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Miti

Ringiovanimento di Iolao

I figli di Eracle sono perseguitati da Euristeo, il re che aveva imposto al padre le ben note fatiche. Iolao, guida e protettore degli Eraclidi, fugge con loro dall’Argolide in Attica. I supplici ricevono benevola accoglienza e gli Ateniesi rifiutano di consegnare i fuggitivi a Euristeo, il quale li ha inseguiti e adesso dichiara guerra alla città. Quanto i due eserciti sono pronti a scontrarsi, Iolao, benché anziano e privo di forze, vuole prendere parte alla lotta. I presenti si oppongono: un vecchio in campo è un danno per se stesso, oltre che per i propri compagni; occorre arrendersi a questa evidenza e lasciare da parte l’impossibile idea di riconquistare la giovinezza. Eppure l’eroe, più che mai risoluto, decide di indossare le armi votive presenti nel tempio di Zeus. Intanto, l’armata argiva soccombe. Iolao e Illo, uno dei figli di Eracle, si lanciano in corsa, sul cocchio, all’inseguimento di Euristeo. Raggiuntolo, Iolao prega Zeus ed Ebe di diventare giovane per un solo giorno. A questo punto, si compie il prodigio: due stelle, posandosi sui gioghi dei cavalli, avvolgono il carro con una nube scura. Dalla cupa oscurità appare Iolao, esibendo il giovane aspetto delle membra rinnovate. L’eroe prevale su Euristeo, lo fa prigioniero e lo conduce al cospetto della vecchia Alcmena, la madre di Eracle, per decidere se l’odiato nemico dovrà essere giustiziato1. Secondo un’altra versione, Iolao è già morto quando Euristeo minaccia di muovere guerra agli Ateniesi; il defunto prega allora di poter tornare in vita, viene esaudito e, dopo aver ucciso Euristeo, perisce per una seconda volta2.

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Procne e Filomela

Procne e Filomela sono le figlie del re dell’Attica Pandione. Quando scoppia una guerra per questioni territoriali, egli chiama in aiuto Tereo, re di Tracia e figlio di Ares e gli offre in sposa la figlia Procne. Da questa unione, viene alla luce il piccolo Iti, la cui nascita però non allevia la nostalgia della moglie per la propria terra e per la sorella. Tereo parte quindi per andare a prendere la cognata Filomela e condurla in Tracia, ma colpito dalla bellezza della giovane se ne innamora e abusa di lei. Tornato in Tracia nasconde la fanciulla, le taglia la lingua e racconta a Procne che la sorella è morta. Filomela, priva della parola, ricorre alle sottili arti della filatura per raccontare su una tela, nel dettaglio, il suo dramma e la violenza subita dal cognato. Nel racconto di Ovidio, l’accusa che Filomela rivolge al cognato è quella di essere diventato il marito di due sorelle (geminus conjunx), di aver mescolato tutto (omnia turbasti), rendendola addirittura paelex sororis, concubina della sorella. Procne, venuta a conoscenza del crimine, uccide il figlio Iti, imbandendone le carni a Tereo, e prende la via della fuga insieme alla sorella. Inseguite dal loro aggressore, le due principesse si rifugiano in Focide, pregando gli dèi di essere trasformate in uccelli: Procne diventerà un usignolo e Filomela una rondine. Tereo venne a sua volta trasformato in upupa1.

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Contesa per gli onori ad Atene

Una disputa ha luogo per l’Attica tra Atena e Poseidone: con un colpo di tridente, il dio fa sgorgare un mare sull’Acropoli, ma è Atena, che vi ha piantato l’olivo, che ottiene l’Attica e il diritto di dare il proprio nome alla città di Atene. Per dirimere la contesa tra gli dèi si fa ricorso a uno o più giudici che le differenti versioni identificano con i primi re del paese (Cecrope, Cranao, Erisittone) oppure con i Dodici dèi1. Anche il territorio di Argo è oggetto di disputa, e i giudici sono questa volta Foroneo, figura di fondatore e figlio del fiume Inaco, affiancato da Cefiso e Asterione, divinità fluviali del luogo: questa terra è assegnata ad Era, e Poseidone che gliela contendeva si adira facendo sparire l’acqua dei fiumi2. Nel caso di Corinto, la disputa tra Helios e Poseidone è risolta da una divinità primordiale quale Briareo, che assegna al dio solare la città e l’Acrocorinto (da Helios poi ceduto ad Afrodite), e al sovrano del mare la regione dell’Istmo3. Poseidone e Atena entrano in conflitto anche per la città di Trezene, ed è Zeus stesso questa volta a dirimere la disputa, stabilendo che i due contendenti la possiedano in comune: Atena vi è quindi onorata con il titolo di Polias (“Protettrice della polis”), Poseidone con quello di Basileus (“Re”), e le monete della città hanno come effigie sia il tridente del dio sia il volto della dea4.

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Sopatro e il sacrificio

Sopatro, un contadino non ateniese che vive nelle campagne dell’Attica, uccide in un eccesso d’ira un bue colpevole di aver calpestato e divorato le incruente offerte sacrificali in onore degli dèi. Consapevole di aver infranto la norma vigente che impedisce di uccidere essere animati, prescrivendo di offrire agli dèi i soli frutti della terra, Sopatro fugge a Creta. Nel frattempo, l’infrazione compiuta dal contadino genera una carestia, e i rappresentanti degli Ateniesi si recano a Delfi per chiedere alla Pizia come porre fine alla sterilità della terra. La profetessa risponde che è necessario richiamare in Attica Sopatro, rimettere in piedi il bue ucciso dopo averne gustato le carni, punire l’uccisore. Rientrato ad Atene, Sopatro chiede di essere ammesso nel novero dei cittadini e si propone per la funzione di abbattitore del bue a patto che tutti i cittadini prendano parte al rito. Gli Ateniesi accettano le sue condizioni. Il bue è sacrificato e le sue carni sono mangiate in un banchetto pubblico; si ricostituisce quindi l’immagine dell’animale con la sua pelle e della paglia, e il bue “resuscitato” è aggiogato a un aratro per riprendere il suo lavoro di aratore, al fianco dell’uomo. Infine, gli Ateniesi istruiscono un processo per l’uccisione dell’animale. La colpa è progressivamente scaricata da tutti i partecipanti al rito, fino a ricadere sul coltello sacrificale (machaira) che, riconosciuto colpevole in quanto incapace di difendersi, viene gettato in mare1.

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Temistocle interpreta l'oracolo di Delfi

Sotto la minaccia incombente dell’invasore persiano, gli Ateniesi inviano messi a Delfi a interrogare Apollo sul da farsi. Ma la Pizia fornisce loro un oracolo terribile, che presagisce rovina e distruzione, senza lasciare scampo alcuno alla popolazione attica: «O sventurati, perché ve ne state qui seduti? Lascia le tue case e le alte cime della tua città dalla rotonda cinta e fuggi agli estremi limiti del mondo». All’udir queste parole, gli inviati Ateniesi restano profondamente turbati, ma uno dei cittadini di Delfi consiglia loro di afferrare dei rami d’ulivo e, presentandosi in veste di supplici, di chiedere alla Pizia un secondo responso. Il nuovo vaticinio è anch’esso più che preoccupante, ma, a differenza del primo, lascia agli Ateniesi una speranza di salvezza: «Quando sarà preso tutto quello che è racchiuso fra il colle di Cecrope [l’acropoli] e l’antro del divino Citerone [ai confini fra Attica e Beozia], l’onniveggente Zeus concede alla Tritogenia [Atena, la dea protettrice di Atene] che solo un muro di legno sia inespugnabile; questo salverà te e i tuoi figli». Soddisfatti del nuovo responso, gli inviati fanno ritorno ad Atene e lo riferiscono all’assemblea, dove questo è discusso tra tutti i cittadini. L’interpretazione delle parole di Apollo suscita un vivo dibattito: anziani (presbyteroi) e cresmologi (“interpreti di oracoli”) ritengono che il “muro di legno”, in cui l’oracolo ha additato l’unica fonte possibile di salvezza, corrisponda alle antiche palizzate di legno che un tempo circondavano l’acropoli, e che pertanto è necessario rifugiarsi sulla parte più alta della città e resistere lì all’attacco persiano; altri, tra cui Temistocle, sostengono che il “muro di legno” della profezia delfica sia la flotta, e che dunque è necessario abbandonare la città e affrontare i Persiani sul mare, nei pressi dell’isola di Salamina. Così come era già accaduto in precedenza, quando aveva convinto i concittadini a utilizzare i proventi delle miniere d’argento scoperte nella regione del Laurio per l’allestimento di nuove navi da guerra, Temistocle riesce a persuadere il popolo ad accogliere la sua interpretazione dell’oracolo. I fatti gli danno ragione: la flotta ateniese sconfigge quella persiana, mentre tutti coloro che si sono rifugiati sull’acropoli finiscono preda dei nemici1.

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La contesa tra Atena e Poseidone per l’Attica

Quando sull’Attica regnava il re Cecrope, nato dalla terra, gli dèi decisero di insediarsi nelle terre dove avrebbero voluto avere un culto personale. Poseidone per primo arrivò in Attica, colpì la terra con il suo tridente e fece sgorgare il mare chiamato Eretteide. Poi giunse Atena, che piantò invece un ulivo. Scoppiò quindi una contesa fra i due che Zeus volle risolvere – secondo una delle versioni del mito – nominando giudici i dodici dèi. Essi assegnarono l’Attica ad Atena perché Cecrope testimoniò che la dea per prima era giunta in Attica e aveva piantato l’olivo1. Atena dunque diede il suo nome alla città e Poseidone, adirato, inondò la pianura Tiria e sommerse l’intera Attica .

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