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Divinizzazione di Romolo

Romolo passa in rassegna l’esercito nel Campo Marzio, quand’ecco all’improvviso scomparire il sole e venir giù un violento temporale. Fra lampi e tuoni il cielo si squarcia e Romolo sparisce dalla vista: era salito tra gli astri con i cavalli del padre o forse avvolto da una nube. Un fatto così straordinario provoca un turbamento generale; ci fu anche chi sospettò che il re fosse stato ucciso dai senatori. Eppure, l’ammirazione per l’eroe e la paura accreditarono sin da subito la prima versione1. Chi non ebbe dubbi fu Giulio Proculo, fedele amico di Romolo2. Ritornava da Alba Longa quando d’un tratto ebbe una visione sconvolgente, da fargli drizzare i capelli: di fronte a lui stava Romolo, più bello e più grande di un uomo. Gli parlò così: «Di’ai Quiriti che smettano di piangere! Offrano piuttosto incenso alla mia divinità, rendano onore al nuovo Quirino coltivando i costumi degli antenati!». Detto questo, sparì. Proculo riferì al popolo quanto aveva visto e udito e, subito, si costruì un tempio per il nuovo dio, da cui si denominarono un colle e le cerimonie sacre per lui istituite3.

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Divinizzazione di Anna Perenna

Fuggita da Cartagine, in mano ormai al nemico Iarba, Anna si ritrova dopo un lungo peregrinare nel Lazio, dove Enea ha ereditato il regno di Latino. Commosso nel vederla, l’eroe accoglie Anna con grande affabilità, tanto da suscitare la gelosia della moglie Lavinia, che inizia a tramare insidie contro di lei. Avvertita in sogno da Didone, Anna balza dal letto e fugge atterrita dalla reggia. La sua corsa, però, si arresta presso la riva del fiume Numicio: si crede, infatti, che il fiume stesso l’abbia afferrata celandola nelle sue onde. Il giorno dopo Enea va alla ricerca di Anna, seguendone le tracce fino al fiume, e qui ode una voce: «Sono una ninfa del fiume Numicio: celata nell’onda perenne, mi chiamo Anna Perenna»1.

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deificazione_romolo

Si dice che, durante una violenta tempesta, una nuvola avesse avvolto il corpo di Romolo e lo avesse nascosto alla vista dei patres. Dissoltasi la nuvola, Romolo non si trovò più da nessuna parte. I Romani allora, dice Livio1, furono presi dalla paura e dallo sconforto, come se avessero perso un padre. Poi qualcuno cominciò a esclamare che Romolo, figlio di un dio, era diventato un dio lui stesso. I patres diffusero la buona notizia, ma la città rimase piuttosto inquieta per la strana scomparsa. Non tutti ci credevano. Ci fu allora un certo Giulio Proculo, il cui parere era stimato, che si presentò al popolo e affermò di essere certo che Romolo fosse salito al cielo. Come prova addusse il fatto che il loro sovrano era apparso quella mattina stessa davanti ai suoi occhi impauriti e pieni di rispetto. Romolo gli aveva ingiunto di riferire agli altri Romani che non si preoccupassero per lui e aveva aggiunto un messaggio per i suoi concittadini: la volontà del cielo era che Roma fosse la capitale del mondo. I Romani dunque si sarebbero dovuti impegnare nell’arte militare e avrebbero dovuto insegnare ai loro figli che nessuna potenza umana può resistere alle armi dei Romani. Dopodiché, dice Proculo, Romolo si alzò in aria e sparì.

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deificazione_enea

Uno è quello di Enea che, dopo essere sbarcato da Troia nel Lazio, aver combattuto diverse battaglie con i popoli locali, aver sposato Lavinia e aver fondato Lavinio, era scomparso in un fiume. Ma gli scrittori antichi sapevano che non era morto annegato, bensì scomparso alla vista degli umani per trasformarsi in un dio protettore della sua stirpe. Il racconto delle Metamorfosi di Ovidio è molto preciso a questo proposito. Dopo che il valore di Enea era stato riconosciuto da tutti e che aveva affidato il suo potere a suo figlio, era ormai arrivato il momento che diventasse un dio. Sua madre Venere allora domanda a Giove di renderlo immortale e lo fa chiedendo di accordargli un «potere divino» anche se piccolo1. Giove acconsente e Venere, contenta di aver raggiunto il suo scopo, chiede al fiume Numicius, dove Enea era scomparso, di purificare tutto ciò che di lui era mortale, lasciando solo la sua parte migliore. Poi sua madre stessa cosparge il corpo del figlio con un profumo divino e gli tocca la bocca con ambrosia e nettare, rendendolo dio (fecitque deum). Grazie a questo processo, dunque, Enea può passare questa frontiera e schierarsi dalla parte degli dèi.

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deificazione_anna

Dopo la partenza di Enea da Cartagine e il suicidio di Didone, anche la sorella Anna è costretta a fuggire perché il regno è invaso dai Numidi. Al termine di lunghe peregrinazioni, Anna giunge infine nel Lazio, dove incontra per caso Enea, quando ormai questi è sposato con Lavinia. Enea la ospita nel proprio palazzo e la tratta con tutti gli onori, cosa che rende gelosa sua moglie, che ordisce una vendetta. Ma Anna ha una visione notturna. Le appare Didone che la mette in guardia del pericolo imminente, cosicché Anna può fuggire a tempo. Nella sua corsa disperata arriva al fiume Numico, che la solleva e la nasconde nelle sue acque. A Enea e ai suoi compagni che la cercano disperatamente, la voce di Anna annuncia che è ormai diventata una ninfa del fiume e che, nascosta dall’onda perenne, si chiama Anna Perenna .

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ino_roma

La storia inizia nella città greca di Tebe, dove si trova la giovane donna Ino, sposa del re Adamante. Inoè anche sorella di Semele, dalla cui relazione amorosa con Zeus nasce Dioniso. A causa dell’ira di Giunone, però, Semele è stata fulminata. Dalle ceneri del suo corpo viene estratto il feto di Dioniso, che viene cucito nella coscia di Zeus per completarne la gestazione. Una volta nato (o rinato dalla coscia del padre), Dioniso viene affidato a Ino, che se ne occupa in qualità di zia materna. A questo punto la collera di Giunone per il tradimento di Zeus si rivolge contro di lei e la sua famiglia. Giunone fa in modo che Inovenga a sapere che Adamante, il marito, aveva una concubina. Resa folle dalla gelosia, Inobrucia i semi con cui si sarebbe dovuto ottenere il futuro raccolto. Quest’atto sconsiderato, che può provocare una grave carestia, suscita a sua volta l’ira furiosa di Adamante che uccide uno dei figli avuti con Ino. La giovane madre scappa con l’altro figlio, Melicerta, nel tentativo di salvargli la vita. Fuggono fino al mare in cui si gettano saltando da una rupe. Le divinità marine hanno pietà di loro e, nel mito greco, le divinizzano: lei prende il nome di Leucotea, la dea bianca, in ricordo della bianca schiuma del mare, e il figlio quello di Palemone. Nel mito romano, invece, la loro storia non termina qui. Dopo un viaggio per mare e, in seguito, nel Tevere, i due approdano nel centro di quella che sarà un giorno Roma, vicino al futuro Foro Boario, dove si trovano anche l’Ara Maxima di Ercole e il Tempio di Carmentis. Al loro arrivo, madre e figlio sono attaccati da un gruppo di Menadi, che vogliono impossessarsi del bambino. Inochiede aiuto ed è proprio Ercole che, udite le grida, viene in suo soccorso. Liberati dalle donne infuriate, madre e bambino vengono accompagnati da Carmentis, dea della profezia proveniente anche lei dalla Grecia. Questa provvede a rifocillarli offrendo loro quei biscotti che diventeranno in seguito un’offerta rituale e a tranquillizzarli, rivelando loro di essere al termine delle sofferenze: madre e bambino diventeranno delle divinità del Lazio e saranno conosciuti come Mater Matuta, cioè la divinità dell’aurora e dell’infanzia dei bambini, e Portunus, nome che indica il suo stretto rapporto con le acque navigabili1.

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