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Ippolito muore travolto dai propri cavalli

Ippolito, figlio di Teseo e di un’Amazzone, benché oramai in età da matrimonio, preferisce starsene in disparte dalle femmine e continuare a cacciare nei boschi in compagnia degli amici di scorribande, di cavalli e di cani1. Per Ippolito il rifiuto di ogni esperienza erotica è una scelta consapevole e un motivo di vanto. Offesa per il disprezzo che il ragazzo manifesta nei confronti della sua sfera di potere, Afrodite destina il ragazzo a essere oggetto di una passione incontenibile da parte di chi meno avrebbe dovuto desiderarlo, ossia Fedra, giovane moglie di Teseo. Inorridito da questa passione, Ippolito rifiuta le avances della matrigna che, per vendicarsi, lo denuncia al padre accusandolo di averla violentata. Teseo maledice il figlio, invocando Poseidone, che in questo modo realizza la preghiera del padre: mentre Ippolito corre in riva al mare sul suo carro, un toro esce dalle onde terrorizzando i cavalli. Alle giumente rese ingovernabili dalla paura, Ippolito rivolge poche disperate parole, cercando di calmarle «Fermatevi, non mi uccidete, creature allevate alla mia mangiatoia!»2. Ma il carro esce di strada e Ippolito, intrappolato nelle briglie, è fatto a pezzi.

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Fedra, Oreste e la follia

Fedra è colpita, per volere di Afrodite, da insana passione per il figliastro Ippolito, figlio del marito Teseo. La sua è follia d’amore, come la nutrice definisce il male della padrona e come lei stessa riconosce: è sconvolta dai pungoli d’amore, giace a letto pallida rifiutando il cibo, ha una dolorosa pesantezza alla testa e ha sete di pura acqua di fonte1. Oreste, il matricida perseguitato dalle Erinni, è a sua volta in preda alla follia: l’infelice giace in un letto, non si lava e non tocca cibo, è preso da amnesia, ha la bava alla bocca, i capelli sudici sugli occhi, non può stare fermo ma ha bisogno di cambiare spesso posizione, quando il male si assopisce balza dal letto e si mette a correre2.

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Esculapio salva Ippolito

Quando Ippolito, in seguito alla maledizione del padre, cade dal carro e muore sfracellandosi contro le rocce, l’indignazione della dea Diana, che lo ama molto, è grande. Allora Esculapio, mosso a pietà, subito estrae le sue erbe, tocca tre volte il petto del ragazzo e tre volte pronuncia parole salutifere. Così Ippolito solleva il capo da terra e gli viene restituita la vita. E perché un simile dono non susciti invidia, Diana gli aggiunge anni ulteriori, gli assegna un volto irriconoscibile e gli impone il nome di Virbio, che significa “uomo per due volte” (bis vir). Giove però, temendo che quell’atto sia di cattivo esempio, perché sminuisce le leggi degli inferi, scaglia un fulmine contro Esculapio, che ha osato superare i limiti della propria arte. Ma Febo si lamenta di quel castigo e Giove, per placarlo, trasforma Esculapio in un dio1.

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