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Miti

Incesto e metamorfosi di Mirra

La dea Afrodite, irata perché non riceveva da Mirra gli onori dovuti, ispirò in lei amore per il padre. Con la complicità della sua nutrice, per dodici notti giacque con lui, che era ignaro della sua identità. Ma quando egli lo scoprì si diede ad inseguirla con la spada, mentre la fanciulla pregava gli dèi che la rendessero invisibile. Mossi a pietà gli dèi la trasformarono nell’albero che si chiama mirra, da cui dopo nove mesi venne fuori il bellissimo Adone1.

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Metamorfosi di Cenide, da femmina a maschio

Giovane e ambita principessa tessala, Cenide accende con la sua bellezza il desiderio di Nettuno ed è costretta a subirne la violenza. Il dio del mare per ricompensarla le offre di regalarle ciò che più desidera, e la ragazza chiede di non esser più donna per non dover sopportare nuovamente lo stesso destino; Nettuno le concede così il grande dono della metamorfosi in uomo, a cui aggiunge di suo anche quello dell’invulnerabilità. Divenuta Ceneo, Cenide inizia dunque una nuova vita come giovane eroe; dotato di un corpo capace di resistere alle aggressioni e addirittura impenetrabile a qualsiasi tipo di ferita, il giovane ben presto sperimenta i vantaggi della sua nuova identità: nella battaglia contro i Centauri tiene valorosamente testa all’immane violenza dei suoi avversari. Nonostante la loro incredulità, che li spinge a ricordare con disprezzo il suo passato di ragazza e a schernirlo come “mezzo uomo”, l’eroe dà prova di straordinaria virilità. I Centauri riusciranno ad avere la meglio su di lui soltanto attaccandolo in gruppo: il giovane Ceneo finirà allora per scomparire sotto il gigantesco cumulo di tronchi di albero che essi gli scagliano contro1.

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Protezione contro il dio Silvano

(Varrone) ricorda che tre dèi sono impiegati a protezione della donna sgravata affinché il dio Silvano non entri durante la notte per farle violenza. Afferma che per indicare i tre dèi protettori, tre uomini di notte girano attorno al limitare della casa, e che dapprima percuotono il limitare con la scure, poi col pestello, e infine la spazzano con la scopa. Così mediante tre segni della coltura si proibirebbe al dio Silvano di entrare, perché gli alberi non si tagliano o potano senza la scure, la farina non si ottiene senza il pestello, le biade non si ammucchiano senza la scopa. Da questi tre oggetti sarebbero stati denominati i tre dèi, Intercidona dal taglio della scure, Pilunno dal pestello e Deverra dalla scopa. Con la loro protezione si difenderebbero i neonati dalla violenza del dio Silvano1.

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Purificazione di Oreste

Il doppio assassinio, della madre e del suo amante, fu ispirato da Apollo, ma comunque Oreste dovette purificarsi. Anche la sua purificazione ha a che fare con Apollo: sull’ara domestica del dio è il sacrificio di un verro lattante per mondare l’impurità di Oreste1. In altre tradizioni il figlio di Agamennone arrivò in Italia e nell’area di Reggio, nelle acque del fiume Metauro (odierno Petrace), fece un bagno purificatore, appese a un albero l’arma dell’omicidio, una spada, eresse un tempio in onore di Apollo in un bosco dal quale i Reggini raccoglievano un ramo di lauro ogni volta che inviavano una delegazione a Delfi2.

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filemone_bauci

I protagonisti sono due contadini della Frigia, in Asia Minore, anziani sposi che, al tramonto della vita, fanno l’esperienza di accogliere due divinità che si sono presentate in sembianze umane, come viandanti in cerca di ospitalità. Gli dèi, tanto grati ai due sposi quanto indignati per il comportamento dei vicini della coppia, che li hanno invece rifiutati, mandano sulla terra un diluvio dal quale solo Filemone e Bauci troveranno scampo. Inoltre, essi realizzano il desiderio che i due sposi hanno espresso prima che i loro ospiti si congedassero: riuscire a non sopravvivere l’uno all’altro, allontanarsi dalla vita in perfetta sintonia anche temporale. Divenuti custodi del tempio nel quale viene trasformata la loro povera capanna, Filemone e Bauci saranno mutati in alberi, e si radicheranno per sempre nella terra che hanno reso accogliente e ospitale1

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Anfione e Zeto

Antiope, figlia del dio-fiume Asopo, genera da Zeus i gemelli Anfione e Zeto. Antiope però deve abbandonarli presso il monte Citerone per fuggire l’ira del padre Nitteo, re di Tebe. Un pastore ha cura dei gemelli, che crescono forti: Zeto diviene pastore e cacciatore, mentre Anfione è il primo suonatore della lira inventata dal dio Ermes1. Lo zio paterno Lico ritrova Antiope a Sicione, la cattura riportandola a Tebe e la fa schiava presso sua moglie Dirce. I gemelli, ormai adulti, riconoscono la madre, la liberano e depongono Lico. La sovranità di Tebe viene data a Zeto, mentre Anfione la circonda di mura facendo muovere le pietre e gli alberi al suono della sua lira. Tebe ebbe così sette porte, come sette erano le corde dello strumento2.

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