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Miti

Niobe, montagna piangente

Ancora molti secoli dopo la trasformazione, i viaggiatori che si fermavano a guardare da lontano la cima piovosa del Sipilo, potevano scorgere nella forma di questa montagna il volto di una donna piangente e dall’espressione addolorata1.

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Tarpea si fa corrompere dai nemici

Al tempo in cui il Campidoglio era sorvegliato da Spurio Tarpeio, i Sabini guidati da Tito Tazio entrarono a Roma. Fu la figlia del guardiano, Tarpea, a rendere possibile l’accesso ai nemici. La giovane vergine era uscita dalle mura per prendere l’acqua quando fu sorpresa da Tito Tazio. Tarpea guidò il nemico alla rocca, secondo alcune fonti con la promessa di ricevere in cambio i suoi gioielli d’oro1, secondo altre perché innamoratasi subitaneamente del re sabino2. In tutti i casi, la fanciulla morì, colpita dagli scudi dei nemici.

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Eracle e la veste avvelenata

Il giorno in cui Eracle salvò la sposa Deianira dalle insidie erotiche di Nesso, ferendolo a morte, innescò senza saperlo il principio della propria fine. Il Centauro diede alla donna i grumi del proprio sangue, facendoli passare per una pozione d’amore. Quando Eracle prese Iole come concubina, la sposa gelosa inviò al marito una veste intrisa del sangue velenoso. L’araldo Lica consegnò il dono nefasto ad Eracle ma la veste, una volta indossata, prese fuoco fino a corrodere il corpo dell’eroe. Eracle, prima di morire, afferrò Lica e lo scagliò verso il mare. Alcuni raccontano semplicemente che l’araldo morì schiantandosi contro un masso1; altri dicono che nel punto in cui cadde e sparì in mare nacque uno scoglio che fu chiamato Lica, altri ancora che a questo evento devono essere ricondotte le tre isole dette Licadi, antistanti le coste dell’Eubea2.

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Metamorfosi di Lica in pietra

Lica, spaventato (trepidum), si nasconde nella cavità di una rupe, sussulta (tremit) ed è bianco dallo spavento (pallidus pavet) quando l’eroe lo prende, scagliandolo lontano, con una forza pari a quella di una macchina da lancio. L’uomo sfreccia nell’aria, in direzione del mare, è esangue dalla paura (exsanguem metu), gli umori del corpo prosciugati. E allora, come le gocce di pioggia si rapprendono in fiocchi di neve e questi a loro volta in grandine, così Lica si irrigidisce, fino a diventare di pietra. Di lui non resta che uno scoglio sporgente sul mar d’Eubea e i naviganti temono di calpestarlo, perché scorgono in esso le tracce di una forma umana (humanae vestigia formae) e per l’idea che quella pietra, chiamata Lica, sia capace di provare delle sensazioni.1.

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