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Mutilazione Apsirto

Dalla Colchide invece ritorna Giasone, il capo degli Argonauti, con Medea al seguito, che lo ha aiutato nella conquista del famoso vello. Eeta, il padre della maga, manda all’inseguimento un contingente di Colchi guidati dal figlio Apsirto. A un certo punto i Colchi occupano tutte le isole illiriche, mentre i Greci si stabiliscono in una delle due Brigie, sacre ad Artemide. Medea, fingendo di essere stata costretta alla fuga e di voler tornare a casa, nella notte attira il fratello presso il tempio artemideo, dove Giasone gli tende un’imboscata: l’argonauta uccide Apsirto, mozza le estremità del cadavere, poi lecca per tre volte il sangue e lo sputa, infine nasconde sotto terra il morto1.

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L'inospitalità dei Bebrici

Durante la traversata degli Argonauti verso la Colchide, Giasone e i suoi compagni giungono nel paese dei Bebrici, a ovest del Bosforo. Non fanno in tempo a sbarcare che l’arrogante e crudele signore locale, Amico, informa i nuovi arrivati sull’indegna legge del posto: gli stranieri non possono ripartire senza che uno di essi abbia affrontato Amico al pugilato. Offeso dalla mala accoglienza di Amico, Polluce – secondo la tradizione eccellente pugilatore – si offre volontario, e inizia così lo scontro. Alla forza bruta di Amico, che cerca di fargli paura continuando ad attaccare nell’intento di ucciderlo, Polluce contrappone la sua intelligenza (metis) che gli permette di schivare i colpi e si rivela infine vittoriosa: dopo aver compreso le mosse del nemico, l’eroe lo colpisce di soppiatto all’orecchio, spezzandogli il collo. Alla morte del loro sovrano i Bebrici cercano di vendicarsi, ma vengono rapidamente messi in fuga dagli Argonauti come pecore da un branco di lupi. La giornata si conclude con un inno intonato da Orfeo in onore dell’eroe1.

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Purificazione di Giasone e Medea

Quando erano oramai in vista i monti Cerauni, gli Argonauti fuggiti dalla Colchide incontrarono terribili tempeste suscitate da Era. Un miracoloso legno parlante della nave Argo chiarì loro che mai sarebbero sfuggiti alle pene del mare e alle tempeste terribili, se non si fossero recati da Circe, sorella di Eeta, che li avrebbe purificati dall’assassinio del nipote Apsirto, perpetrato dalla sorella Medea poco prima di fuggire con Giasone. Giunti all’isola Eea, gli Argonauti trovarono Circe che si purificava lavando i capelli e le vesti nel mare, dopo aver avuto un terribile sogno in cui spegneva un violento incendio scoppiato in casa sua versando sulle fiamme il sangue che grondava abbondante dalle pareti. Dopo essersi purificata dal sogno notturno, Circe invitò Giasone e Medea nella sua dimora, dove attuò un processo purificatorio: sgozzò un porcellino dopo averlo elevato sul capo dei due supplici seduti sul focolare sotto la tutela di Zeus. Giasone e Medea furono liberi di riprendere il viaggio «purificati», ma Circe rinnovò la condanna per il sangue "famigliare" che era stato versato, predicendo a sua nipote un triste destino1.

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I Dioscuri

Dall’unione di Zeus e Leda, moglie di Tindaro re di Sparta, nascono i gemelli Castore e Polideuce (secondo altre versioni i gemelli nascono invece da un uovo). Si racconta anche che il solo Polideuce fosse figlio di Zeus e che Castore venisse concepito da Leda con Tindaro1. Ma è come coppia indissolubile che i due condividono il loro destino e le loro avventure: entrambi sposano due figlie di Leucippo, Febe e Ilaira2, ed entrambi sono celebri come atleti3. Insieme partecipano alla spedizione degli Argonauti, dove Polideuce sconfigge in una gara di pugilato il terribile Amico, re dei Bebrici4.

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Le Lemniadi e gli odori

Le donne di Lemno non rendono onore ad Afrodite e la dea le punisce facendo sì che emanino cattivo odore. Questo le rende intollerabili ai loro mariti, che si prendono delle schiave di Tracia per concubine. Le Lemniadi allora, sentendosi disprezzate, uccidono tutti gli uomini dell’isola; l’unica che risparmia il padre Toante, re del luogo, è Ipsipile. A questo punto arrivano nell’isola gli Argonauti, che stabiliscono rapporti di ospitalità con loro, grazie ai consigli di Ipsipile che riesce a superare l’ostilità delle compagne. Afrodite, volendo ripopolare l’isola, suscita negli eroi una dolce passione per le Lemniadi, che accettano di unirsi agli stranieri. Banchetti e danze allietano la città, per la quale si spande il buon odore delle carni sacrificate e l’aroma dei profumi bruciati in onore della dea1.

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Idmone e il cinghiale nella palude

L’indovino Idmone partecipa all’impresa degli Argonauti pur sapendo che non sarebbe tornato in patria. Durante la sosta presso Lico, re dei Mariandini, l’eroe viene colpito a morte da un cinghiale che si nascondeva nel canneto di una palude1. Significativa è la menzione in questo contesto anche delle Ninfe: come i boschi, anche le paludi erano infatti popolate di queste creature (le Limniadi), che in questo caso sono esse stesse intimorite dalla fiera. All’accorrere degli altri eroi segue la sconfitta del cinghiale.

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La palude e il corpo di Fetonte

La palude conserva ancora il corpo in parte carbonizzato di Fetonte, colpito dal fulmine di Zeus quando conduceva il carro di suo padre Elio. Il corpo del giovane emana vapori esiziali, tanto che neppure gli uccelli riescono a sorvolare il luogo. Intorno le sorelle di Fetonte, le Eliadi, intonano i loro lamenti: dai loro occhi sgorgano lacrime d’ambra . Gli Argonauti attraversano la regione con grande difficoltà: di giorno sono sfiniti dall’odore di morte emanato dalle acque della palude e di notte sono tormentati dai lamenti delle Eliadi1.

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Gli Argonauti e il tripode di Tritone

Per gli Argonauti, il viaggio di ritorno dalla Colchide, dove sono riusciti a conquistare il vello d’oro del re Eeta, non è meno tortuoso di quello d’andata. Quando la loro nave salpa da Corcira, una tempesta la spinge sulle coste libiche, costringendo l’equipaggio a trasportarla a spalla fino al lago Tritonio. Da qui, gli eroi cercano uno sbocco sul mare per riprendere la rotta smarrita: Giasone dona allora un tripode al dio del luogo, Tritone, in cambio delle informazioni per uscire dal lago. In tal modo, fra gli Argonauti e la zona dove sarebbe sorta poi Cirene si instaura una contiguità geografica e un cogente vincolo di ospitalità. Secondo la versione di Pindaro, invece, Tritone era apparso agli Argonauti in sembianze umane e aveva offerto loro ospitalità; gli eroi rifiutarono, spinti dalla fretta di partire, e al momento del congedo il dio consegnò loro l’unico oggetto a sua disposizione: una zolla di terra, presa in consegna da Eufamo, mal custodita dalle guardie cui pure Medea l’aveva affidata con molte raccomandazioni e caduta infine in mare nei pressi di Tera, punto di partenza della spedizione volta a fondare Cirene.

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