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Miti

Odisseo e la caccia

Invitato al palazzo del nonno Autolico sul Parnaso, Odisseo partecipa insieme agli zii ad una battuta di caccia al cinghiale, nel corso della quale fa mostra di tutto il suo coraggio. Benché ferito a un ginocchio, nello scontro con l’animale, riesce ad avere la meglio. Soccorso e curato dagli zii, Odisseo giunge al palazzo con la sua preda che gli vale la consegna di ricchi doni da parte di Autolico e festeggiamenti a palazzo con un banchetto. Approdati sull’isola di Circe, Odisseo e i suoi compagni patiscono la fame per due giorni, fino a quando l’eroe non decide di andare in esplorazione e, per intervento divino, si imbatte in un grande cervo, la cui uccisione viene, ancora una volta, celebrata con un banchetto. Meno fortunata è la caccia dei compagni di Odisseo sull’isola di Scilla quando, perseguitati dalla fame e benché vincolati da un giuramento, si risolvono a cacciare le vacche sacre al Sole. Il banchetto che segue, con animali solitamente destinati al sacrificio, provoca la reazione degli dèi che si abbatte violenta sulle navi1.

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L'ambra

Il figlio del Sole, Fetonte, ottenne dal padre di poter condurre il carro che trasportava l’astro diurno da oriente a occidente1. L’impresa, però, si rivelò disastrosa. Il ragazzo non fu capace di governare i cavalli alati e il carro si diresse troppo vicino alla terra. Le montagne si incendiarono, le acque si prosciugarono e Zeus, per porre fine al caos, folgorò l’auriga. Fetonte morì precipitando nel fiume Eridano. La sua morte fu pianta dalle sorelle, le inconsolabili Eliadi: esse furono tramutate in pioppi neri e le loro lacrime, asciugate dal calore dell’astro, divennero ambra.23.

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Scilla e Cariddi

Poco prima che lasci l’isola Eea, Circe spiega a Odisseo i pericoli che affronterà nel corso del viaggio. La dea fa menzione di due scogli, uno che svetta con la cima appuntita fino al cielo, l’altro più basso, su cui fa mostra di sé un albero di fico. All’interno del primo vive Scilla, una creatura che uggiola come un cucciolo di cane – e che sembra quindi innocua – ma che in realtà è un mostro tremendo che si ciba di uomini, pescecani, cetacei e di altri mostri marini. Scilla ha dodici piedi invisibili, sei colli lunghissimi, e, su ciascuno di essi, una testa azzannatrice munita di una triplice fila di denti. Nello scoglio più in basso, Cariddi non si lascia mai vedere in superficie, ma la sua enorme bocca assorbe e vomita di continuo, tre volte al giorno, tutto ciò che le capita a tiro. Quando Odisseo arriva nello stretto infestato da queste due orrende creature, dimentica tutte le raccomandazioni fattegli da Circe. La dea gli aveva spiegato che non avrebbe dovuto tentare di difendersi con le armi, ma l’eroe si predispone a una battaglia contro i mostri. Mentre assieme alla sua ciurma è intento a guardare con terrore il vorticare del mare dalle parti di Cariddi, ecco che Scilla si avventa all’improvviso sui suoi compagni. L’eroe assiste impotente alla loro fine, ma riesce a mettere in salvo il resto della flotta. Dopo il pasto sacrilego delle vacche del Sole, però, si trova a passare di nuovo dallo stretto. Qui Cariddi inghiotte tutte le barche e tutti i suoi compagni. Solo Odisseo si salva, aggrappandosi all’albero di fico, mentre Scilla non si accorge di lui1.

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Teogonia esiodea

All’inizio ci sono Chaos, l’abisso originario dell’informe e dell’indefinito, poi Gaia, la Terra, potenza primordiale che costituisce l’assise dell’universo a venire, quindi Eros, che senza avere discendenza propria è tuttavia la potenza indispensabile per mettere in moto la dinamica delle filiazioni divine, avviando così il processo teogonico. Chaos mette al mondo Notte ed Erebo, e dall’unione di questi nascono Etere e Giorno: l’oscurità e la luce, nello spazio e nel tempo, vengono a costituire le coordinate essenziali in cui l’universo può prendere forma. Gaia mette al mondo per partenogenesi i Monti, che articolano la sua superficie, Ponto, il salso Mare che si agita negli abissi terrestri, e Urano, il Cielo che la sovrasta definendone il limite superiore. Unendosi a Ponto, la Terra primordiale genera una serie di potenze legate al mondo acquatico, talvolta benevole talvolta mostruose. Dalla sua unione con Urano sono generate la maggior parte delle entità divine che strutturano l’universo, tra cui: Oceano, il fiume divino che circonda la terra, delimitandola, ed è, con Teti, all’origine delle acque dolci; Iperione, "Colui che si muove in alto" e Theia, "Divina", che unendosi danno vita a Sole, Luna e Aurora, specializzando così nella discendenza le prerogative evocate dai rispettivi teonimi. Gaia e Urano non solo costituiscono la coppia primordiale Cielo-Terra, ma sono anche i capostipiti della dinastia divina regnante. Oltre a generare Ciclopi e Centimani, terribili divinità che rappresentano la potenza delle armi e della forza bruta, essi mettono al mondo i Titani, il più giovane dei quali, Crono, evira Urano su istigazione della stessa Gaia, adirata con il figlio e sposo che respingeva nelle viscere della terra la loro prole. La dinamica cosmogonica e poi teogonica si articola infatti, nel poema di Esiodo, con il mito di successione che vede Crono impadronirsi del potere e diventare sovrano degli dèi, per poi essere detronizzato da suo figlio Zeus. Per conservare il proprio potere, Crono ingoiava i figli generati dall’unione con la sposa e sorella Rea, ma questa, grazie all’aiuto di Urano e Gaia, riesce a salvare il loro ultimo nato, Zeus, destinato a diventare il re degli dèi. I fratelli e le sorelle di Zeus (Ade, Poseidone, Era, Demetra ed Estia) formano la prima generazione degli Olimpi, e una volta liberati dalle viscere di Crono entrano in azione al fianco dell’erede designato. Grazie a una attenta politica di alleanze, e all’aiuto di Ciclopi e Centimani, Zeus riesce a sconfiggere Crono e i Titani, e a rinchiuderli per sempre nella prigione infera, il Tartaro. Gaia genera però proprio con Tartaro un nuovo dio, Tifone, quintessenza di tutte le forze caotiche e distruttive, che Zeus sconfigge in singolar tenzone, dimostrando così di possedere la forza necessaria per salvaguardare il cosmo anche dalla più terribile minaccia. Gli dèi tutti gli conferiscono allora, su consiglio della stessa Gaia, la dignità sovrana, e il re degli dèi procede quindi come promesso a ripartire gli onori tra le varie divinità in funzione delle prerogative di ciascuna. Zeus non solo stabilizza il mondo divino, ma anche ne espande e ne precisa le articolazioni attraverso un’accorta strategia matrimoniale, che è all’origine della seconda generazione degli Olimpi: sotto il regno di Zeus, vengono alla luce gruppi divini quali le Moire, le Cariti, le Muse, ma anche Apollo e Artemide (nati dall’unione con Leto), Persefone (la figlia generata con Demetra e poi concessa in sposa al fratello Ade), Atena (partorita da Zeus dopo che questi si era incorporato la dea Metis: vedi sopra), e altri dèi ancora. Zeus prende Era quale “ultimissima” sposa, e con lei dà alla luce, oltre a Ilizia, Ares, il guerriero divino, ed Ebe, la giovinezza fatta dea. La regina non genera tuttavia un erede al suo re: quello che per una coppia sovrana "normale" rappresenterebbe un punto di debolezza, diventa sull’Olimpo un punto di forza, posto a garanzia dell’eternità del regno di Zeus. La famiglia degli Olimpi continua comunque ad allargarsi con l’introduzione degli ultimi figli di Zeus: Hermes, il dio nato dall’unione con Maia, Dioniso nato immortale dall’unione con una donna mortale, Semele, e infine Eracle, nato mortale, ma destinato eccezionalmente a diventare dio.

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Le vacche del Sole nell'Odissea

Nell’isola bella del Sole vivevano le vacche «dalla fronte spaziosa» e le grasse pecore che appartenevano al dio Iperione. Quando la nave di Odisseo, l’ultima rimasta, si avvicinò alle spiagge siciliane, l’eroe itacese sentì i muggiti delle vacche e i belati delle pecore. Memore dei consigli che gli avevano dato l’indovino Tiresia e la maga Circe, che l’avevano ammonito di non fermarsi nell’isola del Sole «che rende felici i mortali» perché gli sarebbe toccata una grande sciagura, Odisseo pregò i compagni di non fermarsi e procedere oltre. Ma Euriloco lo rimproverò dicendogli che, poiché avevano vagato troppo a lungo nel mare, avevano bisogno di fermarsi almeno per una notte per poi ripartire dopo aver mangiato ed essersi riposati. Odisseo accettò a malincuore, ma prima si fece promettere che, se avessero incontrato una mandria di vacche o un gregge di pecore, non avrebbero ucciso nessun’animale, ma si sarebbero sfamati mangiando soltanto le provviste che avevano ricevuto da Circe. Ottenuta dai suoi uomini questa promessa, l’eroe fece legare la nave agli scogli, e tutti scesero a terra. Ma il giorno dopo non riuscirono a ripartire a causa dei forti venti, e non poterono farlo nemmeno nei giorni seguenti. Finché ebbero cibo e bevande, non ci fu nessun problema; ma quando le provviste finirono, dovettero ricorrere alla caccia e alla pesca, anche se né gli uccelli catturati né i pesci pescati erano sufficienti a placare la fame dei compagni di Odisseo. Ma un giorno che questi si era recato nell’interno dell’isola per supplicare gli dèi perché gli permettessero di partire di nuovo verso la sua amata Itaca, Euriloco riuscì a convincere i compagni a sacrificare le più belle tra le vacche del Sole, «dall’ampia fronte e dalle corna lunate». Quando Odisseo fece ritorno all’accampamento, gli animali erano già stati uccisi, cotti e mangiati. L’ira del Sole fu terribile: avvisato dalla messaggera Lampezia, Iperione chiese a Zeus di vendicare subito l’offesa ricevuta, minacciando di abbandonare per sempre la terra e di scendere nell’oltretomba per illuminare il buio regno dei morti. Allora Zeus, il signore delle nuvole, gli promise che avrebbe fatto giustizia: quando, dopo sette giorni di bagordi, la nave riuscì finalmente a partire alla volta di Itaca, il re degli dèi la colpì con un’improvvisa tempesta. Solo Odisseo si salvò, anche se fu costretto ad attraversare una seconda volta lo stretto di Messina, scampando per miracolo prima alle fauci di Cariddi e poi alle teste di Scilla, e raggiungendo, dopo dieci giorni passati alla deriva, Ogigia, l’isola di Calipso.

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Efesto scopre il tradimento di Afrodite

Poiché Efesto era stato informato dal Sole che, tutte le volte che si allontanava da casa, sua moglie Afrodite si incontrava di nascosto con l’amante Ares, Efesto si recò nella sua fucina e, per vendicarsi della moglie fedifraga, forgiò sull’incudine una serie di catene così robuste che non si potevano né spezzare né sciogliere. Recatosi nella sua dimora, entrò nella camera da letto e collocò le catene (che, essendo sottili come tele di ragno, erano quasi invisibili) sopra il letto nuziale. Preparata la trappola, finse di partire per l’isola di Lemno; avendolo visto allontanarsi, Ares entrò nella casa del fabbro divino e salì con Afrodite sul talamo. Quando le catene caddero su di loro, capirono di essere prigionieri: Efesto convocò tutti gli dèi per far vedere loro i due indegni amanti, chiedendo a Zeus di restituirgli i doni nuziali che gli aveva dato prima di prendere in sposa Afrodite1.

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La reggia del Sole

Dalle Metamorfosi di Ovidio1apprendiamo che la reggia del Sole (il dio che aveva rivelato al povero Efesto il tradimento della moglie) era stata costruita proprio dal fabbro divino con un lavoro artistico addirittura superiore alla ricchezza delle preziose materie impiegate: il Mulciber (con questo epiteto – «il fabbro» – il poeta latino definisce Efesto) aveva lavorato l’argento che ricopriva le due ante della porta di ingresso intarsiandovi il cielo, il mare e la terra.

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Dedalo costruisce la vacca per Pasifae

Poiché Pasifae, figlia del Sole e regina di Minosse, re di Creta, non aveva fatto ad Afrodite i sacrifici dovuti, la dea dell’amore le ispirò un amore mostruoso per un animale, un candido toro. Quando a Creta giunse esule Dedalo, la regina gli offrì ospitalità e, nello stesso tempo, gli domandò un consiglio, supplicandolo di trovare un modo per consentirle di soddisfare la sua folle passione. Dedalo costruì allora una vacca di legno, la scavò tutta all’interno, la mise sopra delle ruote e le cucì addosso la pelle di una vacca vera che aveva prima scuoiato. Entrata nella statua, Pasifae poté unirsi all’animale concependo un figlio per metà uomo e per metà toro, il Minotauro .

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Dal sangue nascono i mostri

Generato da Gaia, la Terra primordiale, Urano si unisce alla madre, con la quale genera i Titani e i Ciclopi, figli che odia, costringendoli a rimanere nelle viscere della Terra. Gaia, allora, chiede aiuto al figlio Crono, il quale, dotato di falce dalla madre, evira il padre Urano. Il sangue che sgorgherà dai testicoli recisi cade sulla Terra stessa e da esso nascono le Erinni, ovvero le Furie vendicatrici, i Giganti armati di falce e le Meliadi, divinità degli alberi1. Medusa è l’unica mortale fra le Gorgoni, donna mostruosa dai capelli di serpente e dallo sguardo capace di pietrificare chiunque la fissi negli occhi. L’eroe Perseo, aiutato da Atena, riesce a decapitare Medusa, reggendo in mano uno scudo su cui è riflessa l’immagine mostruosa, mentre egli gira la testa dall’altra parte. Dal sangue della Gorgone nascono Pegaso, il cavallo alato, e il gigante Crisaore, generati dall’unione con Poseidone, il solo che non aveva temuto di unirsi a lei2. Infine, il gigante Picoloo, durante il combattimento con gli dèi olimpici, fugge nell’isola di Circe, di cui tenta di impadronirsi cacciando la legittima proprietaria. Il Sole, padre di Circe, punisce allora Picoloo con la morte; dal suo sangue nasce l’erba moly, di colore bianco, ma nera alla radice, come il colore del sangue del gigante3.

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Lacrime d’ambra e metamorfosi di sorelle

Le Meleagridi, sorelle di Meleagro, piansero tanto per la morte del fratello che Artemide, mossa a pietà, le trasforma in galline faraone, dalle cui lacrime sgorgavano gocce d’ambra1. Le Eliadi invece, figlie del Sole e sorelle di Fetonte, piangono la morte del fratello fulminato da Zeus, per aver condotto il carro del Sole troppo vicino alla terra, rischiando di incendiarla. Trasformate in pioppi dal re degli dèi, continuano a versare lacrime dalle quali hanno origine gocce d’ambra2.

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Sole, Luna e Aurora nella Gigantomachia

Urano e Gea avevano generato tra molti altri figli anche Iperione e Teia, che poi si erano uniti a loro volta generando Sole, Luna e Aurora. Questi tre fratelli rappresentavano la luce-guida che consentiva al mondo di manifestarsi e di essere percepito: quando, durante la Gigantomachia, Gea aveva cercato un’erba magica che preservasse i suoi figli Giganti dalla morte per mano di un essere mortale, secondo quanto le era stato predetto, Zeus bloccò Sole, Luna e Aurora, facendo piombare la Terra nella più totale oscurità e così impedendo alla stessa Gea il ritrovamento dell’erba; i Giganti, in tal modo, furono condannati a perire sotto i colpi di Eracle1.

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Fetonte e il carro del Sole

Fetonte è figlio o nipote del dio Sole. Ingannando Elio, o avendo avuto la possibilità di esprimere un desiderio che questi avrebbe dovuto per forza esaudire, riesce a prendere le redini del carro del Sole, guidandolo nel cielo; la furia dei cavalli, che solo Elio era capace di contenere, spinge però il giovane fuori rotta, troppo lontano dalla Terra (secondo una versione del mito), oppure troppo vicino (secondo altre versioni), facendo scoppiare forti incendi e rendendo scuro persino il sangue, e dunque la pelle, delle popolazioni dell’India. Zeus allora interviene fulminando Fetonte, che precipita dal carro e cade presso le foci dell’Eridano1.

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Atreo e Tieste: il sole sorge a occidente

Quando i figli di Pelope, Atreo e Tieste, si confrontano per dirimere la questione, Zeus suggerisce ad Atreo, che già era stato raggirato dal fratello, il modo per manifestare la sua supremazia: Atreo fa promettere a Tieste che avrebbe ottenuto il regno se il Sole avesse compiuto un corso contrario al suo solito; Tieste accetta e allora Zeus fa sì che il sole sorga a occidente e tramonti a oriente, consacrando in tal modo la sovranità di Atreo1.

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