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Miti

Alcesti: il sacrificio di sé come forma di amore coniugale

Admeto è re di Fere e presso di lui ha servito per un anno come mandriano il dio Apollo, per punizione di Zeus. Grazie al legame speciale che Admeto ha con Apollo non solo ottiene in sposa la bellissima Alcesti, ma anche gli viene concesso dalle Moire, le dee che filano il destino, di sottrarsi alla morte quando fosse giunto per lui il tempo, purché un altro fosse morto al posto suo. Il momento della morte arriva presto e Admeto sgomento chiede ai genitori di morire per lui, ma essi, pur vecchi, dichiarano che la vita può ancora riservare loro delle gioie inaspettate. Soltanto la moglie Alcesti è disposta a sacrificare la propria vita, perché il marito Admeto continui a vivere. Dà dunque addio al letto nuziale, luogo simbolico della propria vita di sposa, bagnandolo con le sue lacrime. Scende dunque all’Ade Alcesti, ma Eracle la va a riprendere dagli Inferi o, secondo altri, Persefone rifiuta la morte dell’eroina e la rimanda in vita1.

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Suicidio di Evadne sul rogo di Capaneo

Capaneo, uno dei setti eroi andati in armi contro Tebe, nella guerra fratricida tra Eteocle e Polinice, muore fulminato dalla folgore di Zeus. La moglie Evadne sale sulla roccia che sovrasta la casa, in prossimità del rogo funebre del marito, e si slancia ella stessa nel rogo per il desiderio di morire con lui, come dice con foga esaltata: «È morte dolcissima morire assieme a chi amiamo […] unirò il mio corpo allo sposo amato nella fiamma splendente, stringendo la mia carne alla sua. Giungerò al talamo nuziale di Persefone, e non ti tradirò mai»1.

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La testa della Gorgone agli Inferi

Odisseo, nella sua evocazione dei morti, ha appena terminato di parlare con la parvenza fantasmatica del defunto Eracle. L’eroe indugia ancora in attesa di poter parlare con altri eroi del passato, ma all’improvviso viene atterrito dalle grida raccapriccianti di una schiera di morti che si raccoglie davanti a lui. Il suo timore è che stia arrivando proprio "il capo della Gorgone", inviato da Persefone. È per questo che subito ordina ai compagni di salpare in tutta fretta1.

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Teogonia esiodea

All’inizio ci sono Chaos, l’abisso originario dell’informe e dell’indefinito, poi Gaia, la Terra, potenza primordiale che costituisce l’assise dell’universo a venire, quindi Eros, che senza avere discendenza propria è tuttavia la potenza indispensabile per mettere in moto la dinamica delle filiazioni divine, avviando così il processo teogonico. Chaos mette al mondo Notte ed Erebo, e dall’unione di questi nascono Etere e Giorno: l’oscurità e la luce, nello spazio e nel tempo, vengono a costituire le coordinate essenziali in cui l’universo può prendere forma. Gaia mette al mondo per partenogenesi i Monti, che articolano la sua superficie, Ponto, il salso Mare che si agita negli abissi terrestri, e Urano, il Cielo che la sovrasta definendone il limite superiore. Unendosi a Ponto, la Terra primordiale genera una serie di potenze legate al mondo acquatico, talvolta benevole talvolta mostruose. Dalla sua unione con Urano sono generate la maggior parte delle entità divine che strutturano l’universo, tra cui: Oceano, il fiume divino che circonda la terra, delimitandola, ed è, con Teti, all’origine delle acque dolci; Iperione, "Colui che si muove in alto" e Theia, "Divina", che unendosi danno vita a Sole, Luna e Aurora, specializzando così nella discendenza le prerogative evocate dai rispettivi teonimi. Gaia e Urano non solo costituiscono la coppia primordiale Cielo-Terra, ma sono anche i capostipiti della dinastia divina regnante. Oltre a generare Ciclopi e Centimani, terribili divinità che rappresentano la potenza delle armi e della forza bruta, essi mettono al mondo i Titani, il più giovane dei quali, Crono, evira Urano su istigazione della stessa Gaia, adirata con il figlio e sposo che respingeva nelle viscere della terra la loro prole. La dinamica cosmogonica e poi teogonica si articola infatti, nel poema di Esiodo, con il mito di successione che vede Crono impadronirsi del potere e diventare sovrano degli dèi, per poi essere detronizzato da suo figlio Zeus. Per conservare il proprio potere, Crono ingoiava i figli generati dall’unione con la sposa e sorella Rea, ma questa, grazie all’aiuto di Urano e Gaia, riesce a salvare il loro ultimo nato, Zeus, destinato a diventare il re degli dèi. I fratelli e le sorelle di Zeus (Ade, Poseidone, Era, Demetra ed Estia) formano la prima generazione degli Olimpi, e una volta liberati dalle viscere di Crono entrano in azione al fianco dell’erede designato. Grazie a una attenta politica di alleanze, e all’aiuto di Ciclopi e Centimani, Zeus riesce a sconfiggere Crono e i Titani, e a rinchiuderli per sempre nella prigione infera, il Tartaro. Gaia genera però proprio con Tartaro un nuovo dio, Tifone, quintessenza di tutte le forze caotiche e distruttive, che Zeus sconfigge in singolar tenzone, dimostrando così di possedere la forza necessaria per salvaguardare il cosmo anche dalla più terribile minaccia. Gli dèi tutti gli conferiscono allora, su consiglio della stessa Gaia, la dignità sovrana, e il re degli dèi procede quindi come promesso a ripartire gli onori tra le varie divinità in funzione delle prerogative di ciascuna. Zeus non solo stabilizza il mondo divino, ma anche ne espande e ne precisa le articolazioni attraverso un’accorta strategia matrimoniale, che è all’origine della seconda generazione degli Olimpi: sotto il regno di Zeus, vengono alla luce gruppi divini quali le Moire, le Cariti, le Muse, ma anche Apollo e Artemide (nati dall’unione con Leto), Persefone (la figlia generata con Demetra e poi concessa in sposa al fratello Ade), Atena (partorita da Zeus dopo che questi si era incorporato la dea Metis: vedi sopra), e altri dèi ancora. Zeus prende Era quale “ultimissima” sposa, e con lei dà alla luce, oltre a Ilizia, Ares, il guerriero divino, ed Ebe, la giovinezza fatta dea. La regina non genera tuttavia un erede al suo re: quello che per una coppia sovrana "normale" rappresenterebbe un punto di debolezza, diventa sull’Olimpo un punto di forza, posto a garanzia dell’eternità del regno di Zeus. La famiglia degli Olimpi continua comunque ad allargarsi con l’introduzione degli ultimi figli di Zeus: Hermes, il dio nato dall’unione con Maia, Dioniso nato immortale dall’unione con una donna mortale, Semele, e infine Eracle, nato mortale, ma destinato eccezionalmente a diventare dio.

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Teseo e Piritoo prigionieri nell'Ade

Teseo e l’inseparabile amico Piritoo scendono agli inferi per rapire niente meno che Persefone, sposa di Hades, ma quando giungono nell’aldilà cadono in un tranello. Hades li invita a banchetto in modo apparentemente cortese, ma li fa sedere sul trono detto «dell’oblio». Teseo e Piritoo vi rimangono attaccati, trattenuti da indissolubili spire serpentine. Piritoo rimane per sempre prigioniero di Hades, mentre Teseo è successivamente liberato da Eracle1.

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Rapimento di Persefone

Persefone raccoglie fiori bellissimi presso Nisa quando Ade, signore degli Inferi, balza dal sottosuolo con il suo carro d’oro e la rapisce. La vergine continua a invocare la madre per tutto il viaggio, finché Demetra ne sente l’eco e un dolore acuto le colpisce il cuore. Senza mangiare né bere né lavarsi, la dea vaga alla ricerca della figlia finché, venuta a sapere del rapimento, adirata, rifiuta di far emergere il raccolto dalla terra e di tornare nell’Olimpo finché la figlia non sia liberata. Zeus infine cede alla pressione di Demetra e lascia che la figlia torni da lei. Persefone però ha già mangiato il frutto di Ade, il melograno, e per questo resta legata agli Inferi, dove dovrà tornare e rimanere con il suo sposo per un terzo dell’anno, mentre il tempo restante potrà trascorrerlo con la madre1.

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Meleagro contro gli zii materni

Meleagro è figlio di Altea e Oineo, re di Calidone in Etolia. Dopo un abbondante raccolto Oineo offre un sacrificio a tutti gli dèi, ma si dimentica di Artemide; la dea allora manda come punizione un terribile cinghiale che inizia a distruggere il territorio di Oineo. È Meleagro a ucciderlo dopo aver organizzato una battuta di caccia con gli eroi più valorosi di tutta la Grecia, cui prendono parte anche gli zii materni di Meleagro, i Cureti. Anche Atalanta, straordinaria cacciatrice di cui Meleagro è innamorato, interviene nella caccia e colpisce il cinghiale sulla schiena con una freccia. Meleagro dà al cinghiale il colpo di grazia e a lui sarebbero spettate di diritto la testa e la pelle dell’animale, come parte d’onore dovuta all’uccisore. Egli però scuoia l’animale e dona la pelle alla sua amata Atalanta; allora gli zii della madre – o uno solo di essi – contestano questa attribuzione e sottraggono ad Atalanta la pelle del cinghiale. Una lotta violenta sorge tra Etoli e Cureti; Meleagro, preso dall’ira, uccide gli zii materni e restituisce la pelle del cinghiale ad Atalanta. La madre Altea maledice il figlio e invoca Ade e Persefone affinché gli diano la morte1.

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Eracle incontra Teseo e Piritoo

Dopo essersi recato a Capo Tenaro, la località della Laconia dove si apriva uno degli ingressi dell’oltretomba, Eracle trovò gli amici Piritoo e Teseo: il primo era sceso nell’oltretomba perché voleva sposare Persefone, la moglie di Ade, ma era stato fatto prigioniero; il secondo era sceso per liberare l’amico, ma non c’era riuscito. Quando i due videro Eracle, tesero le braccia verso di lui, sperando che con la sua forza li potesse riportare in vita. Per procurare un po’di sangue alle anime dei due eroi, Eracle uccise allora una delle vacche di Ade, dopo aver spezzato le costole a Menete, il loro pastore, che si era opposto inutilmente1.

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Demetra addenta Pelope

Per mettere alla prova l’onniscienza degli dèi, Tantalo uccise il figlio Pelope, lo fece a pezzi, lo cucinò in un calderone e lo diede da mangiare agli dèi. Zeus si accorse dell’inganno, ma non fece in tempo a impedire che Demetra, turbata per la scomparsa di sua figlia Persefone, che era stata rapita da Ade, ne mangiasse un pezzo corrispondente alla spalla. Per porvi rimedio, Zeus ordinò che il corpo di Pelope fosse ricomposto nella pentola nella quale era stato cotto e fece sostituire la spalla originale, ormai incautamente divorata da Demetra, con una spalla d’avorio. Per aver cercato di ingannare gli dèi, Tantalo fu condannato per l’eternità a non poter mai soddisfare né la fame né la sete: sprofondato nelle profondità del Tartaro, era immerso in uno stagno fino al mento (ma l’acqua si ritirava tutte le volte che Tantalo si chinava per berla) sotto le chiome di alberi cariche di frutti dolcissimi (ma i rami si alzavano tutte le volte che Tantalo cercava di afferrarli).

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Mirra, l’inganno e la metamorfosi

Mirra rifiuta con fermezza tutti i giovani che aspirano alla sua mano, sino a quando Afrodite, irritata, le suscita una passione insana per il padre Teia, re di Siria. Mirra riesce a unirsi a lui, ma il padre scopre l’inganno e insegue la figlia per ucciderla. Mirra allora prega gli dèi di renderla invisibile e viene trasformata nell’albero che porta il suo nome. Dopo nove mesi, l’albero si apre e ne esce il piccolo Adone, che Afrodite, incantata dalla sua bellezza, consegna a Persefone perché lo custodisca1.

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Metamorfosi di Menta

Menta è una Ninfa amata da Ade, il dio degli Inferi. Quando Ade rapisce Persefone e la porta con sé nel mondo sotterraneo come legittima sposa, Menta lancia spaventose grida e dice di essere più bella della nuova sposa, minacciando che avrebbe scacciato la rivale e si sarebbe ripreso Ade come amante. Ma il dio la trasforma nella pianta profumata che prende il suo nome1.

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Persefone e la nascita delle stagioni

Ade, signore degli inferi, si innamora di Persefone, figlia di Demetra, e decide di rapirla e di portarla con sé sottoterra. Demetra, dea delle messi, abbandona allora l’Olimpo e parte alla ricerca della figlia; in tal modo, però, essa trascura qualsiasi altra incombenza e viene meno alle sue funzioni, privando gli uomini e le divinità dei frutti della terra e delle libagioni da essi garantite. Scoperta infine la responsabilità di Ade, grazie all’intervento di Zeus si giunge a pattuire la restituzione di Persefone alla madre, al fine di ripristinare la produttività del suolo. Durante la sua permanenza presso Ade, però, Persefone – per scelta o per inganno, a seconda delle versioni – ha assaggiato un chicco di un melograno dei giardini del sovrano infero, condividendo in tal modo il cibo dei morti e finendo per instaurare un legame indissolubile con quel regno sotterraneo. Ma anche a questo incidente gli dèi seppero escogitare una soluzione: Persefone avrebbe vissuto per due terzi dell’anno con la madre sull’Olimpo e per un terzo con il consorte negli inferi (o, secondo un'altra variante, per metà anno con l’una e per metà con l’altro)1.

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Adone e la divisione dell’anno

Adone nasce dall’albero in cui era stata trasformata la madre Smirna, colpevole di aver nutrito una passione incestuosa nei confronti del padre e di averlo perciò sedotto, rimanendo incinta. Smirna, avendo supplicato gli dèi di porre fine alle sue pene, viene mutata in mirra, ma porta ugualmente a termine la sua gravidanza: dalla sua corteccia esce un fanciullo meraviglioso, che Afrodite, artefice dell’incesto di Smirna, decide di accudire. Forse abbagliata da tanta bellezza, Afrodite nasconde il fanciullo in una cesta e lo affida alle cure di Persefone, che però, incuriosita, apre la cesta e rimane sedotta dal fanciullo, rifiutandosi di restituirlo ad Afrodite. Zeus allora interviene per dirimere il dissidio: l’anno sarebbe stato diviso in tre parti e Adone avrebbe vissuto per un terzo con Afrodite, per un terzo con Persefone e per un terzo ovunque avesse voluto, libero di scegliere per sé. Ma Adone, una volta cresciuto e sedotto a sua volta da Afrodite, finì per passare anche il terzo dell’anno a sua disposizione in compagnia della dea1. Secondo un’altra versione Zeus, interpellato da Afrodite e Persefone, demanda l’onere di giudicare quale dea avrebbe potuto godere della compagnia di Adone alla Musa Calliope, la quale decreta che il giovane trascorra una metà dell’anno con Afrodite, l’altra metà con Persefone2.

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