Risultati ricerca

Ricerca per tag: "magia"

Miti

Uccisione di Pelia

Rientrato in patria, Giasone consegna allo zio Pelia il vello d’oro conquistato grazie all’aiuto di Medea, che accompagna in Grecia l’eroe vittorioso. Lo zio usurpatore, nel frattempo, per timore di perdere la sovranità, ha sterminato tutta la famiglia di Giasone, il quale medita vendetta e istiga Medea a far pagare il fio a Pelia. La donna chiede allora alle Peliadi di tagliare a pezzi il padre e poi di metterlo a bollire, promettendo che, per mezzo di filtri, lo renderà giovane. Le ragazze si lasciano convincere quando Medea, davanti ai loro occhi, getta nel calderone un montone squartato e ne fa uscire un agnello. Le Peliadi ripetono la procedura e il vecchio padre muore1. Secondo un’altra tradizione, prima dell’immersione nel calderone Medea incita le figlie a dissanguare il padre dormiente, con l’intento di eliminare il sangue vecchio dalle vene e poi sostituirlo con sangue giovane2. In una versione ancora diversa la maga si traveste da vecchia, poi si presenta con un simulacro di Artemide, dichiarando che è la dea in persona, desiderosa di insediarsi in città ed essere qui onorata, a ordinare il ringiovanimento di Pelia. Per corroborare la richiesta, lava il proprio corpo con acqua pura, in modo da riacquistare l’originaria forma di fanciulla. A questo punto, il vecchio usurpatore è convinto a sottoporsi al rituale. Nella notte, Medea vince la resistenza delle Peliadi con la prova del caprone, estraendo dal calderone un finto agnello3.

Leggi mito
Mutilazione Apsirto

Dalla Colchide invece ritorna Giasone, il capo degli Argonauti, con Medea al seguito, che lo ha aiutato nella conquista del famoso vello. Eeta, il padre della maga, manda all’inseguimento un contingente di Colchi guidati dal figlio Apsirto. A un certo punto i Colchi occupano tutte le isole illiriche, mentre i Greci si stabiliscono in una delle due Brigie, sacre ad Artemide. Medea, fingendo di essere stata costretta alla fuga e di voler tornare a casa, nella notte attira il fratello presso il tempio artemideo, dove Giasone gli tende un’imboscata: l’argonauta uccide Apsirto, mozza le estremità del cadavere, poi lecca per tre volte il sangue e lo sputa, infine nasconde sotto terra il morto1.

Leggi mito
Le arti seduttive di Panfile

Quando Birrena, un’amica della madre di Lucio, viene a sapere durante una cena che quest’ultimo è ospite in casa di Milone, lo tira in disparte: «Fa' attenzione. Milone, l’uomo che ti ospita in casa sua ha una moglie, Panfile. Guardati da lei, dalle sue arti occulte e dai suoi iniqui strumenti di seduzione. Dicono sia una maga, maestra in ogni incantesimo. E quando vede un giovane di bell’aspetto, inizia a tessere una rete di lusinghe, si impossessa del suo cuore e lo lega a sé con eterne catene d’amore profondo. Quelli meno condiscendenti, li trasforma in sasso o in pecora, e talvolta li uccide. Quindi, sta attento, e sta' alla larga da lei». Ma Lucio, che da sempre è affascinato dalla magia, pensa: «Tenermi alla larga? Macché! Non vedo semmai l’ora di tuffarmi a capofitto nella rete di una simile maestra!»1.

Leggi mito
Purificazione di Giasone e Medea

Quando erano oramai in vista i monti Cerauni, gli Argonauti fuggiti dalla Colchide incontrarono terribili tempeste suscitate da Era. Un miracoloso legno parlante della nave Argo chiarì loro che mai sarebbero sfuggiti alle pene del mare e alle tempeste terribili, se non si fossero recati da Circe, sorella di Eeta, che li avrebbe purificati dall’assassinio del nipote Apsirto, perpetrato dalla sorella Medea poco prima di fuggire con Giasone. Giunti all’isola Eea, gli Argonauti trovarono Circe che si purificava lavando i capelli e le vesti nel mare, dopo aver avuto un terribile sogno in cui spegneva un violento incendio scoppiato in casa sua versando sulle fiamme il sangue che grondava abbondante dalle pareti. Dopo essersi purificata dal sogno notturno, Circe invitò Giasone e Medea nella sua dimora, dove attuò un processo purificatorio: sgozzò un porcellino dopo averlo elevato sul capo dei due supplici seduti sul focolare sotto la tutela di Zeus. Giasone e Medea furono liberi di riprendere il viaggio «purificati», ma Circe rinnovò la condanna per il sangue "famigliare" che era stato versato, predicendo a sua nipote un triste destino1.

Leggi mito
lupo_mannaro

Approfittando del fatto che il mio padrone se n’è andato a Capua a concludere alcuni affari, convinco un nostro ospite, un soldato forte come un demonio, ad accompagnarmi fino al quinto miglio. Partiamo al primo canto del gallo, con una luna così luminosa che sembra giorno, e arriviamo in un cimitero: il mio socio si avvicina a una lapide e si mette a urinare, mentre io conto le tombe fischiettando. A un certo punto, vedo che si toglie tutti i vestiti e li butta sul ciglio della strada. Mentre mi si ferma quasi il cuore per la paura, quello si mette a pisciare intorno ai vestiti e si trasforma in lupo – non sto scherzando, non mentirei per tutto l'oro del mondo. Si mette a ululare e si inoltra nella macchia. Mi avvicino ai suoi vestiti per raccoglierli, ma quelli erano diventati di pietra. Nonostante stia morendo di paura, proseguo nel mio cammino con la spada sguainata, menando colpi alle ombre, e tra uno scongiuro e l'altro arrivo a casa della mia amica che sembro ormai un cadavere (in larvam intravi). La mia amica, stupita di vedermi in giro a quell'ora della notte, mi dice che se fossi arrivato poco prima, avrei potuto aiutarli: un lupo era entrato nel recinto e aveva massacrato tutte le pecore, riuscendo a scappare pur essendo ferito al collo dalla lancia di un servo. Non riesco a dormire per tutta la notte e all’alba me ne vado; quando passo davanti al punto in cui i vestiti del mio compare erano diventati di pietra, ci trovo soltanto una pozza di sangue. Arrivato a casa, trovo il soldato sdraiato sul letto e un medico impegnato a curargli il collo, e allora capisco che è un lupo mannaro (versipellem)1.

Leggi mito
striges

Ci sono degli uccelli voraci (avidae volucres), della stessa stirpe delle Arpie che strappavano il cibo a Fineo: hanno grossa testa, occhi fissi, becco da rapace, piume bianche e artigli uncinati, e le loro prede sono bambini incustoditi. Volano di notte alla loro ricerca, e ne guastano i teneri corpi: con i becchi – si racconta – squarciano (carpere) le viscere dei lattanti (lactentia viscera) e ne succhiano il sangue riempiendosi avidamente il gozzo (plenum poto sanguine guttur habent). Si chiamano striges e l’origine di questo nome risiede nel fatto che di notte stridono (stridere) in modo terrificante. Non si sa se nascano già nella forma di uccelli, o se siano delle vecchie fattucchiere a prenderne l’aspetto con incantesimi e formule marse: quale che sia la loro natura, le creature arrivano alla culla del piccolo Proca, nato da appena cinque giorni. Con le loro avide lingue succhiano (exsorbent) il petto della fresca preda e alle sue grida accorre la nutrice, che trova sul volto del neonato i loro segni: i tagli lasciati dagli artigli e un colorito livido, come quello delle foglie quando d’inverno si seccano. La balia chiede allora aiuto a Crane; questa la rincuora, consola i genitori e promette di salvare la vita del piccolo. Poi, con un ramo di corbezzolo tocca per tre volte gli stipiti delle porte, tre volte segna le soglie, asperge l’ingresso con un filtro magico, e tenendo le viscere crude (exta cruda) di una scrofa di due mesi dice: «uccelli della notte, risparmiate le interiora dei bambini (extis puerilibus): in cambio del piccolo è immolata una piccola vittima. Un cuore in cambio di un cuore (cor pro corde), vi prego, al posto di quelle viscere, prendete queste viscere (pro fibris sumite fibras): vi offriamo questa vita in cambio di una migliore». Mette le viscere sacrificali all’aria aperta e vieta ai presenti di voltarsi a guardarle (respicere), quindi sistema il ramo di biancospino avuto da Giano in corrispondenza di una piccola finestra che dà luce alla stanza. Da quel momento gli uccelli non violano più la culla e al piccolo Proca torna in volto il colorito di prima1.

Leggi mito
Anfione e Zeto

Antiope, figlia del dio-fiume Asopo, genera da Zeus i gemelli Anfione e Zeto. Antiope però deve abbandonarli presso il monte Citerone per fuggire l’ira del padre Nitteo, re di Tebe. Un pastore ha cura dei gemelli, che crescono forti: Zeto diviene pastore e cacciatore, mentre Anfione è il primo suonatore della lira inventata dal dio Ermes1. Lo zio paterno Lico ritrova Antiope a Sicione, la cattura riportandola a Tebe e la fa schiava presso sua moglie Dirce. I gemelli, ormai adulti, riconoscono la madre, la liberano e depongono Lico. La sovranità di Tebe viene data a Zeto, mentre Anfione la circonda di mura facendo muovere le pietre e gli alberi al suono della sua lira. Tebe ebbe così sette porte, come sette erano le corde dello strumento2.

Leggi mito

Etichette

magia

Link esterni

La ricerca non ha trovato nessun risultato.