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Orazi e Curiazi

Tullo Ostilio e il re di Alba Longa, Mezio Fufezio, decidono di risolvere il conflitto fra le loro città facendo scontrare un numero circoscritto di uomini. Come per un segno del fato, a Roma e ad Alba sono presenti due coppie di trigemini e Fufezio propone di scegliere tali giovani quali campioni dei rispettivi eserciti. I gemelli sono fra loro cugini, in quanto figli di due sorelle, le Sicinie, a loro volta gemelle fra loro e sposate dal loro padre l’una al romano Orazio, l’altra all’albano Curiazio. Inoltre, i sei ragazzi sono cresciuti a stretto contatto, al punto da chiamarsi tra loro “fratelli”, e la sorella degli Orazi è promessa sposa a un Curiazio. Nonostante ciò, i campioni delle due città sono disponibili ad affrontare il duello. Il combattimento ha luogo alla presenza dei rispettivi eserciti; dopo che due degli Orazi sono già caduti, il fratello superstite riesce a uccidere tutti i nemici, affrontandoli uno alla volta, e torna a Roma carico delle spoglie sottratte ai Curiazi. In mezzo alla folla che gli corre incontro c’è anche la sorella, che riconosce fra le spoglie il mantello da lei tessuto per il promesso sposo; Orazia scoppia allora in lacrime, rimproverando al fratello di aver ucciso degli stretti congiunti, ai quali si rivolgeva con l’appellativo di “fratelli”. Per tutta risposta, Orazio trafigge con la spada la ragazza, colpevole di piangere un nemico e di avergli rifiutato il "bacio" rituale che deve a suo fratello. Ha luogo allora un processo, nel corso del quale il giovane Orazio si appella al popolo e viene assolto, nonostante la gravità del suo crimine, in nome dell’eroismo mostrato in guerra. Tuttavia, per placare l’ira degli dèi, custodi dei legami parentali, vengono consacrati due altari, uno dedicato a Giunone Sororia, protettrice delle sorelle, e uno a Giano Curiazio. Il giovane Orazio, poi, viene fatto passare in segno di espiazione sotto un giogo, il Tigillum sororium o “Trave della sorella”, ancora visibile nel tardo I secolo a.C.; nella stessa area sorgeva anche la colonna eretta per conservare le spoglie dei Curiazi, la cosiddetta pila Horatia12.

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Riconoscimento tra Odisseo e Penelope

Quando la nutrice Euriclea annuncia che Odisseo è tornato, Penelope non le crede. Di fronte a Odisseo, lacero e sporco dopo la strage, stenta a riconoscerlo e rimane in silenzio, sospettosa. Odisseo si fa allora lavare, indossa vesti preziose e Atena gli versa sul capo bellezza e grazia. Trasformato dalla dea, torna simile a un dio al cospetto della moglie. Ma poiché lei permane in un ostinato silenzio, Odisseo le chiede di preparargli il letto per dormire da solo. Penelope lo mette alla prova, ordinando all’ancella di disporre il letto fuori dalla stanza, ma Odisseo non cade nel tranello: afferma che nessun uomo potrebbe spostare il loro letto. Egli stesso lo fabbricò, ai tempi del loro matrimonio, intagliandolo da un tronco d’olivo rigoglioso attorno a cui costruì la loro camera da letto. Solo allora Penelope lo riconosce, le si sciolgono le ginocchia e gli corre incontro per abbracciarlo e baciarlo: come la terra per il naufrago è lo sposo per la sposa. Atena trattiene sull’orizzonte il carro dell’Aurora e dona così agli sposi ricongiunti una notte lunghissima. Essi parlano a lungo, poi s’avviano al talamo nuziale, dove godono dell’amore e dei racconti, finché il sonno infine li vince uniti1.

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Orazio e il tradimento della sorella

Avvicinandosi alle porte della città dopo la conclusione del duello, Orazio si stupisce di scorgere tra la folla che si affretta nella sua direzione il profilo della sorella, una vergine in età da marito, ma poi si convince che Orazia voglia essere la prima a felicitarsi con il fratello superstite e a conoscere gli atti di valore compiuti dagli altri Orazi meno fortunati. In realtà la ragazza è mossa dall’amore per uno dei Curiazi, al quale è stata promessa dal padre. La vista di un mantello che lei stessa aveva tessuto tra le spoglie dei Curiazi uccisi le rivela la drammatica verità: inizia allora a strapparsi le vesti, a battersi il petto e insieme a inveire contro Orazio, capace di uccidere coloro che era abituato a definire fratelli. Un’altra fonte1aggiunge che alla richiesta di Orazio di ricevere il bacio rituale che a lui spettava in quanto fratello, secondo le pratiche del cosiddetto “diritto del bacio”, Orazia oppone un secco rifiuto: un gesto dal valore simbolico molto forte, che segnala la rottura della solidarietà familiare. Orazio allora trafigge a morte la sorella, colpevole di manifestare il proprio cordoglio per la morte di un fidanzato che la guerra aveva però trasformato in nemico e insieme nell’assassino dei suoi fratelli. Processato per il suo crimine e poi assolto, Orazio deve comunque sottoporsi alle necessarie cerimonie di purificazione: vengono così innalzati due altari, uno a Giunone Sororia, l’altro a Giano Curiatius; al centro fra i due venne infine piantato un giogo, costituito da una trave orizzontale fissata su pali verticali e chiamato tigillum sororium, la «trave della sorella», sotto il quale il giovane Orazio venne fatto passare in segno di espiazione2.

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