillo che riprese Roma ai Galli; e molti altri ancora, Catone, i Gracchi, i due Scipioni, Cesare e Pompeo, lo stesso Augusto, sotto il cui regno tornerà l’età dell’oro, e infine il giovane Marcello, nipote di Augusto, scomparso a soli 19 anni1.

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