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Miti

Procne e Filomela

Procne e Filomela sono le figlie del re dell’Attica Pandione. Quando scoppia una guerra per questioni territoriali, egli chiama in aiuto Tereo, re di Tracia e figlio di Ares e gli offre in sposa la figlia Procne. Da questa unione, viene alla luce il piccolo Iti, la cui nascita però non allevia la nostalgia della moglie per la propria terra e per la sorella. Tereo parte quindi per andare a prendere la cognata Filomela e condurla in Tracia, ma colpito dalla bellezza della giovane se ne innamora e abusa di lei. Tornato in Tracia nasconde la fanciulla, le taglia la lingua e racconta a Procne che la sorella è morta. Filomela, priva della parola, ricorre alle sottili arti della filatura per raccontare su una tela, nel dettaglio, il suo dramma e la violenza subita dal cognato. Nel racconto di Ovidio, l’accusa che Filomela rivolge al cognato è quella di essere diventato il marito di due sorelle (geminus conjunx), di aver mescolato tutto (omnia turbasti), rendendola addirittura paelex sororis, concubina della sorella. Procne, venuta a conoscenza del crimine, uccide il figlio Iti, imbandendone le carni a Tereo, e prende la via della fuga insieme alla sorella. Inseguite dal loro aggressore, le due principesse si rifugiano in Focide, pregando gli dèi di essere trasformate in uccelli: Procne diventerà un usignolo e Filomela una rondine. Tereo venne a sua volta trasformato in upupa1.

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Marte nato da un fiore

Anche il dio della guerra, Marte, per quanto sorprendente possa sembrare, fa crescere la vegetazione e come tale viene chiamato Silvanus. Egli stesso era forse figlio di una pianta. Ovidio1fa raccontare a Flora la storia secondo la quale Marte sarebbe nato grazie a un suo espediente, quando Giunone, irritata per non aver avuto alcun ruolo nella nascita di Minerva, avrebbe chiesto l’aiuto della dea. Flora sradica da terra un fiore inviatole «dai campi di Oleno», tocca Giunone con esso, e subito la dea rimane incinta di Marte, che partorirà in Tracia2.

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Eracle e le vacche di Gerione

Come decima impresa, Euristeo ordinò al fratello di portargli le vacche che il mostro Gerione, un uomo dai tre corpi, custodiva nell’isola di Erizia (l’attuale Cadice). Gli animali, che avevano un manto rossastro, erano accuditi dal bovaro Eurizione ed erano sorvegliate da Orto, un cane a due teste. Eracle percorse tutta la Libia e, dopo essere passato in Europa, collocò a memoria del suo passaggio due colonne, una di fronte all’altra. Giunto a Cadice, uccise prima Orto, colpendolo con la clava, e poi Eurizione, che era accorso in aiuto del cane. Eracle prese le vacche e le portò presso il fiume Antemone, dove si scontrò con Gerione, che aveva saputo del furto della sua mandria. Ma la morte di Gerione, trafitto da una freccia, non pose fine alla fatica di Eracle: giunto in Liguria, dovette difendere la mandria dal tentativo di furto perpetrato da due figli di Poseidone; a Reggio Calabria, un toro scappò e nuotò fino alla Sicilia, tanto che per riprenderlo Eracle dovette affrontare Erice, un altro figlio di Poseidone; in Tracia alcune vacche, punte da un tafano mandato dalla dea Era, si dispersero e diventarono selvatiche. Quando finalmente Eracle riuscì a consegnare il resto della mandria al fratello Euristeo, questi le offrì in sacrificio a Era1.

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Le Lemniadi e gli odori

Le donne di Lemno non rendono onore ad Afrodite e la dea le punisce facendo sì che emanino cattivo odore. Questo le rende intollerabili ai loro mariti, che si prendono delle schiave di Tracia per concubine. Le Lemniadi allora, sentendosi disprezzate, uccidono tutti gli uomini dell’isola; l’unica che risparmia il padre Toante, re del luogo, è Ipsipile. A questo punto arrivano nell’isola gli Argonauti, che stabiliscono rapporti di ospitalità con loro, grazie ai consigli di Ipsipile che riesce a superare l’ostilità delle compagne. Afrodite, volendo ripopolare l’isola, suscita negli eroi una dolce passione per le Lemniadi, che accettano di unirsi agli stranieri. Banchetti e danze allietano la città, per la quale si spande il buon odore delle carni sacrificate e l’aroma dei profumi bruciati in onore della dea1.

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Cecità punitiva e redenzione

Il cacciatore Orione viene accecato da Enopione dopo che egli, ubriaco, ha tentato di violentarne la figlia Merope. Si reca quindi alla fucina di Efesto, rapisce un fanciullo, se lo mette sulle spalle e gli dice di guidarlo verso Oriente. Qui, colpito da un raggio di sole, riprende immediatamente la vista1. Anche il pastore Dafni è accecato dalla Ninfa Nomia, cui ha giurato fedeltà eterna, perché un giorno la sua rivale Chimera, dopo averlo fatto ubriacare, riesce a sedurlo e unirsi a lui. Egli, cieco, canta canzoni luttuose2. Licurgo, re di Tracia forte e violento, caccia via con un pungolo il giovane dio Dioniso con le sue nutrici, che scappano via scagliando a terra i loro tirsi, mentre Dioniso si tuffa in mare accolto da Teti. Zeus, adirato, lo rende cieco3.

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