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Miti

Metamorfosi di Rodope

Anche Rodope è una fanciulla dedita alla caccia e alle fiere selvatiche, e anche lei fa giuramento solenne a Artemide di restare sempre vergine, rifuggendo il rapporto con gli uomini e le lusinghe di Afrodite. Ma la dea dell’amore, irritata, le desta una violenta passione per un bel cacciatore. Artemide, adirata per la promessa di verginità infranta, trasforma la fanciulla in una sorgente, chiamata Stige, scaturita dalla grotta dove aveva perduto la parthenia. Da quel momento le fanciulle, che giurano di essere caste, accettano di entrare fino alle gambe nello Stige con una tavoletta al collo in cui è scritto il loro giuramento: se hanno detto il vero tutto va bene, ma se hanno giurato il falso l’acqua si gonfia e ribolle e va a ricoprire la tavoletta1.

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Era e gli strumenti di seduzione

Era, giunta nel talamo, deterge il suo corpo con ambrosia, si unge con unguento profumato. Quindi si acconcia le belle trecce, indossa una veste lavorata da Atena, la ferma con fibbie d’oro, poi mette una cintura con cento frange, ai lobi orecchini a tre perle, sul capo un candido velo, ai piedi lega bei sandali e così ornata si reca da Afrodite, per chiederle quell’incanto d’amore con cui la dea vince tutti i mortali e gli immortali. Quindi Afrodite si scioglie la cintura ricamata, dove ci sono tutte le forze dell’incanto d’amore e del desiderio, e la dà da indossare ad Era che prontamente se ne cinge il petto e si presenta al cospetto del marito sulla cima dell’Ida. Vedendola così abbigliata, desiderio irresistibile coglie Zeus1.

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Elena e Clitemestra, fuori dalle regole del matrimonio

Figlie entrambe di Zeus e di Leda, spose ai due Atridi, Menelao e Agamennone, sono accomunate da un gamos abnorme, al di fuori delle regole sociali del matrimonio. La prima, Elena, è di tale straordinaria bellezza, che tutti i giovani più illustri di Grecia ambiscono alla sua mano. Il padre terreno Tindaro, forse su consiglio di Odisseo, li induce a stipulare un patto di mutuo soccorso, cioè che se lo sposo prescelto si fosse visto strappare con la forza la sposa, essi sarebbero andati in aiuto con una spedizione in armi e avrebbero distrutto la città del rapitore. È su Menelao che ricade la scelta di Elena, il quale accoglie nella sua reggia a Sparta il giovane principe Paride, allevato come mandriano sul monte Ida, dove era stato arbitro nella gara di bellezza tra le tre dee, Era, Atena ed Afrodite. Quest’ultima gli aveva promesso la donna più bella del mondo in cambio della vittoria. Bellissimo, con addosso splendide vesti d’oro, suscita l’amore di Elena di cui anch’egli si innamora immediatamente e, durante l’assenza di Menelao, se la porta con sé sui suoi stazzi sul monte Ida. Menelao come impazzito dalla gelosia, chiama a testimoni i giuramenti di Tindaro e si allestisce dunque una grande spedizione contro Troia dei contingenti greci con lo scopo di riprendersi Elena e vendicare il ratto e l’adulterio1.

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Incesto e metamorfosi di Mirra

La dea Afrodite, irata perché non riceveva da Mirra gli onori dovuti, ispirò in lei amore per il padre. Con la complicità della sua nutrice, per dodici notti giacque con lui, che era ignaro della sua identità. Ma quando egli lo scoprì si diede ad inseguirla con la spada, mentre la fanciulla pregava gli dèi che la rendessero invisibile. Mossi a pietà gli dèi la trasformarono nell’albero che si chiama mirra, da cui dopo nove mesi venne fuori il bellissimo Adone1.

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Metamorfosi Ermafrodito

Il bellissimo Ermafrodito, figlio di Afrodite e di Hermes, ha appena oltrepassato la soglia dell’adolescenza e trascorre le sue giornate errando per i boschi alla ricerca di fonti e corsi d’acqua. Un giorno giunge in Caria, alle acque incantevoli della sorgente presso cui abita Salmacide, una ninfa dalla femminilità esasperata, che rifiuta la caccia vivendo nell’ozio, intenta solo a cogliere fiori e a curare il suo aspetto. Non appena lo vede, la ninfa è conquistata dalla bellezza del giovane; perciò gli si avvicina e parlandogli con dolcezza lo invita all’amore. Ma Ermafrodito non vuole saperne e la respinge con forza, minacciando di andarsene; Salmacide allora finge di ritirarsi, ma si nasconde poco lontano e da lì osserva il giovane spogliarsi e tuffarsi nelle acque trasparenti. Lo spettacolo del bellissimo corpo che nuota nudo sotto lo specchio della corrente accende ancora di più il suo desiderio: vedendolo immerso nelle acque della sua fonte, la ninfa non resiste al desiderio, lo raggiunge e stringendosi a lui cerca in tutti modi di sedurlo. La forza del suo abbraccio però non basta a superare la resistenza di Ermafrodito, che accanitamente lotta per liberarsi dalla stretta; Salmacide capisce allora di non poterlo avere, ma prega gli dèi di poter restare per sempre così, avvinghiata a quel corpo da cui non riesce a stare lontana. Subito il suo desiderio è esaudito: le membra della ninfa diventano tutt’uno con quelle di Ermafrodito e il giovane con orrore osserva il suo corpo farsi più morbido e la sua voce sempre più sottile; disperato per essere divenuto un uomo a metà, invoca vendetta e chiede ai genitori divini che la stessa sciagurata sorte possa toccare a tutti i maschi che si immergeranno nelle acque della fonte Salmacide1.

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Ippolito muore travolto dai propri cavalli

Ippolito, figlio di Teseo e di un’Amazzone, benché oramai in età da matrimonio, preferisce starsene in disparte dalle femmine e continuare a cacciare nei boschi in compagnia degli amici di scorribande, di cavalli e di cani1. Per Ippolito il rifiuto di ogni esperienza erotica è una scelta consapevole e un motivo di vanto. Offesa per il disprezzo che il ragazzo manifesta nei confronti della sua sfera di potere, Afrodite destina il ragazzo a essere oggetto di una passione incontenibile da parte di chi meno avrebbe dovuto desiderarlo, ossia Fedra, giovane moglie di Teseo. Inorridito da questa passione, Ippolito rifiuta le avances della matrigna che, per vendicarsi, lo denuncia al padre accusandolo di averla violentata. Teseo maledice il figlio, invocando Poseidone, che in questo modo realizza la preghiera del padre: mentre Ippolito corre in riva al mare sul suo carro, un toro esce dalle onde terrorizzando i cavalli. Alle giumente rese ingovernabili dalla paura, Ippolito rivolge poche disperate parole, cercando di calmarle «Fermatevi, non mi uccidete, creature allevate alla mia mangiatoia!»2. Ma il carro esce di strada e Ippolito, intrappolato nelle briglie, è fatto a pezzi.

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L'ematite

In un tempo primordiale, antecedente l’avvento di Zeus, la violenza regnava tra le generazioni divine. Dall’unione di Urano, il cielo stellato, e di Gea, la terra, nascevano figli che il padre odiava e ricacciava sotto la terra stessa. Un giorno, Crono si ribellò al padre e lo evirò con un falcetto fatto di adamante, una materia che Gea aveva appositamente creato. I genitali furono gettati in mare e dalla loro spuma nacque Afrodite. Stando ad alcune varianti tarde, alcune delle gocce di sangue sprizzate dalla ferita furono disseccate dalle pupille di fuoco dei cavalli di Helios e divennero pietra ematite1.

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nascita_afrodite

La nascita di Afrodite è una delle conseguenze della castrazione di Urano. Il figlio di questi, Crono, istruito dalla madre Gaia, tende un agguato al padre e ne taglia con un falcetto i genitali per poi gettarli nel mare. Ed è appunto sulla superficie del mare, tra i suoi flutti agitati, che si riversa il seme di Urano, e da questo stesso aphros spermatico, con il passare del tempo, prende forma e corpo una figura di fanciulla: Afrodite. La dea nata dall’aphros di Urano viaggia sulle acque dell’Egeo, tra Citera e Cipro, e quando approda su quest’isola, al contatto con i suoi piedi umidi, la terra fiorisce. Affiancata da Eros e Himeros, Afrodite raggiunge quindi la stirpe degli dèi dove riceve il posto che le spetta in funzione dei poteri che esercita sia sui mortali sia sugli immortali: «primi incontri, sorrisi e inganni senza scampo, dolce piacere, unione intima e abbandono»1.

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Contesa per gli onori ad Atene

Una disputa ha luogo per l’Attica tra Atena e Poseidone: con un colpo di tridente, il dio fa sgorgare un mare sull’Acropoli, ma è Atena, che vi ha piantato l’olivo, che ottiene l’Attica e il diritto di dare il proprio nome alla città di Atene. Per dirimere la contesa tra gli dèi si fa ricorso a uno o più giudici che le differenti versioni identificano con i primi re del paese (Cecrope, Cranao, Erisittone) oppure con i Dodici dèi1. Anche il territorio di Argo è oggetto di disputa, e i giudici sono questa volta Foroneo, figura di fondatore e figlio del fiume Inaco, affiancato da Cefiso e Asterione, divinità fluviali del luogo: questa terra è assegnata ad Era, e Poseidone che gliela contendeva si adira facendo sparire l’acqua dei fiumi2. Nel caso di Corinto, la disputa tra Helios e Poseidone è risolta da una divinità primordiale quale Briareo, che assegna al dio solare la città e l’Acrocorinto (da Helios poi ceduto ad Afrodite), e al sovrano del mare la regione dell’Istmo3. Poseidone e Atena entrano in conflitto anche per la città di Trezene, ed è Zeus stesso questa volta a dirimere la disputa, stabilendo che i due contendenti la possiedano in comune: Atena vi è quindi onorata con il titolo di Polias (“Protettrice della polis”), Poseidone con quello di Basileus (“Re”), e le monete della città hanno come effigie sia il tridente del dio sia il volto della dea4.

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L'altare sacrificale prodigioso di Erice

Sulla vetta del monte Erice, nella Sicilia nord-occidentale, si erge un altare (bomos) di Afrodite. È il più grande altare a cielo aperto che esista per via del gran numero di vittime che, ogni giorno dell’anno, le genti del luogo e gli stranieri bruciano in onore della dea, da mattina fino a sera. L’offerente sceglie e acquista la vittima direttamente sul posto: se Afrodite accetta il sacrificio, l’animale si reca spontaneamente all’altare sotto la guida della dea; in caso contrario, scompare. Il giorno seguente, al sorgere delle prime luci dell’alba, i resti dei sacrifici del giorno prima non sono più visibili, e l’altare risulta interamente ricoperto di rugiada e di un’erba fresca, che ricresce ogni notte1.

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Omicidio delle Danaidi e sorte di Ipermestra

Danao finge di cedere e assegna a ogni Egizio una figlia, non prima però di aver loro dato un pugnale per uccidere i cugini nella prima notte di nozze. Tutte le Danaidi compiranno l’assassinio dei neosposi, con l’eccezione della sola Ipermestra1. A lei il suo sposo piace, e molto. Mossa dal desiderio di unirsi a lui, decide di lasciarlo vivere. Il padre allora la sottopone a giudizio e la stessa dea Afrodite scende per difenderla, proclamando il primato del desiderio amoroso che la Terra ha posto come legge cosmica quando si è unita al Cielo ed è stata da lui fecondata in forma di pioggia, generando così animali e piante2. Ipermestra e lo sposo Lirceo (o Linceo) diverranno così capostipiti di una stirpe di eroi, quali Perseo ed Eracle.

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Efesto scopre il tradimento di Afrodite

Poiché Efesto era stato informato dal Sole che, tutte le volte che si allontanava da casa, sua moglie Afrodite si incontrava di nascosto con l’amante Ares, Efesto si recò nella sua fucina e, per vendicarsi della moglie fedifraga, forgiò sull’incudine una serie di catene così robuste che non si potevano né spezzare né sciogliere. Recatosi nella sua dimora, entrò nella camera da letto e collocò le catene (che, essendo sottili come tele di ragno, erano quasi invisibili) sopra il letto nuziale. Preparata la trappola, finse di partire per l’isola di Lemno; avendolo visto allontanarsi, Ares entrò nella casa del fabbro divino e salì con Afrodite sul talamo. Quando le catene caddero su di loro, capirono di essere prigionieri: Efesto convocò tutti gli dèi per far vedere loro i due indegni amanti, chiedendo a Zeus di restituirgli i doni nuziali che gli aveva dato prima di prendere in sposa Afrodite1.

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La collana di Armonia

Apollodoro1ci racconta che, su richiesta di Cadmo, il dio fece una collana che il re tebano regalò come dono nuziale alla moglie Armonia. Da fonti più dettagliate2veniamo a sapere che, poiché Armonia era nata dalla relazione adulterina che Afrodite aveva avuto con Ares, Efesto, per vendicarsi di colei che era il frutto del tradimento, aveva avvelenato l’oro contenuto nel monile per far sì che la persona che l’avesse indossata fosse distrutta da una serie di disgrazie. E così avvenne: come racconta Stazio3, Cadmo e Armonia furono trasformati in draghi; la collana passò ad Agave che, in preda alla follia, massacrò il figlio Penteo; poi a Semele, che, dopo essere stata sedotta da Zeus, fu folgorata per averlo visto in tutto il suo splendore; poi a Giocasta, che commise incesto unendosi al figlio Edipo; poi ad Argia, figlia di Adrasto re di Argo, che convinse il marito Polinice a guidare una spedizione militare contro Tebe; infine la possedette Erifile, moglie dell’indovino Anfiarao, il quale, obbligato a partire insieme a Polinice per Tebe, vi trovò la morte.

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Dedalo costruisce la vacca per Pasifae

Poiché Pasifae, figlia del Sole e regina di Minosse, re di Creta, non aveva fatto ad Afrodite i sacrifici dovuti, la dea dell’amore le ispirò un amore mostruoso per un animale, un candido toro. Quando a Creta giunse esule Dedalo, la regina gli offrì ospitalità e, nello stesso tempo, gli domandò un consiglio, supplicandolo di trovare un modo per consentirle di soddisfare la sua folle passione. Dedalo costruì allora una vacca di legno, la scavò tutta all’interno, la mise sopra delle ruote e le cucì addosso la pelle di una vacca vera che aveva prima scuoiato. Entrata nella statua, Pasifae poté unirsi all’animale concependo un figlio per metà uomo e per metà toro, il Minotauro .

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Nascita di Afrodite

I genitali di Urano, recisi da Crono e scagliati nel mare, vengono per lungo tempo portati al largo, dove si forma una spuma bianca nella quale prende corpo una fanciulla. È una dea piena di grazia, sotto i suoi piedi germoglia l’erba, gli dèi e gli uomini la chiamano Afrodite perché è stata nutrita dalla spuma (aphros). A lei si accompagnano Eros e Himeros, Amore e Desiderio, e la sua competenza riguarda i sussurri delle fanciulle, i sorrisi e gli inganni, il dolce piacere, l’amore e la dolcezza1.

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Mirra, l’inganno e la metamorfosi

Mirra rifiuta con fermezza tutti i giovani che aspirano alla sua mano, sino a quando Afrodite, irritata, le suscita una passione insana per il padre Teia, re di Siria. Mirra riesce a unirsi a lui, ma il padre scopre l’inganno e insegue la figlia per ucciderla. Mirra allora prega gli dèi di renderla invisibile e viene trasformata nell’albero che porta il suo nome. Dopo nove mesi, l’albero si apre e ne esce il piccolo Adone, che Afrodite, incantata dalla sua bellezza, consegna a Persefone perché lo custodisca1.

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Faone, la bellezza e i profumi di Afrodite

Anche Faone è bellissimo, reso tale da Afrodite come ricompensa per averla traghettata senza pretendere una mercede pur ignorando che si trattava della dea. A lui inoltre Afrodite consegna un vaso pieno di profumi, dei quali si unge ogni giorno, e così tutte le donne di Mitilene ne sono irresistibilmente attratte1.

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Le Lemniadi e gli odori

Le donne di Lemno non rendono onore ad Afrodite e la dea le punisce facendo sì che emanino cattivo odore. Questo le rende intollerabili ai loro mariti, che si prendono delle schiave di Tracia per concubine. Le Lemniadi allora, sentendosi disprezzate, uccidono tutti gli uomini dell’isola; l’unica che risparmia il padre Toante, re del luogo, è Ipsipile. A questo punto arrivano nell’isola gli Argonauti, che stabiliscono rapporti di ospitalità con loro, grazie ai consigli di Ipsipile che riesce a superare l’ostilità delle compagne. Afrodite, volendo ripopolare l’isola, suscita negli eroi una dolce passione per le Lemniadi, che accettano di unirsi agli stranieri. Banchetti e danze allietano la città, per la quale si spande il buon odore delle carni sacrificate e l’aroma dei profumi bruciati in onore della dea1.

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I denti del drago e la nascita degli Sparti

Cadmo riceve dall’oracolo di Apollo il responso di prendere come guida una vacca e di fondare una città là dove l’animale si fosse fermato. Giunto in Beozia, invia i suoi uomini ad attingere acqua per compiere il sacrificio della vacca ad Atena, ma la fonte, sacra ad Ares, è custodita da un drago, che uccide gli uomini mandati da lui, finché lo stesso Cadmo riesce a uccidere il serpente e, su consiglio di Atena, ne semina i denti nel terreno. Da questi nascono uomini armati, gli Sparti, che iniziano a combattersi tra loro e si uccidono reciprocamente. Cadmo espia quindi la loro morte con un lungo periodo di servitù presso Ares, finché Atena assicura all’eroe fondatore il regno della città e Zeus gli dà in moglie Armonia, figlia di Ares e Afrodite1.

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Pandora e l’origine del dolore umano

Plasmata da Efesto per volere di Zeus, Pandora è la prima donna offerta agli uomini. Si tratta di un castigo mandato dal padre degli dèi per il gesto di Prometeo, il quale aveva donato agli uomini il fuoco, e destinato a durare per sempre. Pandora è simile alle dee, dotata di abilità nei mestieri da Atena, di grazia da Afrodite, ma anche di scaltrezza e menzogna da Hermes. Epimeteo, ignorando il consiglio del fratello Prometeo di non accettare alcun dono dal padre degli dèi, la accoglie. Le sventure umane hanno inizio quando la donna scopre il vaso nel quale gli dèi hanno riposto tutti i mali, tra cui le malattie, che giungono spontaneamente e in silenzio, di giorno e di notte, portando dolore ai mortali1.

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Fedra, Oreste e la follia

Fedra è colpita, per volere di Afrodite, da insana passione per il figliastro Ippolito, figlio del marito Teseo. La sua è follia d’amore, come la nutrice definisce il male della padrona e come lei stessa riconosce: è sconvolta dai pungoli d’amore, giace a letto pallida rifiutando il cibo, ha una dolorosa pesantezza alla testa e ha sete di pura acqua di fonte1. Oreste, il matricida perseguitato dalle Erinni, è a sua volta in preda alla follia: l’infelice giace in un letto, non si lava e non tocca cibo, è preso da amnesia, ha la bava alla bocca, i capelli sudici sugli occhi, non può stare fermo ma ha bisogno di cambiare spesso posizione, quando il male si assopisce balza dal letto e si mette a correre2.

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Adone e la divisione dell’anno

Adone nasce dall’albero in cui era stata trasformata la madre Smirna, colpevole di aver nutrito una passione incestuosa nei confronti del padre e di averlo perciò sedotto, rimanendo incinta. Smirna, avendo supplicato gli dèi di porre fine alle sue pene, viene mutata in mirra, ma porta ugualmente a termine la sua gravidanza: dalla sua corteccia esce un fanciullo meraviglioso, che Afrodite, artefice dell’incesto di Smirna, decide di accudire. Forse abbagliata da tanta bellezza, Afrodite nasconde il fanciullo in una cesta e lo affida alle cure di Persefone, che però, incuriosita, apre la cesta e rimane sedotta dal fanciullo, rifiutandosi di restituirlo ad Afrodite. Zeus allora interviene per dirimere il dissidio: l’anno sarebbe stato diviso in tre parti e Adone avrebbe vissuto per un terzo con Afrodite, per un terzo con Persefone e per un terzo ovunque avesse voluto, libero di scegliere per sé. Ma Adone, una volta cresciuto e sedotto a sua volta da Afrodite, finì per passare anche il terzo dell’anno a sua disposizione in compagnia della dea1. Secondo un’altra versione Zeus, interpellato da Afrodite e Persefone, demanda l’onere di giudicare quale dea avrebbe potuto godere della compagnia di Adone alla Musa Calliope, la quale decreta che il giovane trascorra una metà dell’anno con Afrodite, l’altra metà con Persefone2.

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