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Primo incontro tra Amore e Psiche

C’erano una volta un re e una regina, che avevano tre figlie di notevole bellezza. La più piccola in particolare, Psiche, era così bella che la gente veniva da ogni parte per contemplarla. La credevano Venere in persona, tanto che iniziarono a tributare a Psiche gli onori dovuti alla dea. Venere allora si volle vendicare: mostrata la vergine al figlio Cupido, gli chiese di far sì che fosse preda di una bruciante passione per il più spregevole degli uomini. Nel frattempo, Psiche è lontana dal dirsi felice: è venerata da tutti, ma nessuno la chiede in sposa. Il padre prega allora Apollo perché conceda un marito alla figlia. Il dio di Delo dà il responso: Psiche va lasciata sulla cima di un monte, dove verrà a prenderla lo sposo predestinato, non uno di stirpe mortale, ma un mostro crudele, feroce e velenoso. Nessuno immagina che il mostro misterioso è in realtà il divino Amore, infatuatosi a prima vista della bellissima fanciulla e intenzionato a prenderla in moglie1.

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Primo incontro tra Enea e Didone

Dopo il naufragio della flotta troiana sulla costa del Nord Africa, Enea avanza col fido Acate per la città di Cartagine, protetto dalla densa nube con cui Venere lo ha celato a sguardi indiscreti. All’improvviso i due si imbattono nella regina di Cartagine, la bellissima Didone, mentre il troiano Ilioneo e altri dei suoi che Enea credeva perduti stanno impetrando l’ospitalità della sovrana. In quel momento la nube divina si squarcia ed Enea si mostra a Didone con il volto e le spalle simili a un dio: Venere aveva infuso al figlio una scintilla di gioventù e aveva fatto sì che dai suoi occhi sprigionassero letizia e valore, lasciando la regina senza parole1.

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Eumolpo e i doni della seduzione

Eumolpo, ospite di un tale di Pergamo, diviene precettore del suo bellissimo figlio. Escogita dunque un modo per diventarne l’amante. Una sera i due si addormentano nel triclinio. Verso mezzanotte, Eumolpo si accorge che il ragazzo è sveglio. Così, fingendo di esprimere un voto, sussurra: «Signora Venere, se riuscirò a baciare questo ragazzo senza che lui se ne avveda, domani gli regalerò due colombe». Sentito il prezzo del piacere, il ragazzo finge di russare ed Eumolpo lo riempie di baci; l’indomani, gli porta di buon mattino una coppia di splendide colombe e scioglie così il suo voto. La sera seguente, Eumolpo sussurra: «Se potrò toccare questo fanciullo con mano dissoluta senza che lui se ne avveda, gli regalerò una coppia di galli da combattimento». Udito ciò, il ragazzo si avvicina da sé ed Eumolpo indulge su di lui. E l’indomani, come promesso, il ragazzo ottiene i suoi galli. La terza sera, Eumolpo bisbiglia: «Dèi immortali, se da questo fanciullo, mentre dorme, otterrò un rapporto completo, domani gli regalerò un destriero asturiano». L’efebo non dormì mai di un sonno più profondo, ed Eumolpo ne trasse pieno piacere. Ma l’indomani non c’era ombra del cavallo promesso, cosa che contrariò non poco il ragazzo. Così, quando Eumolpo cercò di far pace con lui, quello si ritrasse: «Se non dormi, lo dico a mio padre», minacciò. Ma Eumolpo insistette fino a farlo cedere, e dopo averne tratto godimento, si addormentò. Il ragazzo però, poiché era nell’età dello sviluppo e desideroso di lasciarsi possedere, continuò a strattonare Eumolpo nel sonno, senza lasciarlo dormire, finché quello, esasperato, esclamò: «Dormi, o lo dico a tuo padre!»1.

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Uno è quello di Enea che, dopo essere sbarcato da Troia nel Lazio, aver combattuto diverse battaglie con i popoli locali, aver sposato Lavinia e aver fondato Lavinio, era scomparso in un fiume. Ma gli scrittori antichi sapevano che non era morto annegato, bensì scomparso alla vista degli umani per trasformarsi in un dio protettore della sua stirpe. Il racconto delle Metamorfosi di Ovidio è molto preciso a questo proposito. Dopo che il valore di Enea era stato riconosciuto da tutti e che aveva affidato il suo potere a suo figlio, era ormai arrivato il momento che diventasse un dio. Sua madre Venere allora domanda a Giove di renderlo immortale e lo fa chiedendo di accordargli un «potere divino» anche se piccolo1. Giove acconsente e Venere, contenta di aver raggiunto il suo scopo, chiede al fiume Numicius, dove Enea era scomparso, di purificare tutto ciò che di lui era mortale, lasciando solo la sua parte migliore. Poi sua madre stessa cosparge il corpo del figlio con un profumo divino e gli tocca la bocca con ambrosia e nettare, rendendolo dio (fecitque deum). Grazie a questo processo, dunque, Enea può passare questa frontiera e schierarsi dalla parte degli dèi.

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Venere aiuta il figlio Enea

È in particolare l’Eneide virgiliana a concedere a Venere uno spazio di primo piano. Sin dall’inizio del poema è la dea, angosciata per la sorte di Enea, a lamentarsi con Giove per la tempesta che trattiene i Troiani lontani dall’Italia; quando essi fanno naufragio sulla costa africana, Venere si mostra al figlio sotto le vesti di una giovane cacciatrice e gli offre le informazioni essenziali per orientarsi in una situazione potenzialmente rischiosa. Di lì a poco ancora Venere avvolge Enea in una nube che gli consente di muoversi in piena sicurezza nella terra straniera, quindi, per proteggere il figlio dalla doppiezza dei Fenici e dall’ostilità di Giunone, cui Cartagine è consacrata, invia Cupido da Didone perché induca la regina a innamorarsi dell’ospite troiano. Nuovamente tormentata dall’angoscia, prega Nettuno di garantire a Enea, salpato dalla Sicilia, una navigazione propizia; e quando l’eroe avvia la ricerca del ramo d’oro che gli consentirà di accedere al regno dei morti, l’apparizione di due colombe, uccelli sacri a Venere, viene interpretata come un segno dell’incessante vigilanza materna. Assente nelle prime fasi dello sbarco in Italia, Venere torna in scena per chiedere al marito Vulcano di approntare nuove armi per Enea, quindi le consegna personalmente al figlio e gli concede quell’abbraccio cui si era sottratta sulla costa di Cartagine. La dea non si tiene lontana neppure dai campi di battaglia, intervenendo ripetutamente a protezione del figlio fino al duello finale con Turno. Virgilio non rinuncia infine a una vertiginosa apertura sul futuro: tra le scene effigiate sullo scudo di Enea, Venere compare nel quadro dedicato alla battaglia di Azio mentre sostiene Augusto nello scontro con le forze umane e divine dell’Oriente. Sollecita verso Enea, Venere non sarà meno attiva al fianco dei suoi discendenti, che si tratti del futuro principe o dei Romani nel loro complesso.

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Venere e l'amore tra Enea e Didone

L’azione di Venere nell’Eneide si conforma a questo modello; tanto più fa spicco l’unica eccezione significativa, la scelta di innescare in Didone una divorante passione per l’ospite troiano, allo scopo di garantire la sicurezza di Enea durante il suo soggiorno in terra libica. L’iniziativa viene presentata espressamente come un’autonoma decisione della dea ed è proprio in seguito ad essa che Enea rischierà di smarrire la propria identità eroica e dimenticare le gloriose prospettive che lo attendono in Italia. Si tratta di un momento nel quale Venere occupa un vuoto – Anchise è morto prima del naufragio troiano sulle coste dell’Africa –, destinato tuttavia a essere colmato dall’intervento diretto di Giove: il re degli dèi richiama bruscamente l’eroe troiano al compito che gli è stato affidato, ponendo così rimedio a una sollecitudine materna che ha rischiato di dirottare il corso degli eventi verso una deriva certo rassicurante, ma insieme sterile e povera di futuro.

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La ferita di Cupido

Cupido, invaghitosi della bellissima Psiche, la porta nel suo palazzo e ne fa la sua sposa, ma le fa promettere di non cercare mai di scoprire la sua identità. Una notte però Psiche, spinta dal desiderio di conoscere l’aspetto del marito, lo illumina con una lampada. Mentre ne ammira le fattezze, dalla lucerna stilla una goccia di olio bollente che cade sulla spalla destra del giovane. Cupido sobbalza e fugge via stizzito, rifugiandosi nel palazzo di Venere sua madre. Intanto, un gabbiano avverte la dea che Cupido giace in un precario stato di salute, sofferente per il forte dolore. Venere corre allora dal figlio, lo rimprovera per le sue intemperanze e lo rinchiude in una stanza, perché non faccia peggiorare la ferita con la sua sfrenata lussuria. Ma una volta che la ferita si cicatrizza, Cupido, non sopportando più la lontananza dalla sua Psiche, vola via dalla finestra, poiché le sue ali si sono rinvigorite grazie a quel lungo riposo1.

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La guarigione miracolosa di Enea

Nel bel mezzo della battaglia, una freccia trafigge Enea. L’eroe perde sangue e avanza a fatica sorreggendosi sulla lancia. Iapige si adopera invano con la sua mano curativa e le potenti erbe di Febo e invano cerca di rimuovere con la pinza la punta del dardo. Venere allora, scossa per l’immeritata sofferenza del figlio, coglie sull’Ida cretese il dittamo, uno stelo folto di foglie che in cima ha una chioma di fiori purpurei, lo infonde nelle acque di un fiume e, impartendo su di esso in segreto un potere teurgico, vi spruzza un succo di salubre ambrosia e profumata panacea, un’erba usata come rimedio contro ogni male. Iapige, ignaro, cura la ferita con l’acqua di quella fonte e subito ogni dolore fugge dal corpo di Enea e l’emorragia si arresta. La freccia viene via senza sforzo, quasi seguendo la mano, ed Enea recupera le energie. Lo stesso medico avverte come dietro le sue mani agisca l’opera di un dio1.

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